Fino a 43mila euro lordi in cinque anni per gli alti vertici delle amministrazioni centrali, ma oltre 2mila anche per un bidello che ne guadagna 23mila all’anno. È il conto che, a consuntivo, potrebbe essere chiesto ai dipendenti pubblici dall’effetto combinato delle ultime due manovre. Quella approvata la settimana scorsa torna a concentrarsi sul pubblico impiego, blinda i risparmi previsti con le misure del 2010, e propone al Governo un pacchetto di opzioni per ridurre la spesa di 1,1 miliardi nel 2013-2015 e di altri 370 milioni annui dal 2016. Tra le scelte aperte dal nuovo intervento, la più probabile è un ulteriore blocco di incrementi e contrattazioni, che potrebbero rimanere congelati fino al 2015. Una certezza: quelli chiesti al pubblico impiego non sono risparmi temporanei, da recuperare passata la buriana, ma sono strutturali e andranno consolidati nei prossimi anni. Un sospetto fondato: il nuovo rinvio che pende sui rinnovi contrattuali, che dovrebbero ripartire nel 2013 ma possono slittare al 2015. Un punto interrogativo sulle misure che arriveranno dal 2016 in poi.
Sono questi gli snodi principali delle misure sul pubblico impiego contenute nella manovra approvata giovedì scorso dal Consiglio dei ministri. Nel cantiere della manovra, in realtà, erano circolate anche ipotesi più dure, compresi un nuovo blocco esplicito della contrattazione e l’appesantimento dei tagli operati sulle buste paga più alte, ma sono state accantonate. Il fuoco di fila partito dalla Funzione pubblica, evidentemente, ha funzionato meglio rispetto all’anno scorso, e ha portato a una formulazione inedita e «flessibile» per la nuova cura ai dipendenti pubblici. In pratica, la manovra blinda i risparmi previsti dal Dl 78/2010 e ne aggiunge di nuovi, da 1,1 miliardi nel periodo 2013-2015 e da 340 all’anno «a decorrere dal 2016». Proprio quest’ultimo aspetto mostra il carattere strutturale dei tagli, che dovranno far diminuire il peso degli stipendi pubblici in modo progressivo nei prossimi anni fino ad attestarsi dal 2016 in poi circa 1,5 miliardi sotto i tendenziali previsti lo scorso anno.
Drastica sui numeri, la manovra scritta la scorsa settimana è (per ora) possibilista sulle misure concrete per raggiungerli. Saranno dei Dpr, su proposta della Funzione pubblica, a scegliere le carte giuste nel mazzo della manovra, che (si veda il grafico a fianco) propone fra l’altro la proroga per un anno dei vincoli al turn over e quella al 2014 del blocca-stipendi, cioè la misura che impedisce ai trattamenti accessori di portare le buste paga sopra ai livelli del 2010. Nei fatti, è questa seconda ipotesi, insieme al contesto generale di tagli, a mettere a rischio la ripresa effettiva nel 2013 dei rinnovi contrattuali, perché appare difficile mettersi a discutere di inflazione programmata (Ipca) per far crescere il tabellare e di incentivi per i migliori in un contesto di stipendi congelati.
Anche nella versione “ammorbidita”, insomma, il piatto servito dalla nuova manovra può determinare un conto salato agli statali, che si aggiunge a quello portato lo scorso anno. La tabella qui a fianco calcola per le diverse categorie del pubblico impiego gli effetti della vecchia manovra (blocco dei contratti e tagli sopra i 90mila euro) e quelli possibili per un nuovo stop ai contratti. Nella colonna più a destra, che va dai 2.116 euro del personale Ata della scuola – bidelli e tecnici – fino agli oltre 43mila euro per i dirigenti di prima fascia degli enti pubblici non economici, è indicato il conto totale lordo che sarebbe pagato da ogni categoria per gli anni 2011-2015. L’entità del sacrificio, naturalmente, dipende dal livello dello stipendio «base», cioè la retribuzione media registrata prima dei tagli: i mancati rinnovi contrattuali incidono sullo stipendio tabellare, a cui le intese aggiungono gli incrementi inflattivi, mentre non è possibile da calcolare l’effetto del blocco sulla dinamica del salario accessorio, che rimarrebbe comunque soggetta a troppe variabili. Anche nel secondo periodo considerato, cioè il 2013-2014, il sacrificio per gli stipendi più alti è maggiore, anche perché fino al 2013 rimangono in vigore i tagli alle quote retributive che superano i 90mila euro l’anno.
Il Sole 24 Ore 04.07.11