Sullo schermo scorrono le immagini del 13 febbraio, donne che si abbracciano, donne che riempiono le piazze, tante, tantissime, una accanto all’altra, giovani, con i capelli bianchi, con il pancione, con le rughe, con il futuro davanti. A Roma, come a Milano, a Lamezia Terme come a Vercelli, a Trento come a Trani, a Verona come a Barcellona Pozzo di Gotto. Eccola, finalmente, la rappresentazione che volevano di sé. Se la sono fatta loro, dall’A alla Z. Soggetto, regia, cast, riprese (ognuna ha mandato un pezzo), montaggio. E adesso si applaudono le donne di Snoq: se non ora quando? Applaudono se stesse e le altre, nel piazzale di Prato Sant’Agostino, a Siena, dove cinque mesi dopo quell’urlo di rivolta con cui si sono imposte all’attenzione del paese, si sono date appuntamento per dare forma, organizzazione, struttura al “caos danzante” che hanno scatenato. Sotto scorrono – letti da Linda Sabbadini dell’Istat – i numeri delle donne che a parità di titolo di studio guadagnano meno e sono più precarie, delle 800mila costrette a dimettersi quando restano incinte, delle ore impiegate per tappare i buchi di un welfare sempre più privatizzato. Ma scorrono anche le note di Patti Smith. “People have the power”. E sì, il potere di cambiare il paese che le ha messe ai margini adesso lo vogliono avere loro, che non smettono più di battere le mani. Al quorum raggiunto, alle nuove giunte, rosa almeno per metà, alla storia di questi mesi, a una nuova stagione di partecipazione, partita proprio dalle donne, che sono state le prime a crederci. Giovani e “diversamente giovani”. Intellettuali e precarie. Pensionate e perennemente in-cerca-di-lavoro.
I 120 comitati
Dovevano essere mille, a Siena. Sono più del doppio. Arrivate in treno, in autobus, in macchina. Partite da Bari, da Trento, da Reggio Emilia, da Trani, da tutta la Toscana. I comitati Snoq, 120 ormai, sono spuntati come funghi in questi mesi lungo la penisola. Ci sono Le Cassandre di Napoli, le Voltapagina di Catania, ci sono “Le No Tav”, «veniamo da Pisa, ma abbiamo portato lo striscione anche a nome delle donne della Val di Susa», ci sono le Archeologhe che (R)esistono, da tutta Italia. Presenti anche “Le ragazze del Rub(y)icone”, avvisa lo striscione in fondo alla piazza, retto da due “giovani” pensionate: «Veniamo da Savignano sul Rubicone, da Gambettola, Gatteo, saremo già cinquanta, ma di tutte le età». In prima fila, quelle che hanno lanciato l’appello “Se non ora quando” si godono la scena, più affollata di ogni rosea aspettativa: Cristina e Francesca Comencini, Lunetta Savino, Francesca Izzo, Serena Sapegno, Valeria Fedeli, che poi è anche segretario Filtem della Cgil, ma qui le casacche non contano. Fianco a fianco con Susanna Camusso, Rosy Bindi, Flavia Perina, Giulia Buongiorno, Livia Turco, etc. «Tremate tremate le streghe sono tornate», ha scritto qualcuna su un foglietto che sventola tra gli altri appesi come bucato ad asciugare, per non lasciare nulla di inespresso. Il punto G, “Gridalo qui”, lo hanno chiamato questo women’s corner, che se la ride: «Ci vorrebbero rimandare a casa ha-ha-ha». E invece, no: eccole qui, di nuovo insieme. Qualcuno di loro in questi giorni ha scritto prudentemente che sono ormai un movimento “sociale”. Loro rivendicano invece che vogliono essere un movimento “po-li-ti-co”. «Questa due giorni di Siena è l’atto fondativo», spiega Cristina Comencini, «non di un partito, ma di una forza che dice cosa vuole, capace di cambiare la politica e che sappia dettare l’agenda ai partiti». La politica – osserva – si può fare in tanti modi. Loro hanno deciso di farla così. Dal basso. Senza schemi preordinati. Anche se adesso di tutto la parola chiave è “organizzare”: dare una forma stabile a questo «movimento contagioso come un virus, ma anche concreto come un corpo», come dice Nicoletta Dentico, anche lei, con “Filomena”, una delle fondatrici di Snoq. «Sembra un grande caos, ma c’è un filo di operosità femminile che corre sotto a ogni cosa».
E che a Siena comincia a darsi delle regole. Tre minuti ciascuna, per esempio, per chi sale sul palco. La trombetta suona implacabile per tutte. Per Susanna Camusso, che applauditissima si scaglia contro la manovra: «misogina perché taglia i servizi pensando che poi saranno le donne a supplire occupandosi di bambini, anziani e non autosufficienti» e invoca la “paternità obbligatoria”. E tre minuti per Margherita Dogliani che racconta della sua azienda dolciaria, dove oltre al lavoro c’è spazio anche per la cultura. «Sembra una sciocchezza, ma è un principio di equità – spiegano le organizzatrici – solo così alla fine saranno centinaia a parlare».
da www.unita.it