L´ISTAT, ieri: i cittadini italiani poveri, cioè che vivono con meno di mille euro al mese per due persone, sono il 13,8 per cento. (In Germania, scriveva una lettrice di Repubblica, la stessa soglia vale per una sola persona). Quasi poveri sono il 7,6 per cento. Più di 8 milioni i primi. Quasi 3 milioni i secondi. Quanto ai “poveri-poveri” – quelli che non hanno il minimo per vivere, quelli poveri da morire e infatti muoiono, o sopravvivono come topi di discarica – sono 3 milioni e 129 mila persone. Poi ci sono quelli a rischio di povertà. Nel complesso, circa un quinto della popolazione. Gli altri stanno tutti bene, grazie.
Ora, l´osservazione è: 11 milioni di poveri, e in particolare 3 milioni e 129 mila persone che si trovano al di sotto della soglia “minima necessaria” per “una vita minimamente accettabile”, non sono una causa sufficiente, e anzi urgente, per varare una manovra economica da votare entro la prossima settimana? Non lo sono, evidentemente. Solo a dirlo, come ho appena fatto, si passa per buontemponi. La povertà non è un vincolo, né interno né esterno, per nessuno. La politica, che ha subìto un´umiliante sospensione a tempo indeterminato per eccesso di ribasso, con ciò certificando – sia pure con varie quote di responsabilità – la propria peculiare bancarotta, non sente né immagina di essere chiamata in causa dall´incidente di milioni di default registrati da tempo, su altrettante persone al di sotto della stessa insolvenza, perché i poveri poveri non hanno nemmeno uno straccio di debito. L´Istat, che ne certifica insieme l´esistenza e l´impossibilità dell´esistenza, è un´agenzia di rating della povertà da cui nessuno si sente minacciato. Se costringeste qualcuno dei padroni e dei soloni che immaginano di padroneggiare o di spiegare il funzionamento di un mondo di cui hanno perduto da tempo, ammesso che l´abbiano mai avuta, ogni bussola, a render conto dell´indifferenza a “emergenze” immemorabili e recidive come la povertà, vi direbbero che il mercato è inesorabile, e che la bontà non si quota in Borsa. Be´, possono sbagliarsi perfino in questo. La bontà vale per sé, per chi se ne intenda. Ma ogni tanto ai poveri assoluti e ai poveri relativi e ai poveri imminenti e a una quantità di altri impauriti e offesi torna la voglia di radunarsi e gridare di nuovo: “Pace alle capanne! Guerra ai palazzi!”. Tanto più si fa esplosiva questa voglia quanto più la povertà più nera fa brillare la disuguaglianza. E la cosa, ogni volta che avviene, non manca di portare con sé una quantità di conseguenze economiche e finanziarie. Non lo si vede mai abbastanza, prima. Prima, i cahiers de doléances sono solo noiosi quaderni di lamentele. Dopo, cambia tutto. Dopo, che si sia surclassato il protagonista dei vangeli coniando l´espressione “poveri-poveri”, prenderebbe un senso pregnante. “Beati i poveri-poveri, perché di essi è il regno-regno…”.
Il debito che abbiamo con i poveri di casa e del mondo non è “un mostro che finirà per divorarci”? Manovra è anche termine navale. Il ministro dell´economia e delle finanze ha ricitato il Titanic e ammonito i soliti della Prima Classe. Bastava la vecchia mezza verità che siamo tutti sulla stessa barca. Però, anche a voler abbracciare il trionfante interclassismo selvaggio, resta la differenza fra chi è ai remi, chi frusta i rematori, il capitano, e il cognato dell´armatore salito per diporto. Fra chi riempie l´intervallo prima di andare a sbattere ballando il fox-trot, o vomitando nella stiva. Il ministro e gli armatori non sanno quanto è fondato l´ammonimento. Rimane comunque la domanda che un buon numero di umani si facevano quando non era ancora così chiaro che si stava andando a sbattere, tutti quanti, in solido, e i pochi ballavano e i molti remavano e vomitavano nella stiva: anche ammesso che i milioni di poveri-poveri e di poveri-e-basta non trascinino a fondo i ballerini, è giusto che a loro sia riservato l´inferno in terra e in mare?
La Repubblica 16.07.11