La situazione economica e sociale europea è grave. La Germania è in condizioni decisamente migliori ma non è un’isola. È legata a doppio filo al destino degli altri Paesi euro. La finanza pubblica e l’inflazione preoccupano i mercati finanziari e i banchieri centrali. Il lavoro e i redditi angosciano i mercati rionali. I governi di centrodestra, concentrati sui primi e dimentichi dei secondi, portano la Ue e l’euro fuori strada. Il governo italiano è a rimorchio. Una nave senza nocchiere e senza bussola nella tempesta. L’economia reale ferma e la finanza pubblica fuori target. Non è vero che “i conti sono a posto”. La colpa non è soltanto del governo Berlusconi. Ma, il governo Berlusconi è colpevole. Sin dalla primavera del 2008 ha navigato a vista tra l’attuazione di promesse demagogiche, la difesa di rendite e la martellante propaganda sulle migliori condizioni dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei. Oggi siamo in emergenza. Per provare a rassicurare i mercati e a farsi un curriculum da eroe della patria per il dopo-Berlusconi, il ministro Tremonti ha fissato il sostanziale pareggio del bilancio pubblico per il 2014. Non è un obiettivo “imposto” dalla Ue. Il Patto di Stabilità rafforzato, ancora in discussione al Parlamento europeo, lascia spazi di manovra. Il Documento di Economia e Finanza lo riconosce e indica che il pareggio di bilancio al 2014 è «più che in linea con quanto concordato in sede europea». L’ultimo Rapporto del Centro Studi di Confindustria conferma che gli obiettivi del Def «sono più elevati di quelli richiesti dall’Europa».
Insomma, è stata una scelta politica. Una scelta politica irresponsabile perché l’impegno assunto è irrealistico nei tempi previsti e in assenza di riforme. Tentare di raggiungerlo avrebbe un pesantissimo effetto recessivo su un’economia interamente affidata alla domanda interna, distruggerebbe base produttiva, aggraverebbe disuguaglianze già inaccettabili e comprometterebbe una sostenibile discesa del debito pubblico nel medio periodo.
Il Centro Studi Confindustria, in un’analisi ottimista, ha previsto un’ulteriore manovra di 18 miliardi di euro all’anno per compensare le conseguenze sul bilancio pubblico dell’impatto deflattivo della manovra prospettata. Insomma, è un circolo vizioso, un cappio sempre più stretto intorno al presente e al futuro delle generazioni più giovani. Non a caso, lo “statista” Tremonti e la coppia Berlusconi-Bossi scaricano tutto sul dopo-elezioni: per l’anno in corso e il 2012, interventi limitati a tirare a campare, affidati agli aumenti “federalisti” di tasse e ticket per Regioni, Province e Comuni; poi, per il governo
che verrà, tagli di spesa, in larga misura sociale, per 40 miliardi all’anno e la gestione del miraggio di 40 miliardi all’anno di minor Irap. Che fare? L’alternativa non è la spesa pubblica in deficit. Sono inaccettabili le lezioni di rigore dai neofiti della disciplina a via XX Settembre. L’alternativa è collocare l’aumento dell’avanzo primario lungo un sentiero di sviluppo sostenibile. L’alternativa è un’agenda di riforme per l’equità e l’efficienza. Gli interventi prioritari per innalzare verso il 2%il Pil potenziale sono impegnatavi: impalcatura istituzionale centrale e territoriale, pubbliche amministrazioni, liberalizzazioni, fisco, scuola e università, relazioni industriali, welfare, distribuzione del reddito e della ricchezza. Poi, politiche industriali per la green economy, per i beni comuni e per i consumi di cittadinanza, politiche per l’energia ed investimenti, in partnership pubblico-privata, per le infrastrutture e la logistic.
Nel Programma Nazionale di Riforma Pd, un aumento dell’avanzo primario al 3%, perseguito nell’alveo della strategia riformista indicata, porta il debito pubblico sotto il livello previsto dal governo per la seconda metà del decennio. L’alternativa, per ridurre il rischio Italia, non è il ritorno a Cirino Pomicino: è puntare al pareggio di bilancio attraverso una strada credibile. Non è un discorso economico: è un nodo politico. In Italia, come nella Ue, non sono in gioco solo il debito pubblico, la ripresa, le prospettive delle imprese e il lavoro, in particolare giovanile.
Sono in gioco i caratteri di fondo del modello sociale europeo. È in gioco la qualità della democrazia europea. Oggi, questione democratica e questione sociale sono in cortocircuito perché la politica, prigioniera della dimensione nazionale, non da risposte. Così, i ragazzi e le ragazze di Puerta del Sol a Madrid, i lavoratori e le lavoratrici a piazza Sintagma ad Atene, gli elettori e le elettrici del partito dei “Veri Finlandesi” protestano all’insegna dell’anti-politica, dell’antieuropeismo e della chiusura nazionalistica. Da noi, il risveglio della società civile ha (ancora) un segno positivo e può essere fonte di cambiamento progressivo per l’Italia e per l’Europa. Non sprechiamolo.
L’Unità 29.06.11