L’allarme per l’attacco della speculazione contro l’Italia si inserisce nel contesto della crisi dell’Europa, dice Romano Prodi, ma se in questo quadro l’Italia ha preso «la bastonata più forte» è perché «lo scossone europeo ha coinciso con un momento di grande debolezza e di fortissime tensioni interne al governo italiano».
Negli ultimi anni Romano Prodi ha scritto molto e parlato poco. Ha partecipato al dibattito pubblico più attraverso articoli e interventi d’occasione che attraverso interviste. In questo caso, l’occasione è offerta dagli auguri che l’ex presidente del Consiglio e della Commissione europea ha voluto fare al nuovo direttore dell’Unità, «tanto più doverosi in un momentoc osì difficile per la stampa quotidiana».
Certo non è un momento facile nemmeno per l’Italia nel suo complesso. Qual è la sua impressione, all’indomani del tracollo della borsa e dei titoli di stato sui mercati?
«Sono problemi che partono da lontano. Pesa, in particolare, l’incapacità della leadership europea di affrontare i problemi della moneta unica. Ormai è più di un anno che si continua a rinviare, lasciando così uno spazio indebito alla speculazione internazionale, che certo non ha bisogno di incoraggiamenti per farsi avanti. Ma se in questo quadro l’Italia ha ricevuto la bastonata più forte il motivo è che lo scossone europeo ha coinciso con un momento di grande debolezza e di fortissime tensioni interne al governo italiano: le polemiche fra ministri e fra partiti hanno dato un messaggio di sbandamento che è una vera manna per chi vuole giocare al ribasso. Certo, le debolezze strutturali dell’economia italiana costituiscono il problema di fondo, ma in questo caso i fattori politici sono stati determinanti».
Nonritieneche nella fragilità di tanti paesi dell’Unione sottoposti agli attacchi della speculazione abbiano avuto un peso anche fattori politici europei?
«Il problema è l’atteggiamento del tutto contraddittorio da parte dei governi e dei leader politici: sanno benissimo che è interesse dei loro Paesi, Germania compresa, che l’euro rimanga saldo, ma ognuno di loro insegue il populismo di casa propria, rendendo così il problema sempre più grave. Io penso che alla base vi sia una mancanza di leadership, perché leadership significa fare le scelte necessarie anche se sono sgradevoli. In Europa, invece, si tende a compiere scelte gradite all’elettorato oggi, anche se nefaste per il domani».
Sembra di capire che il suo giudizio sullagestionedella crisi dei debiti pubblici e in particolare della vicenda greca non sia troppo positivo.
«In fondo la dottrina dominante è consistita nel rinvio continuo, nel prendere anche minime decisioni sempre l’ultimo giorno utile, facendo così diventare enormi problemi che affrontati per tempo sarebbero risultati tutto sommato modesti. Alla base di questa dinamica, purtroppo, sta una fiducia molto fragile nell’Europa. Non si vuole comprendere che l’Europa non può essere costruita a metà. Fatta la moneta unica, manca la metà delle grandi decisioni politiche, a partire dalla politica estera. Soprattutto, non funziona il cosiddetto motore a due cilindri franco-tedesco. Non funziona assolutamente».
Per quale ragione?
«Da un lato non vi è armonia tra questi due grandi protagonisti della politica europea, Francia e Germania. Dall’altro, essi stessi non si fanno carico della responsabilità che hanno nei confronti degli altri Paesi dell’Unione. Nei consigli europei si è creato un clima quasi di estraneità, mentre la Commissione è stata privata della gran parte dei suoi poteri. Solo il Parlamento, lentamente e negli ancora ristretti limiti delle sue competenze, sta assumendo un ruolo più incisivo».
È immaginabile, in questo quadro, che i partiti progressisti europei, a cominciare naturalmente dal Pd, possano elaborare una strategia o almeno definire i principi di fondo di un progetto comune?
«Questo appartiene ai miei desideri, non certo alle mie previsioni».
Pensa che le attuali difficoltàdipendano anche dal modo in cui l’Europa ha affrontato la grande crisi del 2008?
«La crisi ha semplicemente fatto scoppiare problemi che in Europa erano già presenti. Dopo gli anni in cui abbiamo costruito con coraggio il mercato unico, l’allargamento, l’euro, negli ultimi anni siamo entrati nell’epoca della paura: paura dell’immigrazione, paura della Cina, paura del mondo. La crisi ha fatto semplicemente precipitare le conseguenze di questi atteggiamenti già ben presenti nei governi europei».
Dal dibattito che si sta svolgendo in Europa,e anchedentro il governo italiano, sembra riproporsi l’antico dilemma tra crescita e risanamento.
«Ma in Italia non abbiamo davanti nessun dilemma del genere. Qui il problema è spegnere l’incendio. Se non teniamo saldi i conti non possiamo neanche pensare alla crescita. Quando i nostri buoni del tesoro hanno tassi di due punti e mezzo superiori a quelli tedeschi, il peso del debito è insostenibile, e allora bisogna rimediare, restituire tranquillità ai mercati internazionali e riprendere il cammino verso i tassi tedeschi».
Molti osservatori sostengono che accanto ai fattori politici, sulle difficoltà dell’Italia, pesino anche fattori istituzionali, l’eterna incompiutezza della transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica. Condivide questo giudizio?
«Sì, è quello che penso anch’io. L’Italia ha bisogno di recuperare un rapporto tra i cittadini, i loro rappresentanti e i loro governanti. Da questo punto di vista, considero centrale la questione della legge elettorale».
È un problema che al momento sembra dividere lo stesso Partito Democratico. Qual è la sua posizione?
«Non è unproblema del Partito Democratico, madell’Italia. Abbiamo bisogno di governi stabili, legittimati dal voto dei cittadini, e di un Parlamento realmente legato ai territori e agli elettori. D’altra parte, io ho esordito in politica con questa semplice idea, che è il significato dell’Ulivo, e non l’ho mai cambiata. Pertanto, mentre si discute di come uscire da una legge elettorale che ha fatto tanti danni, non posso che esprimere un orientamento coerente con la mia posizione di sempre. E cioè che l’Italia, per risolvere i suoi problemi, ha bisogno del bipolarismo e del maggioritario».
Parlando dell’Italia, presidente, non possiamo chiudere l’intervista senza chiederle un commento sulla notizia del giorno: la sentenza sul lodo Mondadori. Cosa ne pensa?
«Non commento le sentenze, so solo che devono essere eseguite»
da L’Unità