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"Il sogno infranto del Paese disarmato", di Adriano Sofri

Quando arrivò a capo della creazione, Dio si frugò nelle tasche e trovò una manciata di granelli di polvere. Rovesciò le tasche, strofinò i polpastrelli, la polvere cadde e fece la Norvegia, mari e monti, isole e fiordi. Nessun posto del mondo è così bello e così civile. Ieri il primo ministro Jens Stoltenberg, bersaglio lui stesso della guerra scatenata da qualche miserabile farabutto, ha detto: «Non ci toglieranno il nostro modo di vivere». Era la cosa più importante da dire, e tuttavia la Norvegia dopo ieri non sarà più lo stesso Paese, prima di tutto per i norvegesi. Non è più stata quella di prima la Svezia, dopo la sera del 1986 in cui il primo ministro Olof Palme, che tornava a casa da un cinema, a piedi, con sua moglie, fu assassinato.
La convivenza e la semplicità di modi riescono a suscitare un odio speciale. La semplicità senza ostentazione segna la monarchia, il cui erede ha sposato un´ottima ragazza madre, cui si attribuivano trascorsi di droga. Ancora ieri, un poliziotto di Oslo ha detto a chi lo intervistava: «Noi siamo disarmati, e spero che non ci costringano mai ad armarci».
I norvegesi tengono la natura come la cosa più preziosa, e più che rispettarla le appartengono. Senza smancerie, perché è spesso una natura durissima. Averci a che fare è impossibile senza contare sui propri vicini, e questa solidarietà va assieme a un riserbo e una sobrietà leggendari. Si scherza, neanche tanto: se una famigliola norvegese arriva a piantare la tenda sulla sponda di un lago e ne intravede un´altra sulla sponda opposta riparte brontolando: «C´è troppa folla qui». L´individualismo coincide con una sensazione invincibile del proprio diritto: non c´è soggezione all´autorità, sfiderebbe il ridicolo il norvegese che dicesse a un altro: «Lei non sa chi sono io».
Il rispetto per la legge dello Stato vale finché il cittadino senta di condividere la morale dello Stato. Anche ora che è molto più americanizzata, la Norvegia conserva un suo sentimento sdegnosamente fiero. Non c´è hytte che non abbia il pennone per la bandiera, issata a segnalare che in quel momento la casa è abitata: un clamoroso segnale a vantaggio dei ladri, in un paese dove si devono temere molto i ladri.
Fra i paesi scandinavi, la Norvegia era la sorella povera, e anche dopo l´indipendenza, nel 1905, gli svedesi la guardavano con una certa condiscendenza. Poi il petrolio del Mare del Nord l´ha resa improvvisamente ricca, ma senza che se ne dimenticasse. A un armatore oggi ricchissimo fu intentata una causa, con l´accusa di aver comprato la patente nautica. La vinse quando il suo avvocato spiegò che uno che era nato pescatore e a 12 anni col primo paio di scarpe era imbarcato sui pescherecci nell´oceano non avrebbe avuto bisogno di comprarsi patenti.
Il petrolio coincide ovunque con la tirannide e l´oscurantismo (con poche eccezioni, ora il Ghana, forse). Siccome il petrolio finisce, i norvegesi ne hanno fatto una risorsa da accantonare largamente per le generazioni a venire, e hanno selezionato i loro partner economici in modo da escludere dittatori e violatori di diritti umani e corrotti.
Oggi la Norvegia resiste alle pressioni congiunte di Usa Canada e Russia sul petrolio nel mare di Barents, per difendere un modo di estrazione non distruttivo e il futuro della pesca: «Il petrolio finirà e noi mangeremo di nuovo aringhe». Il futuro della pesca del resto è spacciato dovunque, e anche alle Lofoten si moltiplicano le annate in cui la pesca del merluzzo è sospesa.
La Norvegia, che non arriva ai cinque milioni di abitanti, non fa parte dell´Unione Europea – ripetuti referendum hanno respinto l´ingresso – e conserva la sua moneta, la corona. Tiene il primo posto nelle graduatorie sui diritti e sulla qualità della vita. Internazionale ripubblicava ieri il servizio di Le Monde sui padri norvegesi – nove su dieci – che vanno in congedo per stare coi figli neonati. Dal 2006 nei consigli di amministrazione deve sedere per legge il 40 per cento di donne, di fatto sono più numerose. Si immaginarono cortei di uomini: «Non siamo panda».
Tutti i cittadini partecipano degli aiuti al mondo povero, per i quali la Norvegia è di gran lunga al primo posto. Lo è anche per le missioni delle Nazioni Unite. Un lettore o uno spettatore italiano resterebbe stupito di fronte all´estrema sobrietà con cui in Norvegia si dà notizia della morte di militari o volontari norvegesi in zone di guerra o di missione. L´accoglienza agli stranieri, specialmente asiatici – a cominciare dai vietnamiti – è stata molto vasta, e ha sperimentato, prima di altri paesi, le difficoltà e anche i fallimenti di programmi di integrazione troppo fiduciosi. Oslo conosce tensioni e paure, ma niente poteva far immaginare una violenza così sfrenata e feroce, se non proprio l´odio speciale che provocano la calma e la bellezza. Mentre scrivo non so quanti morti è costata la giornata di ieri, nel centro della città e sull´isola dei ragazzi. Mi tornano in mente i cimiteri norvegesi, che somigliano a giardini e si chiamano così. Noi iscriviamo nostri ricordi e saluti sulle tombe dei morti. Là sono i morti a salutare chi è rimasto, con tre monosillabi: «Takk for alt». Grazie di tutto.

La Repubblica 23.07.11

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“Addio al mito del paese perfetto”, di LUCIA ANNUNZIATA

Ha guidato per circa un decennio, dal 2000 al 2006, e ancora nel 2009 e nel 2010, il Human Development Index, l’indice che designa i Paesi più evoluti del mondo misurando il livello di eguaglianza, integrazione e opportunità. E’ stata indicata per anni di seguito come la nazione con il più alto livello di vita. Ma anche e soprattutto, ancora l’anno scorso, come il Paese più pacifico del mondo. Sulla bomba che ha fatto saltare gli edifici del centro di Oslo è saltato, ieri, anche il mito della Norvegia come Paese perfetto. Ma questo violento risveglio è davvero una sorpresa? Nulla avviene in realtà mai all’improvviso, e neanche questo attacco del terrorismo all’estremo Nord d’Europa, arriva di punto in bianco.

L’islamofobia è stata in permanente crescita negli ultimi anni sotto la pelle del quietissimo Paese, in cui circa 150 mila islamici su una popolazione di cinque milioni di abitanti, hanno finito con il costituire un permanente elemento di frizione culturale, un esempio tangibilissimo di come l’Islam in un Paese pure laicissimo non sia facilmente assorbibile. E questo ha portato anche a una lenta fine della presunta tranquillità della Norvegia, a un’inesorabile crescita dei controlli in tutte le direzioni.

Infatti il terrorismo e l’Islam non sono assolutamente la stessa cosa, ma l’ondata terrorista – che potrebbe avere un marchio jihadista – non si capirebbe se non si tenesse presente anche il mondo in cui questa si sviluppa. L’arresto di un uomo norvegese lascia aperta la porta del terrorismo interno, ma certo non si possono escludere legami internazionali.

Il terrorismo aveva già inviato i suoi segnali alla Norvegia l’anno scorso. Nel luglio del 2010 vennero arrestati ad Oslo tre uomini legati ad Al Qaeda. Tre uomini, uno dei quali fermato in Germania, accusati di preparare un attacco come quello che nel settembre era stato sventato alla metropolitana di New York. Punto ancora più rilevante, ci sarebbe stato un legame fra il gruppo newyorchese e quello norvegese, ed entrambi sarebbero stati in collegamento con il gruppo che preparava un altro attentato sventato a Londra.

La cattura fu il risultato di una vasta operazione di antiterrorismo internazionale, e, nel suo insieme, portava alla luce l’ennesima evoluzione del qaedismo: la formazione di piccoli gruppi di cittadini residenti o naturalizzati, di origini non omogenee, «comandati» dall’esterno. I tre arrestati esattamente un anno fa in Norvegia erano, ad esempio, secondo le dichiarazioni della polizia norvegese «un cinese uighuro di 39 anni, un iracheno di 37, e un uzbeko di 31».

La varietà etnica dei gruppi è oggi, secondo gli esperti, la vera novità del terrorismo tradizionalmente formatosi all’ombra di comunità omogenee (pakistani, iracheni, afghani). Il primo esempio di questo nuovo modello è, sempre secondo gli esperti, il sanguinoso attacco all’hotel Taj Mahal di Mumbai nel novembre del 2008. La frammentazione etnica rende molto difficile l’identificazione delle cellule; anche per questo, persino l’arresto di un cittadino norvegese non può far escludere alcuna ipotesi.

Meno chiari sono i motivi dell’attacco. In queste prime ore si parla di una rappresaglia per la partecipazione della Norvegia alle operazioni in Afghanistan e a quelle in Libia. Ma anche se fosse così, si tratterebbe di poco più che d’una scusa. La Norvegia ha forze armate che, in piena mobilitazione, contano 80 mila uomini (e donne); la sua partecipazione in Afghanistan avviene in una delle province più lontane dai conflitti, mentre l’intervento in Libia conta otto aerei.
Proprio il fronte antiguerra può aver coagulato vari tipi di estremismi, unendo il dissenso interno con le minacce che arrivano dall’estero.

La Stampa 23.07.11