Giorgio Napolitano ieri sera ha potuto lasciare Roma per l’amata Stromboli con la coscienza di aver fatto quello che poteva fare per rimettere in moto un normale meccanismo democratico e politico. Il governo, missing fino a 48 ore fa, si presenta oggi in parlamento e domani incontra le parti sociali.
La parola torna alla politica. In teoria. In teoria, sì, perché ieri non c’era uno che si attendesse chissà quale novità dalle parole che Berlusconi pronuncerà a Montecitorio.
Nessuno scommette su sorprese. Men che meno i pidiellini. Uno di loro, e non fra i più inesperti, ieri ci ha candidamente confessato che il bandolo della terribile crisi sui mercati non è minimamente fra le mani del premier: l’unica è tenere botta e aspettare che passi la nottata, magari approfittando dell’oscurità per assestare il colpo da ko ad un Tremonti che paradossalmente rischia di essere al tempo stesso il colpevole e il capro espiatorio.
In questa situazione per il Pd i margini crescono. La sensazione è che ci si disponga ad una nuova capacità di “gioco”, a svolgere un ruolo propulsivo in un dopo-Berlusconi che potrebbe aprirsi anche presto. Insomma, con la testa siamo già nel dopo-Berlusconi, seppure nella pirandelliana finzione di un governo che di fatto non c’è più ma formalmente esiste. Certo, il problema non piccolo riguarda la durata dell’agonia: ma anche chi spera di scamparla, complice il generale Agosto, ritiene che alla ripresa le chances del Cavaliere di restare in sella siano molto poche.
L’illusione che, scaricando Tremonti, il problema sia risolto si scontra non solo con la prevedibile resistenza del super-ministro ma con il fatto che è solare che il problema è lui, Berlusconi, privo ormai di forza, inventiva, capacità di azione, è lui, mollato da settori vitali della società, dai sindacati, dalle imprese. Da tutti, come scriveva ieri Enrico Letta su questo giornale.
Giustamente Bersani chiede elezioni, via maestra per il ripristino di una democrazia normale, efficiente, “decidente”. Elezioni che chiudano la Seconda repubblica. Che restituiscano all’Italia un sistema politico ordinato e leadership all’altezza.
Ma di qui a quel traguardo c’è da fare i conti con una crisi che non solo non dà segni di fermarsi ma che probabilmente è destinata a proseguire con pari o maggiore intensità. La domanda sul “che fare”, dinanzi alla tempesta finanziaria e senza più questo governo fra i piedi, si porrà. Il segretario del Pd tiene ferma la barra («elezioni») ma ha parlato ieri di una «soluzione transitoria», senza peraltro impiccarsi alla disputa, che però non è esattamente accademica, sul governo tecnico o governo politico. Conta la sostanza: un esecutivo guidato da una personalità di alto profilo e sicura competenza scelto dal capo dello stato, con un mandato chiaro e delimitato cui assolvere in un tempo ragionevole nonostante la durezza della sfida sul piano economico, e senza tralasciare l’obiettivo di una nuova legge elettorale che cancellando il Porcellum ripristini un limpido rapporto fra eletti e elettori, dando a questi ultimi il pieno potere di scegliere il governo e il suo leader.
A noi continua a sembrare ben difficile l’ipotesi di un governo politico classico, con i rappresentanti di tutti i partiti, in grado di andare nel senso della «discontinuiità» invocata da Bersani. Degli attuali ministri o dirigenti di Pdl e Lega chi c’è da salvare? No, risparmiamo al paese una trattativa fra i partiti con la matita rossa e blu in mano per stilare una lista dei ministri col bilancino: non è aria.
da www.europaquotidiano.it
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“I CONSIGLI DEL COLLE”, di Massimo Riva
L´UNICO punto di luce nell´ennesima giornata nera sui mercati è giunto ieri dal Quirinale. Mentre Piazza Affari affondava di un ulteriore 2,5 per cento e il fatidico differenziale fra i titoli del Tesoro e i “bund” tedeschi schizzava verso quota 4 per cento, Giorgio Napolitano ha convocato d´urgenza il governatore della Banca d´Italia Draghi per la seconda volta in cinque giorni.
Il risultato del colloquio è stata una presa di posizione che suona come una frustata alla silente negligenza dietro la quale il governo si è riparato fino ad oggi pur di fronte agli sfracelli dei mercati e alle disperate sollecitazioni ad agire di tutte le parti sociali, mai così unite come in questo drammatico frangente.
Nel pomeriggio il presidente del Consiglio dirà, finalmente, la sua davanti al Parlamento. A scanso di nuove mirabolanti promesse a vanvera, il messaggio del capo dello Stato sembra così voler dettare i compiti a Silvio Berlusconi.
Si tratta – ecco il punto centrale del comunicato – di compiere scelte «per stimolare la crescita dell´economia e dell´occupazione a integrazione delle decisioni per il pareggio di bilancio nel 2014». Poche parole che dicono, però, moltissimo. Primo, che la tanto celebrata manovra testé approvata dal Parlamento è soltanto una risposta monca e insufficiente per le difficoltà del paese: giudizio che la reazione dei mercati ha già reso inappellabile.
Secondo, che l´avvio di una politica di rilancio delle attività produttive è diventata la priorità assoluta del paese: perché soltanto forzando la crescita del Pil si può sperare di rendere sostenibile nel tempo la sfida di un debito pubblico che sta diventando, di giorno in giorno, più elevato in quantità e insieme più oneroso in termini di tassi d´interesse.
Il presidente della Repubblica non poteva certo scendere in dettagli tecnici, ma è scontato che Mario Draghi deve avergli confermato quale e quanta sia la forza distruttiva degli improvvisi rialzi in corso sui rendimenti dei titoli di Stato. Per il momento si tratta solo di qualche miliardo, ma in autunno il Tesoro dovrà andare sul mercato a caccia di non poche centinaia di miliardi. Se la forbice dei tassi fra Italia e Germania non torna a stringersi il rischio è che ne risulti vanificata quasi la metà dei risparmi che ci si riprometteva con l´ultima manovra. Insomma, se il presente appare già allarmante, il futuro prossimo si annuncia ben più carico di incognite minacciose.
Saprà, per una volta, Berlusconi mostrarsi all´altezza del tema dettatogli dal Quirinale? Al riguardo la posizione del presidente del Consiglio risulta, in realtà, piuttosto paradossale. Perché, in fondo, Berlusconi è chiamato a svolgere un compito che egli avrebbe già dovuto eseguire neanche da mesi, ma addirittura da anni. Almeno da quando nel 2008 è entrato a Palazzo Chigi nel bel mezzo di una crisi finanziaria mondiale che già cominciava a mordere ferocemente sulla congiuntura economica, soprattutto dei Paesi più fragili.
Come non bastasse questo ritardo irrimediabile, pervicacemente nascosto dietro la favola dei conti «messi in sicurezza», il Cavaliere si trova oggi azzoppato da una diaspora interna alla sua maggioranza e dalle polemiche con il suo ministro dell´Economia, che ne fanno un premier dimezzato e sostanzialmente impotente.
È arduo perciò immaginare che con il discorso di oggi possa recuperare quella credibilità che ha sperperato in questi anni dedicandosi molto più agli affari suoi che ai guai del Paese. E ciò non tanto agli occhi degli italiani, che pure sarebbero i più interessati, ma a quelli di chi muove i capitali sui mercati e ogni giorno ormai pronuncia un voto di sfiducia senza appello. In questo scenario c´è almeno da sperare che il monito di Napolitano serva a risparmiarci nelle parole del premier e nel dibattito in aula le fruste giaculatorie contro la perfidia della speculazione internazionale e altri consimili alibi per continuare a fuggire dalle proprie responsabilità.
Già ieri l´Italia è stata precipitata nel grottesco da un´iniziativa della Consob che ha inviato una «nutrita richiesta di informazioni» alla Deutsche Bank per chiederle conto dei suoi recenti e massicci disinvestimenti dai nostri titoli di Stato.
Mossa del tutto improvvida perché l´unica risposta sincera che si rischia di avere è un lapidario: non ci fidiamo più di voi. Parole orrende che ben riassumono, però, l´epilogo politico dell´era berlusconiana.
da La Repubblica
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“L’ultimo show del Cavaliere, oggi sfida suicida ai mercati”, di Francesco Lo Sardo
In parlamento zero misure anti-crisi e vuoti appelli alla responsabilità
«Visto che la discontinuità su Berlusconi non è possibile, ci vuole un atto di discontinuità netto in politica economica. Se non c’è, siamo finiti: questione di settimane», diceva ieri un vecchio notabile forzista, ora Pdl. Ma non ci sarà neppure quello: new deal zero e aria fritta tanta, è il tamtam che echeggia tra le file dei berluscones. Perciò, presumibilmente, la storia del governo Berlusconi si chiude qui e oggi.
Con i contorsionismi di Tremonti che affonda e gli ultimi disperati funambolismi del Cavaliere per tenersi a galla qualche altro mese di tempo, in attesa di un qualsiasi salvacondotto giudiziario. Il parlamento, dove nel pomeriggio il Cavaliere si presenta per un’improbabile informativa sulla crisi economico-finanziaria, farà da palcoscenico per un finale un po’ Bagaglino, un po’ canto del cigno – senza offesa per l’elegante pennuto – un po’ grottesca parodia del discorso di Mussolini del dicembre ’44 al teatro Lirico a pochi mesi della caduta.
«Lo dicevo io che Tremonti ci stava portando in un cul de sac. E adesso eccoci qua…», s’è sfogato con un collega dell’Udc l’economista Antonio Martino, uno dei fondatori di Forza Italia messo all’angolo da Berlusconi e ridotto al rango di un qualsiasi peon del Pdl.
Sconsolato, convinto come molti pidiellini che ormai sia troppo tardi: disillusi e senza alcuna aspettativa per quanto potrà accadere oggi in parlamento. Dentro il “palazzo” non accadrà nulla: non ci saranno voti sulle comunicazioni sulla crisi economico-finanziaria che Berlusconi due giorni fa ha annunciato di voler fare alle camere prima della chiusura per ferie.
Ma fuori, sui mercati, potrebbe accadere di tutto. Anche un finimondo.
Di fronte a sé, dopo la bufera che ha travolto Tremonti e quella gravissima che ha travolto i titoli di stato italiani, Berlusconi aveva due possibili strade. Una era quella di un drastico cambio di marcia rispetto alla linea dei tagli lineari e delle furbizie dilatorie tremontiane sulle riforme strutturali.
L’altra era quella cosmetica, la tattica del make-up per continuare a truccare la realtà e prendere tempo. E dire che sul tavolo di Berlusconi, nelle ultime ventiquattr’ore, sono piovute un mare di proposte per cercare di dare un colpo d’ala e uscire dallo stallo del governo alla paralisi, guidato da un premier pluri-indagato e con un ministro dell’economia la cui credibilità, dopo il “caso” Milanese, ha raggiunto i livelli di quella del Cavaliere.
Ipotesi forti, troppo forti per un Berlusconi debole e un Tremonti ridotto a ricottina. Privatizzazioni degli ultimi gioielli nazionali per 300 miliardi da destinare all’abbattimento del debito, elevazione dell’età pensionabile per tutti, uomini e donne, con decorrenza immediata, condono da 50-70 miliardi da destinare alla crescita…Fantapolitica, fantaeconomia. Come l’anticipazione dei tagli previsti nella Finanziaria, l’abolizione delle province e persino una patrimoniale blanda.
Non ci sarà nulla di tutto questo nelle parole di Berlusconi. Il quale sventolerà una fantomatica riforma del fisco per legge delega, una manciata di 7 miliardi per opere pubbliche e altre quisquilie. Ma soprattutto, appeso a stime di crescita del Pil, ripeterà che la ripresa c’è, testimoniata da incrementi dell’export e dei fatturati industriali e dalla diminuzione della cassa integrazione. Solito repertorio: tutti sono in crisi, noi ce la stiamo cavando persino meglio degli altri.
Più che la base per un appello alla responsabilità alle opposizioni, una provocazione. Non stupisce che al Quirinale si sudi freddo di fronte alla prospettiva di un discorso di questo tenore – un inno alla paralisi – che rischia di scatenare l’assalto finale degli speculatori e di accentuare l’offensiva di Deutsche Bank contro i titoli italiani sempre meno affidabili.
Ieri Napolitano ha incontrato per la seconda volta nel giro di pochi giorni Draghi per un esame della situazione. Ma il nodo politico rappresentato da un governo che non agisce e che parla senza dire, resta insolubile. Berlusconi e Tremonti, in questo senso, sono due facce della stessa medaglia.
Oggi, nonostante i funambolismi di entrambi, si certificherà che il governo è al capolinea: andrà definitivamente a casa in autunno, una volta approvato il processo lungo che salverà Berlusconi dai suoi processi. Sempre che i mercati finanziari, quest’estate, abbiano pietà dell’Italia.
da www.europaquotidiano.it