C’è un governo il cui premier che dice del deputato pdl Alfonso Papa che “va difeso a tutti i costi” mentre un ministro, nonchè capo di un partito nelle cui mani è custodita la golden share della coalizione, conferma imperioso che il deputato Papa deve essere invece arrestato senza indugio. Sul caso Papa, in un Paese normale Berlusconi e Bossi constaterebbero l’avvenuto sgretolamento della maggioranza. In Italia, invece, l’episodio denuncia l’ulteriore sprofondamento di un Paese in crisi nel grottesco e nella commedia. Ma in un Paese in cui si chiedono agli italiani sacrifici da tempo di guerra per salvare l’Italia dalla bancarotta, la commedia grottesca diventa fatalmente uno spettacolo indecoroso. Ieri l’apice comico, con i deputati della Lega che si sono astenuti nella Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, e con quelli del Pdl (con contorno di Responsabili o come si chiamano adesso) che hanno lasciato la sala consentendo alle opposizioni di votare per l’arresto di Papa. Il quale onorevole Papa, innocente fino a sentenza definitiva, deve aver sofferto parecchio, o almeno il doppio. Una prima volta, come è ovvio, per la tetra prospettiva del carcere. Una seconda volta, per aver avuto la netta e inequivocabile sensazione di essere stato spogliato della sua umanità per rappresentare soltanto una pedina nel gioco al massacro che si sta imbastendo nella maggioranza, squassata da faide feroci, travolta da una guerra per bande davvero senza precedenti nella storia repubblicana. Il centrodestra non è più capace di fare quadrato attorno ai suoi rappresentanti. Potrebbe essere un fatto positivo, perché strappa ogni singola vicenda giudiziaria da una guerra totale che non prevede altra logica che non sia quella dell’appartenenza: difendere i miei dovunque e comunque o, per lo schieramento opposto, massacrare quelli della maggioranza dovunque e comunque. Ma la vicenda Papa non risponde a questo criterio: il deputato del Pdl è stato mollato dalla Lega per sfogare malumori oramai incoercibili, e non viene difeso dallo stesso Pdl per non rompere definitivamente con la Lega. Un gioco al massacro, appunto. Oramai per la maggioranza ogni appuntamento con le autorizzazioni all’arresto è una penosa ordalia. Lo è per il caso Papa. Lo sarà, in tempi brevissimi, per il caso Milanese, destinato a sfiorare il ministro dell’Economia oggi tutt’altro che gratificato da una grande popolarità nel suo stesso schieramento e nel vendicativo entourage del presidente del Consiglio, e per il caso del neo ministro Romano, la cui nomina aveva peraltro suscitato molte apprensioni nel capo dello Stato. Ma il messaggio, devastante, per la maggioranza, è che la guerra contro le «invadenze» della magistratura è stata sconfitta nel suo impianto generale e valido erga omnes, mentre il richiamo alla compattezza militare vale soltanto per la figura, sacrale e intoccabile, del Capo. Si capisce, perciò, perché per Berlusconi la difesa di Papa sia prioritaria. Ma sinora, prima del voto dell’Aula della prossima settimana, il suo invito sembra essere stato disatteso. Sulle questioni della giustizia, dunque, la maggioranza si è disarticolata. Nella guerra santa contro la magistratura la coalizione ha opposto una difesa strenua e incondizionata al suo leader. Ha accettato la lunga sequenza delle leggi ad personam. Ha cancellato ogni possibilità di dialogo bipartisan sulla riforma della giustizia, accantonando, o confinando nella penombra del lavoro di commissione parlamentare, provvedimenti come la separazione delle carriere e l’obbligatorietà dell’azione penale per ottenere l’approvazione a tempi di record della cosiddetta «prescrizione breve» . Ha mobilitato i suoi parlamentari per strappare alla Procura di Milano la competenza territoriale e funzionale sul «caso Ruby» . Ha addirittura costretto la maggioranza, con una prova eroica di fedeltà alla causa del Capo, a sposare la tesi per cui Berlusconi chiamò quella famosa notte la Questura di Milano per evitare, causa presunta nipote, una guerra diplomatica con l’Egitto di Mubarak. Tutto per confermare il principio che nella guerra con la magistratura non si sarebbero risparmiate munizioni. E ora, invece? Ora, dopo il caso Papa, la guerra santa ha perso molto del suo fervore, esponendo la maggioranza a un’ennesima brutta figura e proprio nel momento in cui si chiede coesione per l’approvazione della manovra economica. Tutto questo mentre la maggioranza appare ogni giorno più prigioniera di spaccature insanabili, con la Lega che ormai vive l’alleanza con Berlusconi come una condanna, con il premier che si sente assediato nel suo fortino, con il partito del premier in cui infuria una battaglia sotterranea costellata di agguati, vendette, ritorsioni, regolamenti di conti. Peggio di una commedia, il superamento di un limite oltrepassato il quale la prospettiva di due anni di non-governo costellato di risse appare come un incubo. Mentre gli italiani pagano il prezzo salato della guerra contro la crisi. Crisi vera, non da commedia.
Il Corriere della Sera 16.07.11