Otto mesi fa il ministro cominciò a pensare al nome, simbolo, costi, e parlamentari che avrebbero potuto seguirlo. E ora nel Pdl c’è chi ripete che «il tesoretto di Milanese doveva servire a finanziare quel partito». Probabilmente l’ha fatto per precauzione in un passaggio ad alto rischio per il governo Berlusconi e in un momento in cui sentiva forte l’ostilità dentro il Pdl. Insomma, non è scontato che il partito di Giulio Tremonti diventi un progetto concreto. Tuttavia, già nel novembre scorso, il ministro dell’Economia ha depositato in gran segreto un nome e un simbolo. E l’opzione – o forse il deterrente – è ora nelle sue mani. In un contesto politico mutato, ma per certi aspetti persino più insidioso e conflittuale nel centrodestra. Da quando è scoppiato il caso Milanese, del resto, a Montecitori esponenti del Pdl ripetono che “il tesoretto di Milanese doveva servire a finanziare il partito di Tremonti». Non è escluso che la notizia, o il sospetto, di una simile operazione sia addirittura all’origine della guerra in corso tra il premier e il suo super-ministro dell’Economia. Non è neppure escluso che Tremonti attribuisca a questa ragione la macchina del fango che si è scatenata contro di lui e che lo ha indotto a parlare al magistrato di Napoli di un “metodo Boffo” ai suoi danni. L’operazione, cioè il deposito del nome e del simbolo, avviene tra l’autunno e l’inverno dell’anno scorso. Novembre 2010 è il periodo più cupo per la maggioranza e la legislatura. Berlusconi è alle prese con la spallata (poi fallita) di Fini in Parlamento. Nel centrodestra la tensione è altissima e c’è malumore contro il (troppo) potente ministro dell’Economia. Nelle riunioni dei Consigli dei ministri volano offese e male parole. Prestigiacomo e Gelmini sono furibonde per la riduzione dei loro budget, Bondi diserta le riunioni afflitto dai tagli alla cultura. «Giulio provoca, ha massacrato dei dicasteri, così il governo si sfascia. Allora è vero che punta all’esecutivo tecnico…»sbotta il premier.
È il periodo, anche, dell’attacco concentrico al superministro da parte di Libero e del Giornale, sazi del sangue di Fini. Feltri intinge i testi nel veleno, “Tremonti socialista e illiberale”, “Giulio? Il miglior ministro che abbiamo, normale voglia andare a palazzo Chigi”. Editoriali che da una parte danno corpo all’ipotesi governo tecnico sotto la guida Tremonti e dall’altra avvelenano il fegato già bilioso del premier che in poche settimane finirà nel mirino del Rubygate.
Comincia, proprio in quelle settimane di fine 2010, anche il grande freddo con la Lega di Bossi da sempre fedele alleata di Tremonti. Il quale, stimato fuori e diffidato in casa, decide di aprire un paracadute: un nuovo soggetto politico con la sua leadership, un’ipotesi di rottura con il Pdl dopo aver dimostrato il piglio rigorista che ha salvato l’Italia dalla crisi. E’ allora che Tremonti comincia a ragionare sui dettagli operativi: nome, simbolo, costi, parlamentari che potrebbero seguirlo, alleanze e sponde. Non ancora un progetto. Più che altro una tentazione, un’idea di exit strategy da una situazione sempre più difficile anche dal punto di vista umano. Di questa possibilità, tenuta riservatissima, sono venuti a conoscenza nel tempo pochissimi interlocutori politici e non. Ma Tremonti, da uomo concreto, in via cautelativa ha cominciato a muoversi anche sul piano legale.
Alla luce di questo, assumono contorni diversi anche alcuni passaggi chiave delle due inchieste napoletane. Soprattutto l’interrogatorio del 17 giugno negli uffici della Dia aRoma in via Cola di Rienzo quando Tremonti rivela ai pm Curcio e Woodcock: «Al Presidente del Consiglio dissi che contro di me nulla avrebbero potuto certe campagne stampa col metodo Boffo. Ciò trovava riscontro in voci di Parlamento che mi sono permesso di segnalare
al Presidente del Consiglio. In quell’interrogatorio Tremonti dice di sentirsi “pedinato, spiato, solo e sotto attacco”. È primavera quando la tensione tra ministro Economico, palazzo Chigi e Lega è al massimo tanto che Tremonti è l’unico escluso, con Scajola, dalla cena dei ministri al Majestic (8 aprile) organizzata proprio, anche, per sparargli addosso. Forse proprio in quel momento il progetto politico di Tremonti giunge alle orecchie del premier. Da giorni a Montecitorio accuse strumentali cercano di stringere la posizione di Milanese a quella del ministro parlando del partito di Giulio e del suo finanziamento. Tentativo disinnescato dal procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore. Siamo a un regolamento di
conti finale.
L’Unità 17.07.11