I sindaci promuovono il Senato delle autonomie e bocciano senza appello il federalismo municipale. Lascia poco spazio a incertezze il risultato della ricerca preparata da Legautonomie interrogando 160 sindaci di tutta Italia tra maggio e giugno scorsi su due temi cruciali per il destino degli enti locali.
Chi amministra i Comuni non ha dubbi e poco contano le appartenenze geografiche o politiche: il Dlgs 23/2011, che regola il fisco dei municipi, ha moltissimi punti da emendare. E dovrà essere assai pesante l’intervento di correzione che la commissione bicamerale sta preparando a due anni dalla legge delega. Sul Senato, invece, la musica cambia di molto: la maggiore partecipazione dei livelli locali alla “stanza dei bottoni” è vista da quasi tutti gli interpellati con estremo favore.
Sul primo tema, i numeri di Legautonomie dicono che poco meno del 54% dei sindaci interrogati giudica il federalismo municipale in maniera negativa, e appena il 17% trova che la legge approvata dal Parlamento vada salvata. Resta quasi un 30% di indecisi, che lascia però inalterata la sostanza: sindaci e Governo sono completamente disallineati sul federalismo. «È un giudizio chiarissimo e trasversale – spiega Marco Filippeschi (Pd), presidente nazionale di Legautonomie e sindaco di Pisa – che va oltre le appartenenze politiche e geografiche. Le preclusioni non vengono solo dai sindaci del sud ma sono diffuse in modo uniforme su tutto il territorio nazionale».
Sull’ipotesi di una rivisitazione del decreto, Filippeschi commenta: «I punti da rivedere sarebbero moltissimi; dire che la riforma è matura è azzardato. C’è anzitutto una questione generale relativa all’armonia tra provvedimenti diversi, come la riforma fiscale e il federalismo municipale o questo e la Carta delle autonomie». Scendendo nel dettaglio, poi, servono cambiamenti importanti su almeno due punti: «occorre individuare meglio – aggiunge il primo cittadino pisano – i meccanismi compensativi che possano dare al federalismo un equilibrio. E serve chiarezza nella definizione dei costi standard».
Attilio Fontana, sindaco leghista di Varese, non condivide assolutamente questa impostazione. «Oggi non si può parlare di federalismo fiscale – spiega –, perché il federalismo non ha ancora dato esiti o risultati di alcun tipo. Bisognerebbe invece chiedere ai sindaci se, potendo scegliere, anticiperebbero la piena entrata in vigore delle riforme: sono convinto che in quel caso avremmo tutte risposte positive». Anche il tagliando al quale sta per essere sottoposto il decreto lascia perplesso Fontana: «L’unico concetto importante è quello dei costi standard. Per il resto, è legittimo che si parli di compartecipazione Iva, di immobili, di addizionali Irpef. Ma finché non si introduce quel concetto fondamentale, sono solo questioni di lana caprina».
Quando, invece, si parla di Senato delle autonomie, le opinioni cambiano radicalmente e tutti, o quasi, sono d’accordo. In questo caso, l’83% degli interrogati si è espresso con favore nei confronti della riforma costituzionale. Contrari poco meno del 5% degli intervistati. Anche sul ruolo da assegnare al Senato i sindaci si muovono compatti. Il 62,3% pensa che dovrebbe occuparsi, oltre che di leggi che riguardano le autonomie locali, anche di norme di particolare importanza, come le leggi costituzionali o elettorali. Per il 22% circa, invece, il suo ruolo dovrebbe essere relegato alle autonomie. La sostanza, comunque, non cambia: «Questa è una riforma che l’Italia vuole», conclude Filippeschi.
Il SOle 24 Ore 11.07.11