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"Bersani: «Basta favole. La svolta non può venire da questo premier»", di Roberto Brunelli

Opposizioni e parti sociali avvertono Berlusconi: dia un «segnale forte», altrimenti si prepari a fare le valigie. Il segretario Pd «Silvio? Un marziano, lo scetticismo su di lui è mondiale. O si va a votare o soluzione transitoria».

Si intensifica il pressing nei confronti del governo. Il segretario Pd: ha ragione Napolitano, ma lo scetticismo nei confronti di Berlusconi è mondiale. Udc: basta chiacchiere, ora i fatti. Di Pietro: elezioni anticipate.

No, non è più il tempo delle favole. O Silvio Berlusconi dà un messaggio forte, oggi al Parlamento, un segnale credibile di fronte ai mercati in caduta libera, oppure è bene che salga al Quirinale e prepari le valigie. La pressione di Pd, Idv e Udc nei confronti del governo si fa di ora in ora più intensa, senza contare l’allarmata vigilanza del presidente della Repubblica, ulteriore motivo d’ansia per un premier in apnea costante. Ma le speranze che il Cavaliere possa veramente imprimere una svolta, dare il via a quella «discontinuità» che gli è stata chiesta sia dalle maggiori forze economiche, sociali e sindacali, sia dalle opposizioni, appare veramente flebile.
La rappresentazione più desolante del quadro là dà Pier Luigi Bersani: «L’Italia ha un marziano come presidente del consiglio, uno che non ha la più pallida idea di cosa succede nel Paese». Ogni mese che passa «e che lui resiste » tutto peggiora. «Ancora una volta l’appello del Presidente della Repubblica è di grande forza e saggezza – dice il segretario del Pd – noi naturalmente rispondiamo a questo appello, ci sentiamo responsabili di dire la nostra sulla situazione seria del paese. Tuttavia non so bene cosa aspettarmi: lo scetticismo è mondiale sul fatto che il premier si presenti oggi alle Camere con i fatti e non con le chiacchiere».
I democratici puntano molto sulla concretezza delle proposte da sottoporre alla parti sociali, nell’incontro con Confindustria, Abi, cooperative e sindacati, Cgil in testa, organizzato per domani, dopo quello con il governo, «una toppa messa dall’esecutivo una volta che si sono visti scavalcare dalle opposizioni, con l’iniziativa comune Bersani-Casini», come ripetono al Nazareno. Ma se, in prospettiva, il problema è quello di capire quale sia lo scenario più plausibile – elezioni anticipate subito oppure un governo di solidarietà nazionale, comeauspicato daCasini – il confronto con la maggioranza rimane una specie di danza con uno spettro. «Basta con questa giaculatoria che l’opposizione deve proporre», diceva ieri mattina il leader del Pd ai cronisti in Montecitorio. «Cosa vuoi collaborare se sono tre anni che il governo ripete che andiamo meglio degli altri e non si accorge che perdiamo il triplo degli altri. Se uno comincia a ragionare, allora si può discutere. Dovevano ascoltarci in questi tre anni, nonchiederci adesso di collaborare». Per Bersani l’alternativa è una sola: «O si va a votare subito, come un Spagna, o si trova lo spazio di una soluzione transitoria che segni una svolta». Parole che assomigliano a quelle di Enrico Letta: «Siamo disponibili ad un dialogo per una fase di transizione, ma Berlusconi deve lasciare Palazzo Chigi: perché è lui il problema dell’Italia. Ci fidiamo del capo dello Stato e riteniamo che le elezioni anticipate siano la soluzione ». Spiega, il vicesegretario Pd, che all’incontro con le parti sociali «noi ci arriveremo con le nostre proposte sui giovani, sul lavoro, sui mercati finanziari. Ma non potrà certo essere il premier a portarle avanti».

IMPRESE E SINDACATI
La partita a questo punto si fa serratissima, conun gioco di sponda molto evidente tra opposizioni e forze sociali. Ancheda qui arrivano avvertimenti molto duri al premier. Confindustria e Abi si aspettano «una grande assunzione di responsabilità », vogliono un segnale che sia in grado di «infondere fiducia e credibilità », addirittura «un progetto di crescita capace anche di creare nuova occupazione». Sentite le parole del leader della Uil Luigi Angeletti:«Se il governoha la forza di fare scelte vere, bene. Altrimenti bisogna andare a votare. Nulla è peggio dell’incertezza ». Nelle parole di Danilo Barbi, segretario confederale Cgil con delega alle politiche economiche, si percepisce invece il disincanto: «L’esecutivo fa finta di esistere, ma in realtà non esiste». Quel che hanno in mente i sindacati è un intervento deciso sulla manovra da poco approvata, nella quale «non c’è una via allo sviluppo e alla crescita, solo entrate a carico delle classi medio basse». Argomenti che sono ben chiari anche allo stato maggiore del Pd. «La situazione sta precipitando», ragiona Cesare Damiano, capogruppo della commissione lavoro di Montecitorio. Anche lui ritiene che per invertiere la rotta sia necessario «una svolta politica ed un nuovo governo: la debolezza dell’esecutivo costringe il paese ad una inutile rincorsa».
Nel centrosinistra la sfiducia nei confronti del premier e del suo esecutivo sempre più traballante si declina ovviamente in modi diversi, ma di fronte alla crisi il tentativo è quello di continuare ad accordare gli strumenti. Antonio Di Pietro è quello che suona le percussioni: «I passi da seguire sono questi: crisi di governo, scioglimento delle camere, elezioni anticipate. Questa è l’unica ricetta». Sull’ipotesi di un esecutivo di transizione, ampiamente caldeggiato dal Terzo Polo, il leader dell’Idv ribadisce che la sua disponibilità non c’è. «No ad un governo di transizione, balneare o d’occasione. Quello che serve è il voto al più presto con una nuova legge elettorale.
L’Udc, preferisce i fiati,mala sostanza cambia di poco: «Berlusconi venga in aula con i disegni di legge attuativi delle riforme utili alla crescita del Paese. I mercati oggi non chiedono le chiacchiere ma chiedono fatti. Se il premier si presenterà per l’ennesima volta autocelebrandosi, qualsiasi ulteriore manovra sarà inutile. Nonè più il tempo delle parole in libertà». Appunto: basta con le favole.

da L’Unità

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“I dubbi dei dem sulla linea Bersani”, di Francesco Lo Sardo

Il Pd cerca una exit strategy dal berlusconismo che trovi sponde nella maggioranza.
Pier Luigi Bersani preparerà all’ultimo momento il suo intervento di oggi alla camera. Aspetterà prima di sentire cosa dirà Berlusconi, poi scambierà rapidamente le proprie impressioni con quelle degli altri dem, quindi prenderà la parola. Di certo, i punti fermi del suo discorso saranno due: questo governo deve andare a casa; la strada maestra per il dopo sono le elezioni. Sul primo punto, nel Pd sono tutti d’accordo, quindi qualsiasi eventuale appello del premier alle opposizioni per una gestione condivisa della crisi cadrà nel vuoto. Su questo, anche il Terzo polo ormai ha le idee chiare.
È sul secondo punto, cioè sulla exit strategy dal berlusconismo, che i Democratici non riescono a trovare un’intesa. Bersani è consapevole del fatto che la sua spinta verso le urne incontra nel partito una perplessità diffusa. Per questo, ha deciso di convocare per le 13 di oggi un’assemblea del gruppo a Montecitorio: l’obiettivo è provare a spiegare meglio la propria posizione e ampliare così un consenso interno che attualmente scarseggia.
Bersani vuole arrivare domani al confronto con le parti sociali forte di una proposta condivisa da tutto il Pd. Anche perché il day after dell’intervento di Berlusconi in parlamento rischia di segnare l’ennesimo tracollo di piazza Affari e l’ennesimo picco dello spread. Potrebbe essere questo il colpo definitivo all’esecutivo, che costringerebbe il capo dello stato a rientrare immediatamente dalle vacanze a Stromboli (iniziate oggi) per gestire la crisi. «In quel caso – ripete Bersani ai suoi – noi andremo al Quirinale per dire le stesse cose che diciamo in pubblico: bisogna andare a votare al più presto. Ma nel frattempo siamo pronti a una soluzione di transizione».
La preoccupazione del leader dem è che questa transizione finisca per trasformarsi in una soluzione che porti a compimento la legislatura, ritardando la data del voto e logorando la spinta propulsiva del Pd, già fiaccata in queste settimane dai casi Pronzato, Tedesco e Penati.
Per questo, Bersani preferirebbe una soluzione autorevole, ma non di lunga portata, come sarebbe un eventuale governo affidato a Mario Monti. «Non possiamo permetterci di ritrovarci nel 2013 con Berlusconi di nuovo in sella – è la preoccupazione espressa al Nazareno – pronto a sbarcare subito dopo al Quirinale».
Molti dem, però, sono convinti che in primavera la crisi non sarà ancora del tutto superata e costringere il paese a una campagna elettorale sarebbe una dimostrazione di scarsa responsabilità delle opposizioni. Il primo a pensarla così è Walter Veltroni, affiancato in questo da Enrico Letta. Il leader di MoDem e il vicesegretario sono stati tra i primi a lanciare la proposta di un «super-Ciampi» (sono parole di Letta) che gestisca questa fase.
Adesso non hanno cambiato idea e, anzi, soprattutto il vicesegretario tiene aperto un canale di dialogo con il presidente della Bocconi, che ha incontrato riservatamente a Milano qualche settimana fa. E perfino Dario Franceschini, ufficialmente schierato al fianco del segretario nella richiesta del voto, non disdegnerebbe comunque una soluzione che porterebbe a compimento la legislatura.
Ma a confidare in privato le proprie perplessità è anche Massimo D’Alema, che guarda soprattutto alle dinamiche parlamentari: «Non possiamo insistere con la richiesta del voto senza offrire alternative – ragiona il presidente del Copasir – così l’unico risultato che otteniamo è quello di ricompattare la maggioranza».
Sarebbe meglio, per l’ex premier, tenersi pronti a qualsiasi soluzione, in modo da intercettare (e incentivare) qualsiasi dissenso emergesse dai banchi del centrodestra. La condizione migliore per prepararsi subito dopo a un governissimo con ampia maggioranza parlamentare, l’opzione notoriamente preferita da D’Alema.

da www.europaquotidiano.it