Siccità in Africa Orientale. “In un’altra epoca sarebbe stato possibile perdonarsi di non aver saputo cosa accadeva in altra parte del mondo. Oggi non è più così”. La notizia da molti giorni apriva i notiziari televisivi di lingua inglese ma non riusciva a bucare lo schermo di indifferenza della nostra informazione. Poi, domenica scorsa, Benedetto XVI ha lanciato durante l’Angelus un appello commosso alla comunità internazionale accendendo i riflettori sulla tragedia che in Africa Orientale sta colpendo 11 milioni di persone.
La siccità è una piaga antica, che purtroppo torna a riproporsi oggi nella forma più grave degli ultimi 60 anni colpendo direttamente alcuni Paesi del Corno d’Africa ma destabilizzando indirettamente altri, cioè quelli che ospitano i profughi in fuga, Paesi nei quali l’improvvisa pressione sta rapidamente facendo salire il prezzo dei generi alimentari.
La città di Mogadiscio non è più in grado di accogliere nuovi rifugiati e l’ospedale ha esaurito le scorte di medicinali; in altre aree, Al Shabaab ha autorizzato le agenzie internazionali a rientrare nel territorio sotto il proprio controllo per rispondere ad una crisi che li trova disarmati.
Nel campo di Dadaab, in Kenya – già dichiarato pieno nel 2008 – si affollano oggi circa 400.000 persone ma ogni giorno giungono dalla Somalia e dall’Etiopia migliaia di nuovi profughi, esausti per il lungo cammino e per la sete. Il campo registra un costante peggioramento dei tassi di malnutrizione e di mortalità.
Per queste ragioni, le Nazioni Unite hanno segnalato che la crisi alimentare – se non vi saranno interventi più decisi – potrebbe esplodere nelle prossime settimane in una vera e propria carestia. Purtroppo finora la comunità internazionale ha reso disponibili solamente 850 milioni di dollari a fronte di esigenze stimate in 1.8 miliardi. L’Italia sembra non rispondere adeguatamente a questo appello. Ma l’emergenza proseguirà poiché anche nel caso di una buona stagione delle piogge l’ottobre prossimo, i raccolti non sarebbero ovviamente disponibili prima del 2012.
“Nella Rift Valley mi sono sorpreso di fronte a migliaia di ettari di grano e granoturco che a prima vista appaiono come ampie distese pronte alla mietitura. Ma avvicinandomi – ha raccontato Tommy Simmons, direttore di Amref Italia – ho visto che purtroppo le piante non sono più alte di dieci centimetri. Il raccolto, anche in questa zona che è uno dei granai del paese, farà fatica a raggiungere il 10% della media.” Noi siamo consapevoli che il nostro Paese attraversa un momento difficile, che la manovra economica batte sui soliti, che in queste circostanze si attenua la predisposizione alla solidarietà internazionale; tuttavia sappiamo che il Partito Democratico è una grande forza popolare, che gli ideali di giustizia e di umanità sono radicati nei suoi militanti. Perciò la tragedia della siccità in Africa Orientale sarà la prima occasione in cui il PD e Agire metteranno alla prova il protocollo d’intesa appena firmato e che verrà presentato assieme a Bersani la settimana prossima.
In un’altra epoca sarebbe stato possibile perdonarsi di non aver saputo cosa accadeva in altra parte del mondo. Oggi non è più così. Un astronauta arabo di ritorno da una missione dello Shuttle commentò “Il primo e il secondo giorno puntavamo lo sguardo verso i nostri paesi. Il terzo e il quarto giorno cercavamo i nostri continenti. Il quinto giorno acquistammo la consapevolezza che la Terra è un tutto unico.” L’Africa Orientale ci chiama oggi ed è parte di quel tutto.
L’Unità 21.07.11
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“La più grave catastrofe umanitaria del mondo. I più a rischio sono i bambini. Appello Unicef”, di Umberto De Giovannangeli
Un Paese devastato dalla guerra civile e paralizzato da un’agricoltura sottosviluppata. Onu: «In Somalia è carestia» Senza cibo milioni di persone. La più grave catastrofe umanitaria del mondo. È quella in atto nel Corno d’Africa, con l’epicentro in due regioni del sud della Somalia. È la «carestia dei bambini», sottolinea l’Unicef. Il 25 a Roma vertice della Fao. Nel Corno d’Africa siamo di fronte alla «più grave catastrofe umanitaria del mondo». A lanciare l’allarme è Antonio Guterres, l’Alto commissario Onu per i rifugiati (Unhcr). Dopo diciannove anni torna la carestia in Somalia. La dichiarazione ufficiale arriva dalle Nazioni Unite che parlano di 3,7 milioni di persone metà della popolazione somalain crisi, 2,8 milioni delle quali si trovano nelle due regioni del Bakool meridionale e della bassa Shabelle. Secondo l’ufficio Onu per il Coordinamento degli aiuti umanitari per la Somalia i tassi di malnutrizione sono tra i più alti al mondo con picchi del 50 per cento in alcune zone del Paese. A Bakool e Shabelle la malnutrizione acuta colpisce oltre il 30% della popolazione e più di 6 bambini ogni 10mila muoiono ogni giorno.
OLTRE L’EMERGENZA
Valori che eccedono addirittura la soglia che definisce una carestia: tassi di malnutrizione infantile superiori al 30%, due adulti o quattro bambini ogni 10mila morti di fame al giorno e un accesso giornaliero al cibo inferiore alle 2100 chilocalorie. «Se non interveniamo ora la carestia rischia di diffondersi nelle otto regioni della Somalia meridionale nel giro di due mesi a causa degli scarsi raccolti e dello scoppio di epidemie», avverte il coordinatore umanitario dell’Onu Mark Bowden. La situazione somala è peggiorata anche dalla circostanza che le regioni colpite attualmente dalla carestia sono controllate da gruppi armati di islamici, gli affiliati di Al Shabab e Al Qaeda, che hanno bandito nel 2009 ogni aiuto proveniente da Paesi stranieri. Solo recentemente il veto è stato rivisto, ed il territorio è stato reso accessibile, sia pur con delle limitazioni: «A causa di un conflitto in corso è estremamente difficile per le agenzia umanitarie lavorare e accedere alle comunità del sud del Paese», hanno spiegato nella sede locale dell’Onu. In questo scenario drammatico, migliaia di somali fuggono oltre il confine: 166 mila, secondo l’emittente britannica Bbc, sono già scappati verso Kenya ed Etiopia. Un fiume umano, con oltre 1.000 arrivi al giorno, viene segnalato nel complesso di campi profughi più grande del mondo, a Daab. Chi arriva qui, trascinandosi a piedi in cerca di acqua e cibo, spesso non riesca a salvare i propri figli: troppo denutriti e deboli, secondo quanto riferisce Medici senza frontiere, per essere salvati. Il segretario generale Ban Ki-Moon ha lanciato un appello ai Paesi donatori, servono 1,6 miliardi di dollari, dice, per salvare la Somalia. «Adulti e bambini rimarca Ban muoiono ogni giorno ad un ritmo impressionante, e i ritardi (negli aiuti) possono causare ulteriori morti». Anche la Fao si è unita all’appello internazionale a sostegno dei 12 milioni di persone colpite dalla siccità nel Corno d’Africa e, in attesa del vertice 25 luglio, che si svolgerà a Roma, ha chiesto 120 milioni di dollari per fornire un’assistenza agricola d’emergenza. In Somalia la situazione è particolarmente complessa anche per i conflitti permanenti che attraversano il territorio: le regioni colpite attualmente dalla carestia sono controllate da gruppi armati di integralisti islamici, gli affiliati di Al Shebaab e Al Qaeda, che hanno messo al bando nel 2009 ogni aiuto proveniente da Paesi stranieri. Solo recentemente il veto è stato rivisto, sia pure con delle limitazioni. Ieri, uno dei responsabili degli Shebaab ha espresso soddisfazione per l’intervento dell’Onu («il riconoscimento dello stato di carestia è benvenuto») aggiungendo: «Vorremmo vedere gli aiuti».
LA CARESTIA DEI BAMBINI
«La metà dei 3,7 milioni di persone colpite è costituita da bambini sotto i 18 anni e uno su cinque ha meno di 5 anni puntualizza l’Unicef circa 554.000 bambini sono malnutriti. In Somalia, dall`inizio del 2011 sono già morti più di 400 bambini, una media di 90 bambini morti ogni mese, con un tasso di mortalità dell`86% nelle regioni centro-meridionali, nonostante l’Unicef e i partner abbiano già curato nello stesso periodo oltre 100.000 bambini affetti da malnutrizione acuta». Nelle aree maggiormente colpite, appena il 20% della popolazione ha accesso all`acqua potabile, mentre i dati a disposizione indicano che un bambino su nove muore prima di compiere un anno, uno su sei prima del quinto compleanno.
Nei prossimi sei mesi, l’Unicef conta di fornire aiuti e assistenza per la cura di 70.000 bambini affetti da malnutrizione grave, attraverso l`apertura di nuovi centri di alimentazione terapeutica e il sostegno a team mobili, e di raggiungere altri 75.000 bambini con malnutrizione moderata.
L’Unità 21.07.11
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“La carestia del secolo che piega il Corno d´Africa”, di Pietro Veronese
L´Onu ha decretato lo stato di carestia in due regioni meridionali: una decisione politica oltre che umanitaria milioni di dollari in aiuti rischiano di finire agli Shabaab, le bande islamiche che controllano il Sud del Paese Li abbiamo visti arrivare alla spicciolata. Lo scatto di un fotografo, un breve filmato nei tg. Li conoscevamo già, sono tornati: i corpi scheletriti, gli occhi ingigantiti nei volti, lo sguardo muto. Gli affamati sono di nuovo tra noi. Alla fine anche la burocrazia globale delle Nazioni Unite ha apposto il suo timbro e il mondo ha ufficialmente appreso quello che milioni di africani sapevano già. Nel Corno d´Africa è in atto una spaventosa carestia, la peggiore degli ultimi vent´anni e secondo gli esperti «la prima da riscaldamento globale». È probabile che «decine di migliaia di persone siano già morte, nella maggior parte bambini», stando alle parole del coordinatore umanitario Onu per la Somalia, Mark Bowden. Se è così, è difficile capire perché l´allarme venga lanciato solo adesso, quando è da almeno un mese che le ong si sgolano per allertare l´opinione pubblica internazionale. Una logica, sia pure perversa, tuttavia c´è: proclamare uno stato di carestia è una decisione di rilevanza politica oltre che umanitaria, e le Nazioni Unite hanno impiegato ogni cautela. Probabilmente troppa.
L´allarme Onu riguarda per il momento due regioni della Somalia meridionale, il Sud Bakool e il Basso Scebeli. «Ma se non agiamo adesso», ha detto ancora Dowden, «entro due mesi la carestia si estenderà a tutte e otto le regioni della Somalia meridionale. Ogni giorno di ritardo negli aiuti è letteralmente questione di vita o di morte».
E non è tutto, perché la siccità – che della carestia e della morte per fame è la gran madre – è assai più estesa della sola Somalia meridionale. Essa sta infierendo direttamente e indirettamente nel Sud dell´Etiopia e nel Nord e nell´Est del Kenya. Direttamente, perché anche queste altre regioni del Corno d´Africa sono gravemente colpite dalla mancanza di piogge e da temperature più alte della media. Nella zona del lago Turkana, ad esempio, il bestiame è ormai decimato e i granai sono vuoti, con gravi e crescenti sintomi di denutrizione nella popolazione, come testimoniano le ong attive da quelle parti (“Veterinari senza frontiere” e “Medici senza frontiere”). Gli effetti indiretti sono dovuti invece all´enorme afflusso di profughi della fame dalla Somalia, che cercando di raggiungere il Kenya a Ovest – dove sono già arrivati a centinaia di migliaia – e l´Etiopia a Nord, aggravano con la loro sola presenza una situazione già deficitaria in materia di fabbisogno alimentare.
Se ci si limita alla sola Somalia, il numero di persone a rischio della vita è, secondo la stima Onu, di 3 milioni e 700mila, di cui 2 milioni e 800mila nelle regioni meridionali. Portare aiuti alimentari è un vero rompicapo, perché le infrastrutture somale sono devastate da un ventennio di guerra civile, i porti sono in mano ai pirati, gli aeroporti alle più diverse bande armate, le strade derelitte e aperte a predoni di ogni specie. Nell´immediato, la cosa migliore da fare secondo gli esperti è immettere denaro contante, sperando che in tal modo le derrate affluiscano sui mercati locali. E qui entra in gioco la politica.
A impedire l´afflusso di aiuti alimentari non è soltanto la catastrofe logistica. È stato anche, nei mesi scorsi, il divieto imposto dalle feroci bande islamiche che controllano buona parte del Sud della Somalia, gli Shabaab (ovvero “i ragazzi”). Gli aiuti creano dipendenza, avevano proclamato. All´inizio di luglio, vista la situazione, hanno tolto il bando, ma nel frattempo la macchina internazionale era rimasta ferma. Per questo, adesso, l´unica cosa che può arrivare rapidamente è il denaro. «Servono 300 milioni di dollari entro due mesi», ha detto Bowden. La prospettiva, per i donatori occidentali, è dunque quella di mettere una bella quantità di contante nelle mani degli Shabaab.
Non soltanto in Somalia la politica avvelena l´emergenza umanitaria. Anche in Kenya sono in gioco fattori che poco hanno a che vedere con la sopravvivenza degli esseri umani. Il punto d´arrivo dei profughi della fame che a intere famiglie si avventurano a piedi attraverso il deserto verso il territorio keniano, morendo a migliaia lungo il cammino, è una località chiamata Dadaab. Qui sorge da oltre un decennio un vastissimo campo, alimentato dai profughi della guerra civile e diventato negli anni una specie di piccola città di oltre 300mila abitanti. Nelle scorse settimane, vista l´onda di moribondi che si andava abbattendo su Dadaab, le organizzazioni umanitarie hanno allestito in tutta fretta un nuovo campo. Ma per lunghi giorni il governo del Kenya ne ha impedito l´apertura, con una motivazione in parte comprensibile: non voleva trovarsi sulle spalle una popolazione di profughi raddoppiata, accampata alla frontiera con un Paese che è diventato una delle centrali mondiali del terrorismo islamico. Alla fine il Kenya ha ceduto e da qualche giorno il nuovo campo è in funzione. Nel frattempo, il numero dei bambini e degli adulti che non ce l´hanno fatta è aumentato.
La Repubblica 21.7.11
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“Mobilitiamoci per denunciare l’ignavia dei governi”, di Carlo Pietrini
In queste ore un esodo incessante di migliaia di somali stremati dalla fame e dalla siccità sta attraversando il confine con il Kenya. Migliaia di bambini muoiono nel tragitto, mentre nei tre campi profughi di Ifo, Hagadera e Dagahaley mancano cibo e acqua per alleviare le sofferenze di quasi mezzo milione di persone. Le Nazioni Unite non riescono a finanziare un intervento d´emergenza perché la comunità internazionale non risponde con sollecitudine e con mezzi adeguati.
Il cambiamento del clima, causato principalmente dai Paesi industrializzati e da sciagurate scelte di deforestazione, colpisce con spietata violenza questa parte del continente africano. Mi domando se questa non sia una giusta causa per mobilitare la nostra Europa in una missione di pace. Presidiamo con i nostri eserciti “di pace” diverse aree del mondo per garantire la democrazia, mentre le grandi potenze messe insieme non riescono a sfamare un popolo inerme, rassegnato alla morte per fame. Alla violenza di una Natura vilipesa è sempre e soltanto chiamato a rispondere il variegato mondo di organizzazioni umanitarie, missionari, cooperatori e qualche commissariato delle Nazioni Unite. È proprio vero che il pane degli altri ha sette croste!
L´incidenza del cambiamento climatico sull´agricoltura sarà sempre più devastante per l´Africa Subsahariana, che già oggi conta più di 300 milioni di malnutriti su una popolazione di 800 milioni. Questo è il vero fronte che bisogna presidiare per il nostro futuro, per la nostra democrazia. Un fronte difeso non con le armi ma con un nuovo esercito di donne e uomini convinti che la morte per fame si può davvero debellare.
Mi fanno ridere quelli che pretendono di fermare i flussi di migranti africani: con questa politica di assenza dinanzi a tali emergenze umanitarie i flussi s´implementano e non si ridurranno mai. Il vero quesito che bisogna porre con forza alla politica è se il diritto al cibo sia o no un diritto inalienabile per tutta la comunità terrestre. Perché se è tale allora occorre lavorare per una mobilitazione senza precedenti, in grado di smascherare l´ignavia dei Governi.
La Fao ha parlato di 37 miliardi di dollari all´anno per ridurre drasticamente i morti per fame: un´inezia! La verità è che su questa Terra c´è cibo per tutti. È il sistema alimentare che è profondamente ingiusto, che penalizza i più poveri, che depreda le risorse naturali e alla domanda crescente dei malnutriti propone soltanto di produrre di più.
I conflitti negli anni a venire saranno causati dall´accaparramento delle risorse idriche e dei terreni fertili. Mai come in questo momento la battaglia per estirpare la fame è prioritaria rispetto a tutte le altre. C´è da sperare che questo malconcio Governo italiano abbia un sussulto di dignità, mantenga gli impegni presi a livello internazionale e che risponda celermente al richiamo di questa emergenza nel Corno d´Africa.
La Repubblica 21.07.11