attualità, politica italiana

"Le larghe faglie del Governo e il poco appeal dell'opposizione", di Piero Ignazi

L’affaire P4, la delusione per una manovra economica timida e troppo dilazionata nel tempo, i rifiuti di Napoli che sono sempre lì e che erano scomparsi solo per il tempo necessario per celebrare le doti taumaturgiche del Cavaliere, la tensione continua con la Lega, e la pessima immagine di Silvio Berlusconi presso i più prestigiosi media internazionali non sono che alcune delle faglie di un Governo in affanno.

Non per nulla i sondaggi mostrano che il gradimento del Governo e del presidente del Consiglio è sceso ai minimi storici.
Per rimontare la china ora il Popolo della libertà confida nella nomina
del pur volenteroso Angelino Alfano a “segretario” del partito (una carica istituita ad hoc: dopo le leggi ad personam, arrivano anche le cariche ad personam…). Ma un partito che si identifica in tutto e per tutto con il suo fondatore è destinato a seguirne le sorti, e ben poco possono fare i delfini. Anche l’assenza glaciale di un qualsivoglia dibattito interno nonostante il proliferare di correnti e fondazioni, di abboccamenti e congiure, indica che il Pdl non ha (ancora?) messo in campo risorse per invertire la rotta.
Nonostante tutto ciò il Popolo della libertà e il Governo possono continuare a galleggiare. Anche se dal loro interno non scaturiscono energie sufficienti per arrestare il declino, la loro salvezza viene dall’esterno, e cioè dalla pochezza degli avversari.

Infatti non va dimenticato che l’Esecutivo continua a mantenere una invidiabile tenuta nei vari passaggi parlamentari. Sia Pdl e Lega che il gruppo dei Responsabili non mostrano sbandamenti. Salvo qualche
fisiologico incidente di percorso la maggioranza tiene. Il Carroccio continua a sbuffare e a minacciare rotture, ma più passa il tempo meno diventa credibile. Del resto, come ha detto con la consueta crudezza Umberto Bossi, per la Lega non ci sono alternative all’alleanza con Berlusconi, visto che il rischio è di diventare irrilevanti e tornare al 3 per cento.
Tuttavia la resistenza del Governo di centro-destra è anche merito della opacità del centro-sinistra. Il Partito democratico ha recuperato molti consensi in questa fase grazie soprattutto alla solidità e alla affabilità del proprio leader. Pierluigi Bersani non si è mai fatto “smontare” da quell’aria di sufficienza con cui veniva trattato da alcuni maîtres à penser della sinistra, né dalla guerriglia interna di ex dirigenti in cerca di riemersione e disfattisti cronici. E nemmeno ha preso troppo sul serio il “giochino mediatico” di contrapporgli come potenziali leader del centro-sinistra esponenti di partiti che non pesano nemmeno un quarto del Pd.

Con una buona dose di tenacia e bonomia emiliana Bersani, ha proiettato l’immagine di partito finalmente ricompattato dietro la sua leadership e, soprattutto, rimotivato. Tutto bene per l’opposizione allora? No, e sono ancora i sondaggi di lungo periodo che indicano il punto debole del Pd e del centro-sinistra. Il dato più emblematico riguarda la scarsa fiducia che i cittadini ripongono nell’opposizione: di fronte a un Governo in apnea, il centro-sinistra viene considerato ancora meno capace di affrontare e risolvere i problemi del Paese. Il Pd e i suoi alleati sono circondati da un alone di perplessità; sono lasciati in un limbo, in attesa che si concretizzi una proposta credibile e appealing.

È solo grazie a questa astenia progettuale che la maggioranza tiene. Se l’opposizione mettesse in campo iniziative di grande respiro, e allo stesso tempo realistiche, probabilmente il Governo avrebbe i giorni contati. Ma per ora può veleggiare tranquillo sull’inerzia degli avversari.

Il Sole 24 Ore 05.07.11

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“A sinistra di Bersani la cultura di governo è ancora troppo carente”, di Stefano Folli

Sui gravi incidenti in Val di Susa nessuno può accusare Bersani d’essere ambiguo. Il segretario del Partito Democratico ha condannato con durezza gli atti di violenza: chi li provoca e chi li compie, «ma anche chi in qualche modo volesse giustificarli». Parole ineccepibili. Eppure l’impressione è che la drammatica domenica tra le montagne piemontesi abbia assestato un colpo al centrosinistra.

Ne ha messo a nudo una volta di più le contraddizioni di fondo. Quelle contraddizioni che lo rendono fragile, nonostante il vento nuovo delle amministrative, del referendum e tutti gli argomenti che accreditano un clima cambiato nel paese.
Non sarà un caso, del resto, se il presidente della Repubblica ha emesso domenica sera una nota che non ammette repliche. Napolitano parlava in difesa delle forze dell’ordine e della dignità delle istituzioni. Ma le sue parole sulla necessità di «isolare i violenti» erano rivolte «a tutte le componenti democratiche». Quindi, è chiaro, anche a quelle forze della sinistra che non sono state rapide come Bersani nel comprendere il serio rischio che incombe nell’aria.

In Val di Susa si erano dati convegno gli esponenti della nuova sinistra in tutte le sue espressioni. È la sinistra «contro». Contro la Tav, ma anche contro gli inceneritori, le basi americane, la Fiat di Marchionne, eccetera. Un movimento trasversale in cui c’è dentro di tutto: in prima linea nella battaglia referendaria anti-nucleare e anti-acqua e altrettanto contro le «caste politiche» romane in nome di un autonomismo territoriale molto più anarchico e radicale di quello leghista (e infatti dall’altra parte della barricata c’è un ministro dell’Interno che si chiama Maroni).
Non è strano che questo arcipelago variopinto abbia attirato black bloc, gente dei centri sociali e di quella che una volta era l’area dell’autonomia, estremisti pronti a fare della valle un piccolo Vietnam. Il problema è che i leader, o supposti tali, della sinistra «contro» sono rimasti spiazzati dalle violenze e non hanno saputo far altro che lasciarsi trascinare dagli eventi.

Il capo del Movimento Cinque Stelle, Beppe Grillo, domenica ha parlato di «dittatura» e ha paragonato i dimostranti a degli «eroi» (in seguito per fortuna ha un po’ corretto il tiro). Gli esponenti di Rifondazione e dei verdi hanno accusato il governo di aver «militarizzato» la valle. E Vendola, ossia il partner privilegiato del Pd, ha, sì, condannato gli eccessi, ma ha anche detto che non bisogna «strumentalizzare» gli eventi. Fra poco leggeremo che la responsabilità è tutta delle forze dell’ordine e di agenti provocatori desiderosi di ripetere l’esperienza di Genova 2001.
Colpisce la distanza fra queste pulsioni e l’appello accorato del capo dello Stato. È evidente che una sinistra di governo, nella seconda decade del secolo, può assumere responsabilità istituzionali solo se s’identifica nei presupposti indicati da Napolitano. Ammiccando agli estremisti, o peggio non rendendosi conto dei pericoli, è difficle immaginare che il nuovo Ulivo faccia molta strada. O non vince le elezioni o, se le vince, non riesce a governare una società complessa. E qui Bersani avrà molto da lavorare. Vendola e Grillo sono, in forme diverse e scomode, i suoi interlocutori. Non basta compiacersi che abbiano preso le distanze dai violenti (con notevole ritardo). È necessario che contribuiscano a loro modo a una cultura di governo. E sotto questo profilo siamo in alto mare.

Il Sole 24 Ore 05.07.11