I gruppi del Pd di Camera e Senato hanno presentato una mozione sul tema della finanza locale per chiedere che la manovra economica sia coerente con i principi del federalismo fiscale. Di seguito il testo.
Il Senato, premesso che le autonomie territoriali italiane, e in modo particolare i comuni, versano in una situazione di gravissima difficoltà finanziaria, evidenziata nella predisposizione dei bilanci preventivi per il 2011, con pesanti ripercussioni sui servizi forniti ai cittadini (nidi e scuole dell’infanzia, assistenza agli anziani e ai disabili, manutenzione strade, edifici e verde pubblico, polizia urbana), mentre altre forti difficoltà si annunciano per il 2012 visti i tagli già previsti;
infatti la manovra triennale di finanza pubblica 2011-2013 (legge 30 luglio 2010, n. 122, di conversione con modificazioni del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78), recepita successivamente nella legge di stabilità per il 2011 (legge 13 dicembre 2010, n. 220) grava in modo del tutto sproporzionato su comuni, province e regioni. Essa prevede che su circa 40 miliardi di euro complessivi di riduzione delle spese correnti ben 22,4 miliardi di euro, pari al 56%, siano a carico di comuni (1,5 miliardi di euro nel 2011, 2,5 miliardi di euro nel 2012 e nel 2013), province (300 milioni di euro nel 2011, 500 milioni di euro nel 2012 e nel 2013) e regioni (4,5 miliardi di euro nel 2011, 5,5 miliardi di euro nel 2012 e nel 2013), a cui va sottratto il contributo per Roma (300 milioni di euro nel 2011, 2012 e 2013), quando la spesa di regioni ed enti locali rappresenta solo il 35% della spesa pubblica italiana, al netto degli interessi sul debito;
i vincoli del patto di stabilità interno, che agiscono anche sui pagamenti ai fornitori, sono stati conseguentemente inaspriti, e molte amministrazioni locali non hanno potuto impiegare risorse che avevano a disposizione creando così forti difficoltà in modo particolare al settore delle costruzioni, il quale il 1 dicembre del 2010 ha protestato unito, associazioni d’impresa e sindacati dei lavoratori, per chiedere urgenti modifiche che peraltro non sono state apportate;
il successivo decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale (decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23) nell’immediato non ha fatto altro che dare la facoltà ai comuni di istituire l’imposta di soggiorno e di aumentare l’addizionale comunale all’IRPEF, con conseguente aggravio della pressione fiscale per le famiglie e per le imprese;
gli effetti estremamente negativi per il sistema-Paese di manovre di riduzione della
spesa pubblica fatte pesare eccessivamente sulle autonomie territoriali, ed effettuate nei
confronti delle amministrazioni centrali dello Stato con il metodo indifferenziato dei tagli
lineari, si sono già cominciati a vedere nel 2010;
il Rapporto della Corte dei Conti 2011 mette in particolare evidenza la forte contrazione
della spesa per investimenti che si è registrata nel 2010 (- 16 per cento per lo Stato, – 18,5 per
cento per le amministrazioni locali), tenendo conto che la spesa in conto capitale dei soli
comuni nel 2009 era pari al 50% della spesa complessiva per investimenti di tutta la pubblica
amministrazione. Il Rapporto si esprime con seguenti parole: “Non può sottacersi, anche
all’interno di questo Rapporto, il rischio che una manovra di bilancio impostata con il dovuto
rigore, ma non sostenuta da una adeguata strategia di crescita, eserciti effetti depressivi non
auspicati e si riveli, per questo, non pienamente sostenibile. Ne è in qualche modo
testimonianza il fatto, a più riprese sottolineato nel Rapporto, che il ridimensionamento dei
programmi di spesa si sia concentrato, soprattutto nelle amministrazioni locali e anche per
l’operare degli strumenti di coordinamento, sugli investimenti. Si tratta di una soluzione non
efficiente, in considerazione della capacità di accrescimento del potenziale di sviluppo che
viene comunemente riconosciuta al processo di accumulazione pubblica (pag. 3)”;
il Rapporto della Corte dei Conti è particolarmente severo con il complesso della
manovra operata dal Governo sulle autonomie territoriali, sia sul versante della contrazione
dei trasferimenti che delle regole del patto di stabilità interno, e si esprime nei seguenti
termini: “Il risultato di questa compressione di trasferimenti è che le amministrazioni locali
hanno conseguito, nel 2010, gli obiettivi di indebitamento loro assegnati, ma attraverso un
percorso diverso da quello programmato. Le dinamiche della spesa sono state infatti
contenute al di sotto dei valori iscritti nei documenti di programmazione, compensando in tal
modo il ridimensionamento delle risorse trasferite. L’emergere di restrizioni di cassa si è
riflessa soprattutto sulla spesa in conto capitale, che ha registrato la riduzione più consistente.
In sostanza, l’equilibrio di bilancio è stato raggiunto in corrispondenza di una dimensione di
bilancio inferiore a quella prevista in sede di fissazione degli obiettivi. Un risultato che,
presumibilmente, determina forti difficoltà di funzionamento alle amministrazioni decentrate
(pag. 34)”;
il Rapporto annuale dell’ISTAT sulla situazione del Paese nel 2010 indica che nel 2008
la spesa sociale dei comuni, la quale copre quasi i due terzi delle spese per il welfare locale,
ammontava a 6,7 miliardi di euro “…..un valore molto contenuto sia in rapporto al prodotto
del paese, sia in rapporto alla popolazione residente: la spesa media pro capite si attesta,
infatti, a 111 euro”. Il Rapporto individua nei tagli effettuati per il 2011 ai fondi statali
destinati agli interventi sociali (Fondo nazionale per le politiche sociali, Fondo per le politiche
della famiglia, Fondo per la non autosufficienza, Fondo per l’infanzia e l’adolescenza, Fondo
per l’inclusione sociale degli immigrati) ulteriori condizioni di restrizione della spesa sociale
dei comuni “…..con il probabile aumento, in un contesto di forti differenziali territoriali, di
bisogni non soddisfatti provenienti dai segmenti di popolazione più vulnerabile (4.4.2, Gli
interventi e i servizi sociali offerti dai Comuni, pagg 199-206);
con il Documento di economia e finanza 2011 l’Italia si è impegnata a raggiungere entro il 2014 un livello prossimo al pareggio di bilancio conformando in questo modo la dinamica del bilancio pubblico agli obiettivi europei di medio termine ( rapporto deficit/PIL al 3,9 nel 2011, al 2,7% nel 2012, al 1,5 nel 2013 e allo 0,2% nel 2014), con il sistematico incremento del surplus primario in prospettiva della crescente riduzione del debito pubblico;
in base alle notizie fino ad ora disponibili, la manovra di 47 miliardi di euro per il 2012-2014 recentemente approvata dal Governo rende permanenti i tagli della manovra 2011-2013, grava ancora in modo insostenibile su comuni (1 miliardo di euro nel 2013, 2 miliardi di euro a decorrere dal 2014), province (400 milioni di euro nel 2013, 800 milioni di euro a decorrere dal 2014) e regioni (1,8 miliardi di euro nel 2013, 3,6 miliardi di euro a decorrere dal 2014) per un complesso di ben 9,6 miliardi di euro sui 40 previsti per il 2013 e 2014, e interviene pesantemente anche su sanità e blocco degli organici. Essa introduce una ripartizione degli enti di ciascun livello di governo in classi di virtuosità sulla base di criteri che non si limitano a parametri economico-finanziari ma interferiscono pesantemente sulle scelte autonome di regioni e enti locali, e riduce il Fondo sperimentale di riequilibrio e i fondi perequativi come se fossero i vecchi trasferimenti in piena contraddizione con i principi del federalismo fiscale;
vi è l’inderogabile necessità di ripartire equamente il peso delle manovre, sia quella già approvata per il triennio 2011-2013 che quella in corso di approvazione per il triennio 2012-2014, tra i diversi livelli istituzionali, tenendo conto di criteri obiettivi che sottopongano anche la spesa dei ministeri centrali ad un’accurata valutazione (analisi micro e valutazione delle singole voci di spesa, con spending review sistematica; bilancio a base zero, per valutare tutto e tutti sotto il profilo dei costi, dei risultati e della adeguatezza; comparazione di risultati fondata su indicatori inseriti nel Bilancio, come prevede la legge di contabilità; regola permanente di evoluzione della spesa, con obiettivi massimi fissati per un periodo molto lungo, con verifiche a scadenze prefissate; ridisegno dell’intera pubblica amministrazione per semplificare, superare i doppioni e stabilire chiaramente “chi fa che cosa”), mentre per le autonomie territoriali la legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale ha già individuato il percorso per passare dalla spesa storica ai costi e fabbisogni standard per quanto riguarda i livelli essenziali delle prestazioni e le funzioni fondamentali degli enti locali;
questa esigenza è avvertita anche dalla legge, in coerenza con i principi del federalismo fiscale che altrimenti risulterebbero completamente negati. Infatti il comma 2 dell’art. 14 della legge n. 122 del 2010 (manovra triennale 2011-2013) stabilisce che in sede di attuazione del federalismo fiscale “non si tiene conto” della riduzione dei trasferimenti statali a regioni, comuni e province, mentre i commi 3 e 4 dell’art. 39 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (fisco regionale, provinciale e sanità) istituiscono clausole di salvaguardia per il 2012 a favore delle regioni che il Governo si è impegnato ad estendere anche a province e comuni;
la sede nella quale “concorrere alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento” è, a norma dell’art. 5 della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, che si avvale della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (COPAFF) quale segreteria tecnica dotata di una specifica banca dati. Essa è riconosciuta come tale anche dalla legge 7 aprile 2011, n. 39, che ha recentemente modificato la legge di contabilità e finanza pubblica in relazione alle nuove
regole adottate dall’Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri;
il comma 2 dell’art. 35 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (fisco regionale, provinciale e sanità) stabilisce che “entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, deve essere convocata la riunione di insediamento della Conferenza”. Tale termine è trascorso, e la manovra 2012-2014 approvata dal Governo non è neanche stata illustrata ai rappresentanti delle autonomie territoriali;
l’esigenza di ripartire equamente il peso delle manovre tra i diversi comparti di spesa pubblica assume un significato sostanziale anche alla luce della previsione tendenziale per l’anno 2012 contenuta nei quadri di dettaglio del Documento di economia e finanza 2011, su cui inciderà ulteriormente la futura manovra, che per ora si basa sulla sostanziale invarianza della pressione fiscale e sulla riduzione di circa 1,7 punti di PIL della spesa pubblica. Secondo tale previsione la contrazione sarà determinata, a legislazione vigente, per soli 6 decimi di punto di PIL da minori spese delle amministrazioni centrali, per 2 decimi di punto di PIL da minori spese degli enti previdenziali e per quasi un punto di PIL da minori spese delle amministrazioni locali;
nel definire criteri equi per ripartire la manovra occorre tener conto che nel quinquennio 2005-2009 il saldo di bilancio della pubblica amministrazione è peggiorato di quasi 20 miliardi di euro, mentre nello stesso periodo il bilancio aggregato del comparto comunale ha registrato un miglioramento di 2,6 miliardi di euro;
i comuni concorrono in modo molto contenuto alla formazione del deficit della pubblica amministrazione previsto per il 2012, che costituisce l’obiettivo ad ridurre. In base ai quadri tendenziali illustrati nel Documento di economia e finanza 2011 si evince come tale concorso non superi il 3,3 per cento. Se si applicasse tale percentuale all’intero valore delle manovre 2011-2013 e 2012-2014 di finanza pubblica, ai comuni dovrebbe essere restituito parte del taglio operato per il 2012 e non dovrebbero essere interessati dall’ulteriore manovra correttiva ora in discussione, come risulta da elaborazioni IFEL su dati del Ministero dell’economia e delle finanze;
tutto ciò premesso e considerato impegna il Governo a:
insediare immediatamente la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica e sottoporre al suo esame la manovra 2012-2014, al fine di pervenire alla definizione di obiettivi che tengano insieme rigore finanziario e crescita economica e sociale del Paese, ripartendo equamente le manovre 2011-2013 e 2012-2014 tra i diversi livelli istituzionali;
individuare criteri per il riparto delle manovre 2011-2013 e 2012-2014 tra i diversi livelli istituzionali che tengano conto: del concorso di ciascun comparto alla formazione del deficit della pubblica amministrazione; del contributo dato al miglioramento dei saldi di finanza pubblica nel periodo precedente; della necessità di mettere sotto controllo la spesa dei ministeri centrali; del principio della trasparenza nei conti pubblici di tutti i livelli di governo attraverso la istituzione immediata della banca dati unica prevista dalla legge di contabilità; della possibile semplificazione e riduzione di costi della politica e dell’amministrazione conseguente ad una chiara definizione del “chi fa che cosa” abolendo le sovrapposizioni, attraverso la sollecita approvazione della Carta delle autonomie locali in discussione al Senato; dell’esigenza fondamentale di far ripartire gli investimenti che sono alimentati in grande parte dalla spesa in conto capitale dei comuni anche come contributo alla crescita dell’economia del Paese;
effettuare una manovra coerente con i principi del federalismo fiscale, agendo sui risparmi che possono essere ricavati dal passaggio dalla spesa storica ai costi e fabbisogni standard per quanto riguarda i livelli essenziali delle prestazioni e le funzioni fondamentali degli enti locali, evitando di considerare le compartecipazioni e le quote di tributi erariali attribuiti alle autonomie territoriali, indisponibili per lo Stato, come i vecchi trasferimenti che potevano essere tagliati;
garantire l’autonomia di ciascun ente nel raggiungimento degli obiettivi finanziari, rivedendo di conseguenza le norme sul personale;
individuare indici di virtuosità per gli enti di ciascun livello di governo, concordati con i medesimi, che siano rigorosamente legati al raggiungimento degli obiettivi finanziari di riduzione del deficit delle amministrazioni, così come previsto dal patto di stabilità e crescita dell’Unione europea, evitando che possano interferire in alcun modo sull’esercizio dell’autonomia di regioni ed enti locali;
proporre la profonda modifica del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, relativo al federalismo fiscale municipale, in relazione al disegno di legge delega di riforma fiscale approvato dal Governo, anche al fine di restituire autentica autonomia impositiva ai comuni, in modo da far coincidere i beneficiari e i contribuenti dei servizi resi dalle amministrazioni locali, e di favorire il recupero dell’evasione decentrando il catasto;
proporre la revisione della normativa attualmente in discussione sul decreto sviluppo relativa alla cessazione da parte di Equitalia delle attività di riscossione per i comuni a partire dal 1 gennaio 2012, evitando la diffusione di pratiche fiscali elusive da parte dei cittadini e l’ulteriore aggravio della situazione finanziaria per i comuni;
proporre, ai fini di una più efficace collaborazione dei comuni alla lotta all’evasione fiscale, che si costituiscano presso gli uffici provinciali dell’Agenzia delle entrate specifici nuclei operativi dedicati a dar seguito alle loro segnalazioni. Ciò consentirebbe un costante monitoraggio dei risultati ottenuti e un dialogo continuo tra i diversi soggetti coinvolti, permettendo ai comuni di aumentare la qualità delle proprie segnalazioni e di allinearle con le priorità dell’Agenzia delle Entrate. Vanno anche perfezionate le procedure per l’effettivo trasferimento nei bilanci comunali delle spettanze già maturate.