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«Affievolire e rivedere il 41bis» La proposta choc del governo, di Nicola Biondo

«Affievolire il 41bis o non reiteralo per quei detenuti i cui contatti con le organizzazioni mafiose sono venuti meno». È questo l’auspicio di Palazzo Chigi. A mettere nero su bianco la proposta è il Dipartimento per gli affari giuridici della Presidenza del Consiglio in una relazione presentata l’11 luglio scorso a Roma. Il rapporto, con l’introduzione del sottosegretario Gianni Letta, prende in esame le contestazioni e le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’amministrazione della giustizia in Italia, in particolare sui ricorsi dei detenuti al carcere duro. Rilievi che consentono al Dipartimento di «invadere» un campo tutto politico in una delle materie più incandescenti nella lotta antimafia, con la proposta di una riforma radicale del carcere duro. «In prospettiva – si legge nel documento – si potrebbe pensare di trasformare il 41 bis da regime speciale a regime ordinario di detenzione (derogabile, quando è il caso, in senso favorevole ai detenuti) o addirittura a pena di specie diversa, inflitta dal giudice con la sentenza di condanna e prevedere meccanismi di affievolimento o revoca nel corso dell’esecuzione, alla stessa stregua di quanto accade attualmente per tutte le altre pene in genere». L’obiettivo – sottolineano i tecnici di Palazzo Chigi nella Relazione al Parlamento – sarebbe quello di evitare i ricorsi dei detenuti al Tribunale europeo, la periodica reiterazione dei decreti per i detenuti e consentirebbe di liberare «rilevanti risorse lavorative». Insomma il 41bis costa e va rivisto.Ma non solo. Se la proposta venisse tradotta, sic et simpliciter, in legge, la decisione di spalancare per un mafioso o un terrorista le porte del carcere duro passerebbe dalle mani di un giudice e non – come avviene adesso – su decreto del Ministro di Giustizia su proposta delle Procure. «La politica non può demandare ai giudici una responsabilità che le compete – commenta il gip palermitano Piergiorgio Morosini – La sicurezza nelle carceri è uno strumento
politico».
SEGNALE INQUIETANTE
Ma il passaggio più delicato sul 41bis, nato come reazione dello Stato
alle stragi di mafia del 1992 e divenuto legge solo dieci anni dopo, deve ancora arrivare. Ed è contenuto a pagina 66 della relazione, in cui si parla dell’affievolirsi delle esigenze di mantenere il 41bis per coloro che da molti anni scontano la pena nei bracci speciali. «I primi 41 bis – sostiene il rapporto – sono in proroga continua da circa 15 anni, per cui si percepisce, nella magistratura di sorveglianza, un certo disagio nel motivare la perdurante sussistenza, dopo tanto tempo di mancati contatti con le associazioni criminali di riferimento, anche perché difficilmente la polizia svolge indagini sui condannati e dunque mancano relazioni di polizia giudiziaria effettivamente utilizzabili». Se il principio passasse, il rischio di vedere uscire dal 41bis boss e semplici gregari sarebbe molto alto. Non Salvatore Riina magari, ma pezzi da novanta come Bagarella e Aglieri, condannati per le stragi del ’92-’93, da oltre un decennio al 41 bis, potrebbero ottenere di uscire dal circuito carcerario differenziato. Ma c’è un dato che msmentisce la relazione: le indagini recenti – e la stessa commissione Antimafia – dicono che anche dal carcere i boss comunicano nonostante le restrizioni. «La Presidenza del Consiglio condivide questo rapporto?», chiede la capogruppo del Pd in commissione Antimafia, Laura Garavini, in un’interrogazione parlamentare alla Presidenza del Consiglio firmata anche da tutti gli altri membri Democratici. Per Garavini, «l’ipotesi di trasformare il41 bis da regime detentivo in pena accessoria muterebbe profondamente la natura di questo provvedimento, limitandolo nel tempo e rendendolo applicabile solo ai mafiosi condannati e non a quelli appena arrestati, come ora avviene». E aggiunge: «È pericoloso lanciare questo tipo di segnali verso il sistema mafioso che potrebbe intravedere nei contenuti di questa relazione una disponibilità ad attenuare l’attuale regime del 41bis». «Qualsiasi ammorbidimento è un regalo alla mafia» rincara Giovanna Chelli dell’Associazione familiari delle vittime di via dei Georgofili.

IL PRECEDENTE DEL 1993
Materia incandescente, sia dal punto di vista politico che giudiziario. Due le inchieste aperte proprio sul 41bis: quella della Procura di Palermo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia secondo la quale l’uscita dal carcere duro di centinaia di mafiosi, avvenuta nell’ottobre del 1993, fu parte di un accordo tra boss e uomini delle istituzioni. Una seconda inchiesta condotta dalla procura diRoma riguarda i tentativi di controllo di alcuni detenuti al 41bis prossimi alla collaborazione le cui rivelazioni, secondo iPm,venivano monitorate da uomini dei servizi segreti su input politici con l’obiettivo di «disinnescarle». Il 41bis d’altronde è sempre stato un«chiodo fisso» per il popolo di Cosa Nostra che più volte ha manifestato pubblicamente il proprio dissenso: prima con Leoluca Bagarella secondo cui «le promesse nonsono state mantenute» poi con un clamoroso striscione allo stadio di Palermo il giorno dopo l’entrata in vigore della legge sul carcere duro nel dicembre 2002. «Uniti contro il 41bis – era scritto – Berlusconi dimentica la Sicilia». Dopo questo rapporto della Presidenza del Consiglio si conferma così un dato: a distanza di 19 anni dalla sua prima applicazione, il 41bis rimane una delle frontiere più delicate della lotta alla mafia.

L’Unità 14.07.11