Le quote rose sono legge. Bene. Un po’ d’innovazione dall’alto non fa male, apre spazi, discussioni e coscienza di sé, diritti. Da far valere quando le donne si trovano sopra la testa quel “soffitto di cristallo” da cui si vedono le posizioni apicali nella società, nelle imprese, nelle professioni e in politica. Sembrano a portata di merito, ma negate nel merito.
«Con merito e nel merito», appunto, è stata titolata la sintesi di una ricerca realizzata da UniCredit intervistando 200 donne che ce l’hanno fatta a rompere il soffitto di cristallo. Ci è utile per capire che oltre all’innovazione dall’alto delle quote rosa, solo da un sommovimento dal basso delle élite al femminile sarà possibile rompere il soffitto di cristallo e far diventare realtà ciò che per legge è immaginato. Sono sette i luoghi sociali, i laboratori delle quote rosa dal basso.
Le avanguardie di questa onda rosa stanno nelle grandi organizzazioni imprenditoriali e regolative ove sta emergendo una classe dirigente femminile capace di ottenere ottimi risultati e farsi valere. Il tema della leadership ha il suo epicentro nelle grandi strutture transnazionali, siano queste grandi banche, grandi gruppi e nelle istituzioni regolative, come l’apparato giudiziario. Si riconosce a queste grandi strutture nazionali e sovranazionali la volontà di promuovere al proprio interno, pur con tanti limiti e difficoltà, processi di empowerment femminili. Anche in questi contesti “favorevoli” scattano però le barriere implicite tra il far carriera nel management ed entrare nei cda.
Queste isole ove le donne sono al lavoro e aprono strade verso la leadership per fortuna hanno attorno un mare, quello del capitalismo diffuso e territoriale, ove da alcuni di anni il ruolo della donna conta sempre un po’ di più. È sempre meno come un tempo, in cui la donna-moglie, oltre che vestale del focolare era anche custode dell’amministrazione della piccola impresa manifatturiera o commerciale. La novità risiede nel passaggio da quella che era una dimensione di esclusione, l’eredità imprenditoriale, a una progressiva inclusione di figure femminili con crescente responsabilità. Da un punto di vista di genere si può azzardare che sia in atto una transizione senza fratture nel capitalismo famigliare. Ci sono alcuni settori, come quello agroalimentare, vitivinicolo e turistico, in cui si segnala l’affermazione di un numero sempre maggiore di donne imprenditrici di successo.
Questo cambiamento influenza anche il settore della rappresentanza del lavoro e dell’impresa che registra una femminilizzazione a tutti i livelli. Emma Marcegaglia e Susanna Camusso sono citate spesso come emblemi di un cambiamento in atto. Se l’esempio vien dall’alto, anche nelle organizzazioni territoriali, specie giovanili, si aprono spazi per la leadership femminile duramente conquistata soprattutto nel tessuto della piccola impresa artigiana, agricola e dei servizi, dove la cultura patriarcal-imprenditoriale è dura a morire.
C’è un gran voglia di far da sé che, oltre che nell’impresa, precipita nel fare professione, quelle ordinate e riconosciute negli ordini e quelle della terziarizzazione da partita Iva. Il terziario è stata una via laterale e faticosa per prendere voce e visibilità. Laddove si lavora comunicando è diffusa la presenza femminile. Si dispiega soprattutto alla base delle piramidi professionali, in questa dimensione orizzontale più che verso il soffitto di cristallo il mondo delle professioni al femminile rischia di sprofondare in un’altra polarità: precariato, incertezza, donne acrobate nel ciclo del tempo fatto di lavoro-famiglia-figli e spesso genitori di cui prendersi cura. Qui, più che altrove, se non cambiano le forme di organizzazione del lavoro, la conciliazione tra vita e lavoro, il rapporto tra i sessi, l’idea di merito e di leadership, pur lavorando comunicando, saranno difficili da raggiungere.
Molto dipenderà anche dalle norme prodotte dalla politica. Proprio per questo si attribuisce una grande importanza alla sfera della regolazione politica, sui temi della rappresentanza, conciliazione, meritocrazia, quote… Il problema è che questo ambito fondamentale è ritenuto espressione di un sistema di reclutamento per cooptazione selettiva, ancor più accentuato dall’attuale legge elettorale. Qui l’interpretazione della leadership appare spaccata tra subalternità al maschile, moderato rancore autocritico e una difficile e controversa affermazione della presenza e differenza femminile.
Questo sentire che accomuna la terziarizzazione, la politica e il settore della formazione e della ricerca, pubblico e privato. Qui, come nel terziario, è forte il processo di femminilizzazione specie quando si prendono in considerazione ambiti come quelli della scuola e dell’università. Anche in questo settore si registrano ampi fenomeni di segregazione verticale, pochissimi presidi, rettori o professori ordinari donna. E anche orizzontale, essendo poche le docenti in ambito ingegneristico e finanziario. Nel campo della ricerca le donne giovani e meno giovani ci sono, ma soltanto una minoranza di queste occupano posizioni di effettivo rilievo.
Caratteristica che riguarda anche il mondo della cura e del no profit. Il tema della cura rimanda a un tema caro al genere femminile. Difatti vi sono nel settore minori barriere all’entrata e un ampio ventaglio di situazioni contrattuali disponibili ma, pur essendo un mondo al femminile, si lamentano scarse posizioni di leadership. Anche nei casi in cui si è applicato lo strumento delle quote per riequilibrare la rappresentanza di genere nelle punte apicali, delle organizzazioni no profit o delle cooperative sociali, a fatica si riescono a trovare donne disponibili ad occupare tali incarichi. Non sempre si pensa a una donna quando si tratta di stilare l’elenco delle figure da promuovere nelle posizioni di vertice. Comportamenti del mondo della cura che si rispecchiano nel grande apparto della sanità: tante sono le donne medico, pochissime le primarie.
Emerge un quadro in movimento che preme in ognuno di questi sette ambiti raccontati per rompere il soffitto di cristallo. Solo dall’incontro tra innovazione sociale e innovazione istituzionale, come sempre, si potrà realizzare una società che viene avanti.
Il Sole 24 Ore 18.07.11