L’ex ministro difende le misure volute da Prodi: «Noi toccammo gli assegni più ricchi per dare la quattordicesima ai più poveri e aiuti ai precari». Niente di più falso. La nostra manovra era di segno nettamente opposto a quella attuale». Chi prova ad alludere a un parallelismo tra la manovra Prodi e quella attuale con Cesare Damiano, riceve una risposta tranchant: falso. L’ex ministro fornisce le cifre del suo intervento e prospetta i rischi di quello attuale. «Sacconi punta i piedi, Bossi punta i piedi, ma poi alla fine le pensioni ci sono sempre», osserva Damiano. Le trappole per i pensionati sono disseminate in tutti i provvedimenti targati Tremonti. Quanto all’ultimo, il segno è preciso: «Si toglie ai poveri per dare ai ricchi. Esattamente come si fa con le tre aliquote nel fisco».
Eppure, si continua a dire che l’intervento prospettato è analogo a quello sugli assegni d’oro voluto da Prodi. «Niente di più falso. Al tempo del governo Prodi io avevo congelato per un anno la rivalutazione delle pensioni pari a 8 volte il minimo, con un risparmio di 140 milioni l’anno. Contemporaneamente avevo stanziato un miliardo e 300 milioni a vantaggio dei pensionati con un assegno fino
a 700 euro al mese (una platea di 3,5 milioni di persone) attraverso la quattordicesima, che viene ancora distribuita nel mese di luglio. E non è finita qui».
Cos’altro c’era?
«Noi avevamo fatto anche l’intervento per ridurre lo scalone, quello sui lavori usuranti, che è entrato in vigore con tre anni di ritardo, e infine avevamo migliorato il meccanismo di totalizzazione dei contributi a vantaggio dei più giovani, portando la franchigia (cioè il perido contributivo che di fatto si perde, ndr) dai 6 anni agli attuali 3 anni. Per questo, ripeto, la nostra manovra aveva un segno assolutamente diverso rispetto a quella attuale. Oggi vengono coinvolti nei tagli 4,4 milioni di pensionati.
Quello che aggiungo è che mentre Sacconi ripete la litania che le pensioni non vengono toccate, invece accade sempre che con le pensioni si fa sempre cassa. Ricordo che questo governo ha introdotto l’allungamento automatico di un anno (attraverso la finestra unica) anche per chi ha maturato 40 anni di contributi, e per chi esce dalla mobilità, che così resta senza alcun reddito, né la pensione, né lo stipendio. Ciliegina sulla torta: ha agganciato alla speranza di vita l’età di uscita forse già dal 2014, il che significa che ogni 3 anni l’età si alza di tre mesi. Sulle pensioni si è fatto di tutto».
Però Sacconi ha puntatoi piedi sull’innalzamento a 65 anni delle lavoratrici nel privato. Questo glielo riconosce?
«Puntato i piedi? Mi risulta che quella misura c’è, sempre che le indiscrezioni che leggiamo sui giornali siano vere. È solo spostato più in avanti, ma c’è. E qui si tocca la vita di operaie e commesse, donne che fanno lavori faticosi, che si sono sobbarcate anche il lavoro di cura
in casa, che hanno fatto figli e che spesso non riescono ad arrivare alla pensione di anzianità. Non si prevede neanche uno sconto di un anno per figlio, o uno per l’assistenza a familiari portatori di handicap.
Nulla di nulla. Le donne non vedranno niente, così come non hanno finora visto le risorse derivanti dai risparmi dell’innalzamento dell’età per le pubbliche. Tutte promesse non mantenute».
L’innalzamento è molto graduale a partire dal 2020. Forse è presto per lanciare l’allarme…
«Abbiamo di fronte un governo che prima nega, poi fa una misura soft, poi la anticipa. Non mi stupirei se accadesse anche questo. Sarebbe la conferma di una manovra profondamente ingiusta, che si abbatte ferocemente sullo stato sociale».
Tra le tante proteste, oggi c’è anche chi definisce queste misure socialmente giuste, perché i vecchi pagano per i giovani. Cosa ne pensa?
«Mi sembra una tesi ardita, perché non mi pare che ci siano misure in
favore dei giovani. Il Pd chiede ad esempio una misura in cui si dica che ciascun giorno di lavoro valga per la pensione. Sostanzialmente si chiede l’azzeramento della franchigia. Ebbene, non leggo nulla di tutto questo tra le indiscrezioni».
Il governo annuncia anche una delega sul riordino dell’assistenza. Ha timori anche in questo campo?
«Nessuno nega il fatto che i furbi debbano essere colpiti. Ma si finisce sempre per sparare nel mucchio, anche chi ha le carte in regola».
In una manovra da 47 miliardi è difficile
non toccare le pensioni…
«Certo, sono stato io il primo a farlo. Ma va rispettato sempre il principio redistributivo: chi ha di più deve dare. Non mi pare sia così».
L’Unità 03.07.11