Sarebbe fin troppo banale condannare la guerriglia in Val di Susa dicendo che mai e poi mai si può giustificare l’uso della violenza, che una cosa sono le proteste pacifiche e un’altra i lanci di pietre e di bombe carta, eccetera eccetera. Tutte considerazioni ovvie, anche se doverose. Ma questa volta crediamo che si possa dire qualcosa di più, oltre alla solita litania di «sdegno», «indignazione», «ferma condanna» e così via.
Il punto è la distinzione tra la manifestazione del mattino e quella del pomeriggio. La prima è stata pacifica, con famigliole in corteo. La seconda la gazzarra che sappiamo, con i famigerati black bloc in azione. Tra i manifestanti del mattino e quelli del pomeriggio, o se volete tra gli storici comitati No Tav e i professionisti della violenza, c’è dunque una differenza netta. Questa sarebbe appunto la considerazione scontata e banale.
Quella meno scontata e meno banale, invece, riguarda i toni, le dichiarazioni, i discorsi che purtroppo abbiamo sentito anche dai manifestanti non violenti. Abbiamo sentito parlare di militarizzazione della valle, di violenza di Stato, di polizia assassina. Beppe Grillo poi ci ha messo il suo carico da novanta.
Ieri è venuto in Val di Susa e dalla sua arringa abbiamo estrapolato parole come «dittatura», «guerra civile», «rivoluzione», «eroi». Mettendo in ordine queste parole pesanti come pietre, Grillo ha in sostanza detto che in Val di Susa il regime sta facendo prove di dittatura, che siamo ormai alla guerra civile e che i No Tav faranno una rivoluzione che li renderà, appunto, degli eroi.
Ma di che cosa stiamo parlando? Si può pensare ciò che si vuole dell’alta velocità. Ma occorre anche stare ancorati alla realtà, e la realtà è che in Val di Susa si stanno scavando delle gallerie per far passare un treno. Belle o brutte, ma gallerie per un treno. Punto e stop. Dove sono le prove di dittatura? Inoltre, mettendo tutto nel medesimo minestrone, i capi della protesta attribuiscono a Berlusconi il tentato golpe della Tav, che invece è stata decisa da governi precedenti e di diverso colore, che è scolpita in un accordo intergovernativo tra Italia e Francia e rientra tra le grandi reti europee che disegneranno i trasporti per almeno un secolo. Se la Torino-Lione non si farà, un pezzo consistente di Italia sarà tagliato fuori da questa rete e non per quattro o cinque anni, ma per il futuro. È una faccenda che va guardata con un’elementare prospettiva storica, specie nel centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia perché proprio allora si decise il traforo del Fréjus. Cosa sarebbero stati il Piemonte e l’Italia senza quella linea ferroviaria voluta da Cavour? È possibile che un sistema economico sia prigioniero di una minoranza localistica condannata a diventare l’alibi dei professionisti della guerriglia? Che c’entra Berlusconi?
L’altro giorno l’ex sindaco Chiamparino, che certo non è un berlusconiano, ha ricordato l’elementare principio secondo il quale la democrazia ha delle regole, per cui un’opera ormai decisa e deliberata non può essere messa in discussione all’infinito. Oltretutto, prima di dare il via all’opera, ci sono stati centinaia di incontri con i sindaci, variazioni del tracciato, e via dicendo. Insomma non si può dire che non si siano ascoltate anche le ragioni di chi era contrario.
Pure le accuse rivolte alla polizia ci paiono deliranti. Si è parlato di cariche di tipo sudamericano. A noi pare che, a differenza di quanto accadde dieci anni fa a Genova, la polizia sia stata attentissima a non compiere alcun abuso. Si è difesa, certo: non doveva? L’elenco dei feriti però parla chiaro: la stragrande maggioranza sono poliziotti, non manifestanti. E comunque anche qui c’è una sproporzione stupefacente tra la realtà e la sua raffigurazione fornita da alcuni capi della protesta: la polizia ha cercato di garantire l’apertura di un cantiere, non è venuta a reprimere un’espressione di libero pensiero.
Chi guida a viso scoperto la protesta, non mette il passamontagna dei delinquenti e vuole sinceramente mantenere il tutto nell’ambito della manifestazione pacifica, dovrebbe riflettere sull’effetto che certe iperboli hanno sulle teste calde. Si sa che ci sono, le teste calde. Se si continua a far credere che in Val di Susa invece che un treno passerà un golpe, sarà più difficile operare distinzioni nette tra le manifestazioni del mattino e quelle del pomeriggio.
La Stampa 04.07.11