L’ intreccio tra debolezza politica dell’Italia e debolezza politica dell’Europa rischia di provocare un cataclisma di portata storica. La speculazione al ribasso che ieri si è abbattuta di nuovo sui nostri titoli di Stato e sulla nostra Borsa non rappresenta tanto un giudizio negativo sulla manovra economica appena approvata, quanto una scommessa su questa nefasta combinazione di due crisi.
I mercati finanziari scatenano la loro inquietante potenza contro l’Italia perché ritengono che, indebolita abbastanza, possa causare una rottura dell’euro.
Certo la nostra manovra economica poteva essere migliore, meno fondata su aumenti di tasse e meno rimandata alla successiva legislatura. Ma in queste ore si tratta d’altro. Se è servita a poco perfino la novità assoluta di un voto del Parlamento a tempo di record, è perché l’Italia viene usata, per dirla in gergo, come proxy (sostituto) per puntare su una crisi generale dell’euro. L’Italia è un mercato grande, liquido; nei mesi scorsi era risultato difficile smuoverlo, ora che si agita la speculazione vi si getta in massa.
Così pure sono colpite in Borsa le nostre banche, benché gli stress test abbiano dimostrato che sono abbastanza solide e poco esposte – al contrario di quelle francesi e tedesche – verso la Grecia.
Certo nei guai ci siamo finiti per ragioni tutte nostre. Che l’Italia fosse un Paese poco dinamico, sull’orlo di un possibile declino storico, si sapeva già; ma i processi lenti, epocali, ai mercati finanziari interessano poco. A scatenare il pandemonio è stata la percezione che il nostro governo non fosse in grado di reagire con efficacia commisurata agli eventi; e che l’instabilità politica possa durare a lungo anche dopo una sua eventuale caduta. In una prima fase, le vendite di titoli italiani non si potevano definire speculative; era una reazione normale, di investitori normali, alla diminuita fiducia nel Paese.
Una volta che i tassi di interesse sul nostro debito hanno cominciato a salire, la speculazione si è allertata. Ha interagito la crisi dell’euro: la fragilità dimostrata dall’unione monetaria fa sì che una volta saliti i tassi è difficile che ridiscendano. E se il differenziale di tasso di interesse con la Germania rimanesse per anni sui livelli attuali, il debito pubblico italiano non riuscirebbe a scendere mai. A sua volta, la prova che l’Italia poteva essere contagiata ha cambiato gli scenari della crisi dell’euro. Grecia, Irlanda e Portogallo pesano solo per il 6% circa nel prodotto lordo dell’intera unione monetaria. Aggiungendo l’Italia e la Spagna, si arriva invece a un terzo.
In queste ore c’è da salvare l’Europa. I guai dell’Italia non sono certo risolti, ma necessitano di soluzioni solide e progettate con calma. Il tempo per affrontarli ce lo può dare solo una soluzione alla crisi europea. Occorre che l’area euro trovi strumenti in grado di dare fiducia che le crisi dei Paesi deboli saranno risolte. In vista del vertice di giovedì, diverse ipotesi circolano. Peccato che il problema principale non sia tanto stabilire chi paga, quanto che cosa si potrà dare a intendere agli elettori a proposito di chi paga.
Al di là delle soluzioni tecniche – soprattutto quel potenziamento del Fondo di salvataggio europeo, l’Efsf, che da mesi la Germania intralcia benché sia un tedesco a dirigerlo – occorre una prova di solidarietà. Le interdipendenze dentro l’area euro sono nei fatti. Se i cittadini di ogni Paese si sentono in balia delle scelte sbagliate fatte dalla politica di altri Paesi, a un certo punto sarà inevitabile che prevalga la voglia di tagliare i legami. Negli ultimi anni, si è preferito affidare l’Europa ai rapporti tra governi piuttosto che a organismi comuni (tranne la Bce, unica istituzione federale): il risultato è desolante, ma non possono essere che i governi stessi a rimediare. Speriamo che ce la facciano, e presto.
La Stampa 19.07.11