L’Italia non cresce per tanti fattori e il primo è la diseguale distribuzione del reddito: troppa distanza tra alti e bassi redditi, tra precarietà giovanile e privilegi di molte caste a cominciare da quella politica. Metà della ricchezza privata nazionale è nelle mani del 10% delle famiglie, l’80% ne possiede le briciole. Infatti l’indice di Gini, quello che misura le distanze di redditi tra ricchi e poveri è superiore a 0,33, cioè il più alto d’Europa. La manovra Tremonti-Berlusconi di 47 miliardi da oggi al 2014 aumenta le diseguaglianze, invece di ridurle, attraverso i ticket sanitari, i tagli selvaggi agli Enti locali cioè meno servizi ai meno abbienti -, il congelamento degli stipendi degli statali e soprattutto il congelamento di milioni di pensioni da 1400 euro lordi al mese, poco più di 1000 euro netti. Ecco a chi si chiedono sacrifici per riequilibrare i conti!
Come non bastasse, si piange sui 120 miliardi di evasione fiscale e si annunciano manovre di allentamento di verifiche e controlli su autonomi e piccole imprese. Che andrebbero aiutati in altri modi, soprattutto gli onesti, defiscalizzando il lavoro e liberalizzando le professioni.
Il carattere più scandaloso di questa manovra è nel chiaro carattere di “patrimoniale capovolta”. Ticket sanitari, tagli alla scuola ed agli enti locali, congelamento di bassi stipendi e di pensioni “quasi da fame”, da 1000 euro al mese, sono provvedimenti che finiscono per mettere le mani nelle tasche dei meno abbienti molto più che dei ricchi. L’esatto contrario di quello di cui il Paese ha bisogno per rilanciare la crescita.
Nella società della conoscenza, col capitale umano centrale, l’eguaglianza non è solo fattore etico di giustizia sociale, è fattore di sviluppo economico. Tutti i dati, dall’Ocse alla Ue, dalla Banca mondiale alla Banca d’Italia, dimostrano che «negli ultimi 30 anni la globalizzazione, che pure ha prodotto effetti positivi come l’apertura del mercato della produzione e del consumo a miliardi di cinesi, indiani, brasiliani, prima esclusi, ha anche prodotto il più scandaloso aumento di diseguaglianze in quasi tutti i Paesi industriali, tra cui l’Italia». Gli Stati uniti nel mondo e l’Italia in Europa guidano le classifiche della diseguaglianza: L’indice di Gini, che misura le distanze tra alti e bassi redditi, vede gli Usa e il nostro Paese in testa sopra la media Ocse, tra le nazioni a più alta diseguaglianza, mentre Francia, Germania, Olanda e Paesi scandinavi figurano sotto la media come Paesi a più bassa diseguaglianza. Le nazioni a più alta crescita nel 2010 sono state Svezia e Germania, non a caso anche Paesi a più alta eguaglianza. L’uguaglianza fattore di sviluppo è dimostrato anche dalle classifiche della Banca Mondiale sul reddito procapite: tutti i Paesi più egualitari, i quattro Paesi scandinavi più Olanda e Germania, figurano anche tra i più ricchi al mondo. Si parla poco di eguaglianza quando si esamina il “miracolo” tedesco, eppure questo Paese è tra i leader nella equa distribuzione del reddito, occupando il sesto posto su 27 Paesi della Ue per eguaglianza, subito dopo l’Olanda e i paesi scandinavi. Emergono allora due messaggi: Il primo che nell’era della conoscenza i valori dell’eguaglianza, a cominciare dalla scuola, dall’innovazione e dalla famiglia, sono fattori di sviluppo oltre che etici, perciò vanno sostenuti e non depressi. Il secondo è che l’Italia possiede il potenziale di cultura e imprenditorialità per riprendere la crescita. A patto di attuare politiche che consentano al maggior numero possibile di imprenditori e lavoratori di partecipare alla competizione, l’esatto contrario di quanto fatto da questa manovra, vera e propria “patrimoniale dei poveri”.
L’Unità 03.07.11