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"Tutti i premi della fisica italiana", di Pietro Greco

Da Bracco a Maiani i nostri scienziati stanno collezionando grandi riconoscimenti all’estero. Hanno imparato l’arte di «fare di più con meno»

Angela Bracco, responsabile del Gruppo 3 dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, è stata eletta nei giorni scorsi alla presidenza del Nuclear Physics European Collaboration Committee (NuPECC).

Luciano Maiani, fisico teorico e attuale presidente del Consiglio Nazionale delle Richerche (Cnr), è stato appena premiato dalla European Physical Society (Eps), la Società europea dei fisici, dunque dai suoi colleghi: «per il contributo dato alla teoria dei quark nel quadro dell’unificazione delle interazioni elettromagnetiche e deboli». Maiani è stato premiato insieme a Sheldon Lee Glashow e John Iliopoulos. I tre nel 1970 avevano scoperto il «meccanismo Gim» (dalle iniziali dei loro cognomi) che aveva consentito loro di prevedere l’esistenza del quark charm. La stessa Società europea di fisica ha assegnato il premio «Giuseppe e Vanna Cocconi» e al suo collega Paul Richards, per gli «straordinari contributi allo studio delle anisotropie della radiazione cosmica di fondo, con gli esperimenti Boomerang and Maxima basati sull’uso di palloni aerostatici». Ancora: a Davide Gaiotto è stata assegnata la Medaglia Gribov 2011. E, ultimomanon ultimo, la European Physical Society ha assegnato il premio Giovani Fisici a due fisici, appunto giovani, entrambi italiani: Paolo Creminalli e Andrea Rizzi.
Aggiungete a questo il fatto che in questo momento a Ginevra i quattro esperimenti a Lhc, la macchina più grande mai costruita al mondo, condotti da team internazionali hanno come altrettanti portavoce – e, dunque, come leader eletti – quattro italiani e capirete come la fisica del Bel Paese viva, all’estero, una stagione di grandi riconoscimenti. In realtà è tutta la scienza italiana a ottenere, come dire, risultati al di sopra dei propri mezzi.
Il nostro paese risulta, ormai, dodicesimo al mondo per investimenti in ricerca scientifica e sviluppo tecnologico, ma è settimo per produzione: sia in termini quantitativi (per numero di articoli scientifici pubblicati), sia in termini qualitativi (per numero di citazioni e per indice H,un indicatore di qualità, appunto). Altro che fannulloni, dunque. Dovrebbero essere indicati a esempio. I nostri scienziati hanno imparato l’arte di «fare di più con meno». Invece sono continuamente bistrattati. E non solo da qualche politico poco avveduto (ricordate gli attacchi della Carlucci a Maiani?).
Ma persino da un nutrito stuolo di accreditati economisti. Ha avuto facile gioco, nei giorni scorsi, l’astrofisico Francesco Sylos Labini a ricordare comesiano proprio gli economisti italiani ad avere qualche difficoltà a confrontarsi a livello internazionale.

MARIO TCHOU
È storia vecchia, questa della scienza italiana che miete successi all’estero ed è sottostimata all’estero. Questo anno cade il cinquantesimo anniversario della morte di Mario Tchou (9 novembre 1961), l’ingegnere italo-cinese a capo della Divisione elettronica dell’Olivetti che aveva realizzato il primo calcolatore elettronico completamente a transistor al mondo. Nel presentare il suo computer che faceva dell’Olivetti l’azienda leader al mondo nel campo dell’elettronica avanzata, Mario Tchou disse: «Attualmente siamo allo stesso livello (dei paesi più avanzati nel campo delle macchine calcolatrici elettroniche) dal punto di vista qualitativo. Gli altri però ricevono aiuti enormi dallo Stato.
Lo sforzo di Olivetti è relativamente notevole,magli altri hannoun futuro più sicuro del nostro, essendo aiutati dello Stato». Aveva visto giusto, Mario Tchou. Dopo la sua morte non solo non vennero gli aiuti dello stato, mala divisione elettronica dell’Olivetti fu definita un «neo da estirpare» da parte di Vittorio Valletta e venduta alla americana General Electric.

da L’Unità