Luglio 2001: Genova diventa teatro degli scontri durante il G8. Centinaia i feriti A terra rimase Carlo Giuliani, ucciso mentre assaltava un mezzo dei carabinieri. Era il 20 luglio 2001, i giorni del G8 affumicati e soffocati da una guerriglia devastante e da una repressione in parte impazzita e in parte me- Etodica. Oggi in piazza Alimonda Elias Ulebro, 22 anni, originiario del Chiapas, venuto in Italia a esplorare il nostro secondo Novecento poetico, legge Giuseppe Ungaretti, ma anche indaga fatti di quand’era piccolo e voce dei quali arrivava a casa sua. Dieci anni fa in questa piazza un proiettile calibro nove – sparato da un carabiniere di leva chiuso in un Defender arenato tra bidoni di immondizie e assediato – lasciò a terra Carlo Giuliani, 23 anni, che sollevava contro il blindato un estintore. Fra due giorni in questo slargo, ricordando Giuliani, entrerà nella fase più sofferta il mese di manifestazioni dedicate al decennale da «Verso Genova 2011», arcipelago di sigle e organizzazioni. Una settimana di serpentina fra i temi svaporati nel 2001 e il film di queste strade allora abbrutite e poi rinate. Un’attesa cercando di intuire chi vincerà tra intenti di pacifismo e proclami bellicosi dell’antagonismo più duro. Elias, nel dehors, indaga il secondo dei suoi tre libri, Pier Paolo Pasolini: «Testimoniare / con forza giovanile / il tormento, con la violenza e la pietà».
A nuova battaglia – che massacrerebbe l’anniversario – non vuol credere una città che si sentì violentata e oggi si ricorda come un meraviglioso palcoscenico («Genova sembrava d’oro e d’argento», titolò il suo romanzo l’ex poliziotto Giacomo Gensini) tradito e infuocato da teatranti ebbri di violenza, senza copione o dai copioni feroci. Genova non ha dimenticato, è rimasta un quieto archivio, ma con pareti di cristallo: «Da dieci anni si lotta per dissolvere una identificazione ammorbante». Il bar d’angolo di piazza Alimonda e i giardini dietro l’edicola sono l’enclave della tifoseria genoana, ma i Sampdoriani affiggono l’orgoglio «dei nostri colori», badanti latinoamericane cercano fresco sulle panchine. La piazza, molto genovese e un po’ parigina, si riappropria di sé: «Qui si è provata pena per un ragazzo morto e la stessa pena per un altro che la vita l’ha salvata ritrovandola per sempre rovinata». Ogni anno c’è il ricordo di Giuliani: «Possiamo capire. Capiamo meno quelli che vengono a vedere la piazza e si aspettano gli scontri, la gente che guarda il Gran Premio e lo trova bello quando cozzano le auto».
Sulla destra ci sono piazza Tommaseo e corso Buenos Aires. Qui i Black bloc fecero a pezzi la pavimentazione per armarsi meglio, partirono prime cariche. Oggi si cammina su nuova pietra intorno alla grande aiuola con il monumento italoargentino a Manuel Belgrano, maestro di «grande fratellanza». Contenitori in plastica con l’acqua e bricioloni di pane per i piccioni. Sulla sinistra si sale per via Montevideo, allora fornace di auto, che porta a via Tolemaide e corso Gastaldi, lungo la ferrovia di Brignole.
In punta a questa strada c’è lo stadio Carlini – campo del rugby da dove partì il corteo delle tute bianche – muto nell’incuria, incatenati i cancelli, unica eco torva le scritte erotiche infette di rancore: «Sei una puttana!». Scendevano da qui i dimostranti più numerosi, scendevano verso un demoniaco imbuto: sei corsie di strada, senza fughe laterali. Poco prima dei tunnel verso Marassi via Tolemaide si stringe a cono, e lì all’angolo con corso Torino, un reparto di Carabinieri fu isolato, un blindato avvolto di fiamme, mentre la grande strada in discesa mostrava l’enormità della folla che calava come inarginabile verso la zona rossa. Da lì panico, quasi nessuna comunicazione, le cariche, il caos di piazza Alimonda, lo sparo. In fondo al corteo ancora non sapevano. Ora, dove corso Gastaldi e via Tolemaide si scambiano il nome ci sono ai balconi i panni stesi e, al piano sopra, la bandiera dell’Unità d’Italia: «Da quassù vedevamo il fumo, la cariche, lassù folla imbottigliata». Nel vuoto trasandato dei portici si ha il brivido delle immagini di allora che si sovrappongono a questo grigio e lo tingono: corpi e volti insanguinati, immobili come morti e, contrasto con quella apparente morgue a cielo aperto, una richiesta d’aiuto, un urlo con un braccio teso verso l’alto che sembra un particolare della «Casa di Lazzaro» di William Blake, riproduzione della quale sta nei corridoi della Questura.
Da qui punta verso il mare l’alberato corso Torino. Da qui, sfasciando e devastando – mentre altri, al di là dei tunnel sotto i binari correvano a incendiare le porte del carcere di Marassi – incappucciati prendevano slancio verso corso Italia. A due passi dalla Fiera stanno avviando i lavori nell’autosalone bruciato dai black bloc, accanto a piazza Rossetti, per dieci anni totem di immobilità del tempo. Dando le spalle al porto, avanti per corso Italia si spalma la memoria di un corteo pacifico: «Venivano giù ignari, tranquilli». L’uomo in monopattino sul lungomare indica la spiaggia con la ghiaia scura e le barche in secca, pochi bagnanti: «Tanti presero per la scalinata, a monte, altri si rifugiarono lì». Scappavano dalle cariche, inseguiti fino all’acqua di mare che diveniva muro anziché libertà.
La spiaggia, piazza Alimonda, l’esser nulla del Carlini ritraggono Genova che si vuol rivedere «d’oro e d’argento». Ma dall’archivio di cristallo si spargono echi. In via Battisti la scuola Diaz ha sapore ferroso anche per chi non c’era, l’architettura candida si impone con emozioni cupe: «Sono arrivata qui l’anno dopo, eppure…». Piccolo negozio a lato della Diaz, due seggiole all’esterno, due caffè al volo: «Non c’ero, eppure sento a volte un’inquietudine». Salendo a Castelletto per guardare Genova brillante e scoprire quant’era immensa e tetra nella sua quiete la zona rossa, ci si sente chiamare dall’uomo sulla panchina. Come già sapesse cosa vai cercando, tende il braccio: «Rimasi qui ore e ore a guardare il fumo laggiù, non diradava mai. Dicevo: dov’è Genova? che cosa stanno facendo a Genova? E ora?».
Ora è celebrazione anziché protesta diretta. Resta da vedere che cosa la ricorrenza evoca nelle frange nichiliste e quanto spazio, quanta maschera possono trovare in una folla che vuole voce e non fiamme e sangue. Questura e Carabinieri sorvegliano l’avvicinarsi degli anniversari mostrando pacatezza e lo fanno con la fiducia di una città che dà riscontro nella per niente banale routine quotidiana. Se l’archivio di cristallo ha un perdono non ancora elargito, è politico: se hanno promosso i condannati, per il Governo non hanno commesso errori, hanno obbedito al meglio. In piazza Alimonda, a sera, Elias ascolta parlare di black bloc e pacifisti, legge dal terzo dei suoi libri. Giovanni Testori: «Sediamoci come se fosse una sera uguale alle altre».
La Stampa 18.07.11