La manovra presentata dal Governo dovrebbe servire a salvare i conti del Paese ma in realtà fa tre operazioni molto chiare. Assieme ad una buona dose di confusione questa manovra: opera una stretta pesantissima sui servizi, in primis sanità e sociale; colpisce in via diretta il risparmio e dunque il portafoglio dei cittadini; dà una botta mortale all’autonomia di Regioni e Comuni, virtuosi o meno. Certo, si dice l’esatto contrario e lavorando di bisturi sulle pieghe del provvedimento si arriva a dire, come ha fatto il Tg1 l’altra sera, che si difende l’occupazione e si premiano le buone amministrazioni. Ma la distanza di questa finzione dalla realtà del Paese è ormai drammatica.
Solo qualche parola per chiarire. Sul sociale dal 2008 ad oggi si è passati da 2.400 milioni a 500, poi a 300 ed ora di fatto a zero. Sulla sanità si operano 8 miliardi di ulteriori tagli e si prefigura un pesante ticket per le prestazioni più diffuse. Si triplica il bollo che colpisce i piccoli risparmi, al punto che si allarma anche il Sole 24 Ore. E poi zero politiche industriali, tagli degli incentivi, blocco del turnover: orizzonti chiusi per il lavoro, per la ripresa, per le entrate dello Stato (e dunque si opera solo tagliando la spesa pubblica). Nel mirino sono i più deboli, una vera e propria lotta di classe alla rovescia contro chi ha bisogno di lavoro e di servizi sociali. Ci aspettano ancora campagne mediatiche sotto la voce sprechi delle amministrazioni, mentre la Commissione contro gli sprechi chiesta dalle Regioni, che aveva avuto l’assenso dal Presidente del Consiglio, non è stata neppure istituita. Sia chiaro, è giusto lavorare per contrastare tutti gli sprechi ovunque essi siano, ma azzerare il fondo della non autosufficienza e pensare che si risolva il problema facendo propaganda non è giusto e credibile. E il federalismo? Questa manovra chiude una storica esperienza delle Autonomie, con grave danno per il Paese, ed è un colpo di spugna sul federalismo. Dopo i tagli di Tremonti del luglio scorso e di quelli ora in discussione non c’è rimasto nulla da fiscalizzare e niente da devolvere. Il centro si è preso tutto, lasciando alla periferia il piacere di aumentare a dismisura le tasse locali.
Dov’è finita la Lega? La retorica sul federalismo non ha più ossigeno: i conti non tornano e i cittadini se ne rendono ben conto. Oggi i sindaci sono al verde e non riusciranno più a dare risposte adeguate ai propri cittadini. Nidi, scuole, manutenzione, e poi sostegno alle piccole imprese, nuovo welfare: si fa deragliare un autonomismo che nel nostro Paese ha una grande tradizione e viene da lontano. Quanto sono lontani i decreti del federalismo amministrativo, il clima di innovazione e di nuovi spazi per le politiche locali e territoriali, la spinta contro un centralismo che ha dato ripetute prove di inefficienza e inefficacia. Quanto è lontana la spinta verso nuove più forti responsabilità affidate alle comunità locali. Quanto ha contribuito (molto secondo la Corte dei conti) il Patto per la salute a mettere sotto controllo i conti sanitari (quel Patto ora violato dalla manovra). Per questo dico che la manovra non guarda avanti, ma guarda indietro, ci fa tornare tutti indietro. Altro che federalismo!
La risposta è una sola. Sono gli amministratori locali e regionali che possono rilanciare un’idea di nuove e serie relazioni fra le istituzioni, per un federalismo solidale e cooperativo che aiuti l’Italia a fare le cose utili riducendo gli sprechi. Ed è solo con un nuovo rigoroso patto fra le forze del lavoro e dello sviluppo che si può dare un futuro a questo paese, rimettendo al. Servono risposte urgenti, questa manovra va cambiata radicalmente rimettendo al centro ciò che oggi non c’e. La crescita.
L’Unità 08.07.11