Il giorno dopo la notizia di Filippo Penati indagato con l’accusa di aver ricevuto tangenti nel 2001 e il giorno dopo il voto in contemporanea alla Camera e al Senato sull’autorizzazione all’arresto di Alfonso Papa e Alberto Tedesco, Pier Luigi Bersani lancia due messaggi. Uno una più corta e uno a più lunga gittata. Il primo, che cade nei confini democratici o giù di lì (Tedesco prima di passare al gruppo Misto quando è scoppiata la bufera sulla sanitopoli pugliese è stato eletto al Senato con la lista Pd): «Le regole devono valere per tutti, politici, cittadini e amministratori. Se uno è indagato è corretto che faccia un passo indietro, anche se è innocente, per non coinvolgere le istituzioni ».
Il secondo, a beneficio di chi addossa al Pd la responsabilità di aver salvato Tedesco dagli arresti domiciliari, forze del centrodestra e non solo: «Noi siamo abituati a tutti i mea culpa, però questa volta non ne dobbiamo fare perché siamo stati lineari e coerenti. Abbiamo detto alla Camera e al Senato che i deputati sono uguali agli altri cittadini». Bersani sa che il no all’autorizzazione all’arresto del senatore pugliese rischia di far pagare al Pd colpe non proprie, almeno finché non verrà dimostrato quello che Anna Finocchiaro definisce il «trucchetto » della Lega (annunciare il sì e votare poi a scrutinio segreto no), o finché non ci sarà una svolta nella vicenda. Svolta che ci potrebbe essere con le dimissioni da parte di Tedesco: «Non è più nel gruppo del Pd, poi bisogna riconoscere che ha fatto un discorso di grande dignità e ci si può aspettare che faccia un passo indietro dalle sue funzioni».
Bersani non intende aprire un processo a chi ha votato in modo diverso da quanto deciso nel corso dell’assemblea dei senatori Pd, anche se sottolinea che chi lo ha fatto «se ne prende la responsabilità». E se non lo fa è perché a impensierirlo è altro.
UN FULMINE A CIEL SERENO
La vicenda che coinvolge Penati preoccupa un po’ tutti, nel partito. Bersani la definisce «un fulmine a ciel sereno», sottolinea che si tratta di «una cosa di dieci anni fa su cui non abbiamo nozione» e ribadisce la formula di rito: fiducia che Penati dimostrerà la sua estraneità» e rassicurazione sul fatto che il Pd mantiene un «atteggiamento semplice e rigoroso»: «Non abbiamo mai messo un ostacolo alla magistratura, né mai parlato di complotto », dice arrivando alla Festa dell’Unità di Roma. Ma sul concetto insiste anche a un seminiario organizzato dal centro studi del Pd sotto il titolo «Democrazia, populismo e la risorsa partito».
Dice Bersani: «Sul tema della legalità serve trasparenza, onestà, sobrietà, bisogna dire parole chiare, essere intransigenti e rigorosi. Un deputato o un senatore o un amministratore non deve essere diverso da un marocchino. O cambiamo la legge per tutti o per nessuno. Ciascuno si prende le proprie responsabilità e la politica si deve prendere le sue». Concetti su cui il Pd da sempre insiste per combattere il centrodestra, e che ora non devono perdere di credibilità se pronunciati da esponenti di centrosinistra. Per questo nel partito ora tutti auspicano che la giustizia faccia in fretta il suo corso. Anche perché la fase che si apre andrà gestita senza sbagliareunamossa: «Avremo davanti mesi drammatici, crucialissimi e questo Paese non ha tante carte da giocare. Soprattutto guai pensare che basti buttar giù Berlusconi per risolvere i nostri problemi e uscirne. Dobbiamo farlo capire alla gente sennò passiamo ad un berlusconismo senza Berlusconi». Non a caso già l’altro giorno Bersani aveva detto all’intero gruppo dirigente riunito al Nazareno che il Pd è «una sorta di bene pubblico»: «Stiamo attenti a maneggiarlo con cura».
L’Unità 22.07.11
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“IL DIRITTO A RIVELARE IL VOTO”, di Claudio Fusani
Il centrosinistra Bersani: «Chi è indagato faccia un passo indietro»
Per Bersani non serve nessun «mea culpa» da parte del Pd. E poi: «Le regole devono valere per tutti. Se unoè indagato è corretto che faccia un passo indietro, anche se è innocente, per non coinvolgere le istituzioni». «Va invalidato il voto su Papa. È stato violato il principio e il diritto del voto segreto». Quello del capogruppo Pdl
Fabrizio Cicchitto è un tentativo tardivo e un po’ disperato di recuperare una verginità persa per sempre: per la prima volta il Parlamento ha dato il via libera all’arresto di un deputato per fatti non di sangue, omicidio e terrorismo, ma per concussione e favoreggiamento. Precedente «gravissimo perché apre le porte del parlamento alle procure». Cicchitto se la prende con «la militarizzazione del voto segreto». È la storia – rivelata da Franceschini nell’intervento in aula – del voto con il dito indice della
sinistra, per disincentivare possibili franchi tiratori di una parte e dall’altra.
Il tentativo di Cicchitto dura una manciata di ore. E muore intorno alle 5 del pomeriggio quando il presidente della Camera Gianfranco Fini precisa: «Ogni deputato ha il sacrosanto diritto di votare in
segretezza, ma ogni deputato ha anche la facoltà, se lo ritiene, di far sapere come ha votato. L’unica cosa che conta è che l’aula in piena autonomia e sovranità si è espressa sulla carcerazione di un deputato».
La segretezza è tale solo se un deputato se ne vuole avvalere. Lo avevano già detto due precedenti presidenti della Camera: Scalfaro e Bertinotti.
L’Unità 22.07.11