Il mugugno o l’insofferenza di quelli di sinistra: per salvare l’Italia abbiamo una volta di più salvato Berlusconi, e senza ricevere nulla in cambio. Il sollievo o il flebile rilancio propagandistico di quelli di destra: il governo ha superato un’altra crisi, le opposizioni hanno le armi spuntate, siamo più forti di prima.
È sorprendente che con tutto quello che succede ci sia ancora in giro gente animata da tanto fuoco partigiano. Politici e giornali capaci di concentrarsi sul movimento di Palazzo mentre l’Italia è citata dai media mondiali per un solo drammatico concetto: non sarà la seconda Grecia, è troppo grande per essere salvata…
Appena martedì scorso davamo voce alla rabbia che sentiamo salire nel centrosinistra per il doversi far carico degli errori altrui, dunque non è per noi questione di essere bipartisan: è semplice logica politica.
In questi giorni non è mai stata in ballo la sopravvivenza del governo. Certo, anche l’ultimo peone sa che l’Italia avrebbe una credibilità decuplicata se a guidarla fosse qualcun altro. E del resto tutte le decisioni importanti in questa fase le hanno prese Napolitano, Draghi, Tremonti (non più come superministro, ma a sua volta bisognoso di qualcuno che garantisca per lui).
Il lungo e non metaforico sonno del premier, martedì pomeriggio, è l’immagine perfetta del suo ruolo: tutti italiani, di destra di centro e di sinistra, sarebbero sollevati se continuasse a dormire per settimane.
Ma non era realistico pensare che Berlusconi potesse farsi da parte de facto, e non solo per metafora, in questo momento. Né che la battaglia per mettere al suo posto qualcuno di più utile e più degno potesse avere una svolta, mentre tutti stavamo con gli occhi inchiodati allo spread con la Germania e all’andamento delle Borse.
Le opposizioni hanno fatto ciò che potevano e dovevano.
La manovra rimane brutta (e drammaticamente insufficiente) ma in alcuni punti grazie al loro intervento è un po’ meno iniqua: non è poco. Contraddizioni più gravi si aprono nel centrodestra, disabituato a misure energiche e dunque attonito, per dire, di fronte all’ipotesi di apertura nel mercato delle professioni. Rimane a verbale, e andrà ricordato, chi nel Palazzo è davvero a favore della Casta, che sia quella dei parlamentari col doppio incarico o quella degli avvocati.
Berlusconi non esce da questa strettoia né rafforzato né indebolito ma semplicemente inutile, qualsiasi frase autoconsolatoria possa pronunciare tra oggi e domani.
Non ha la più remota possibilità (e neanche la voglia) di governare a lungo. È ridotto all’impotenza perfino sui propri infimi affari personali. La sua permanenza a palazzo Chigi è un grave problema per l’Italia, ma non era l’urgenza di questi giorni, anche se Bersani fa bene a chiederne la cacciata a emergenza passata. Dall’altra parte, nessuno potrà mai più rimproverare al centrosinistra l’assenza di proposte, per non dire di responsabilità.
Anzi. Parlando di convenienze, se proprio si deve: quale sarebbe stato, per esempio per il Pd, il vantaggio di una crisi che si sarebbe potuta risolvere solo con esecutivi tecnici o “del presidente”?
Un governo non di centrosinistra al quale donare il sangue di misure impopolari, sollevando Berlusconi (e Tremonti) dall’onere di risponderne? C’è un tempo per ogni cosa. E il tempo di Berlusconi è segnato, manovra o non manovra.
da Europa Quotidiano 14.07.11
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“La nostra responsabilità non è collaborazione”, di Sergio D’Antoni
Un netto e radicale no a una manovra sbagliata e incapace di rispondere ai problemi strutturali del paese. Un pacchetto di emendamenti capaci di incidere sui picchi di maggiore iniquità. E la decisione di rinunciare all’ostruzionismo fine a se stesso in una fase di assoluta criticità per i mercati e per i titoli di debito nazionali. Il Pd si prepara ad affrontare i giorni decisivi della legge di bilancio.
Lo fa nel segno della coerenza, della trasparenza e della responsabilità. Rispondendo così, prima di tutto, all’appello del capo dello stato, che ha richiamato tutte le forze politiche alla coesione e alla collaborazione per una approvazione veloce.
Monito che non poteva essere ignorato da un partito che ha sempre fatto tesoro degli appelli del presidente e che individua nella responsabilità e nella coesione i propri principali riferimenti valoriali.
Ma non bisogna confondere il metodo con il merito. Perché in un contesto di oggettiva convergenza sulle tempistiche dell’approvazione, si inserisce la critica più profonda nei confronti di un provvedimento sbagliato in radice. Un insieme di norme che non risolvono i problemi di un paese che ha assoluto bisogno di riforme capaci di garantire una più equa distribuzione della ricchezza.
Anche al netto delle modifiche richieste dal Pd (rivalutazione delle pensioni basse, rimodulazione ed esclusione dei Bot nell’imposta sui conti titoli, allentamento del patto di stabilità per i comuni…) il testo rimane incapace di esprimere una visione strategica di crescita e redistribuzione.
La manovra di Tremonti rimane il degno epilogo di un governo che ha costantemente fatto cassa sui più deboli. Un esecutivo ormai allo sbando, che ha aumentato le sperequazioni, mortificando la coesione economica e sociale e affossando in ultima istanza l’obiettivo strategico dello sviluppo nazionale.
Di fronte a tali galloni, il mellifluo invito di Berlusconi di avviare un dialogo con le opposizioni appare tardivo, irritante e del tutto strumentale.
Se il Cavaliere pensa di trovare in questo argomento una possibile ancora di salvezza politica sbaglia di grosso. L’opposizione invocherà in maniera compatta le dimissioni sue e del suo governo un minuto dopo l’approvazione di questa manovra. Nessuna collaborazione è data con un esecutivo ormai inesistente e che per tre anni ha elevato a metodo politico lo scontro sociale, istituzionale e geografico. È tempo che questa compagine si faccia definitivamente da parte.
Il paese esce da una lunga fase di disgregazione economica e sociale ed è ancora immerso in una crisi che allenta ulteriormente la coesione nazionale. Il decennio berlusconiano che abbiamo alle spalle ha prodotto tante e tali macerie da rendere oggi necessaria una nuova stagione fondativa, per molti versi simile a quella che abbiamo vissuto nel biennio ’92-’93, quando la concertazione tirò fuori il paese dal vortice dell’inflazione e della disoccupazione. L’Italia ha assoluto bisogno di tornare a quello spirito.
Di entrare, possibilmente con la legittimazione politica di un voto, in una fase storica nuova, in cui tutte le forze alternative alla visione asfittica di questa destra possano dare un contributo nella definizione delle riforme necessarie.
Coesione vera, insomma, che abbia l’ambizione di sanare i conti dello stato, ma anche e soprattutto di guidare il paese lungo un sentiero di sviluppo ed equità sociale, nella consapevolezza che senza il riscatto dei ceti e delle zone deboli questo paese non sarà mai in grado di ripartire nel suo complesso.
da Europa Quotidiano 14.07.11