Dopo il banchiere cattolico Pellegrino Capaldo, l’industriale Carlo De Benedetti, il presidente dei commercialisti Claudio Siciliotti e Giuliano Amato, è stato Luigi Abete, come presidente di Assonime a tornare sul tema patrimoniale, «componente essenziale della necessaria riforma tributaria» (Il Sole 24 Ore del 22 giugno). Patrimoniale, parola tabù per il centrosinistra parlamentare che attribuisce alla sua incauta evocazione la causa prima di passate sconfitte. Tabù condiviso anche da Abete che dice: «Non la si deve chiamare patrimoniale, bensì Ctc, contributo per trasparenza e crescita», definizione irrisa da Roberto Perotti che scrive il giorno dopo (il Sole 24 Ore, 23 giugno): «Alcuni vogliono finanziare la riforma con una patrimoniale, anche se si illudono di chiamarla con altro nome».
I fautori della patrimoniale partono dalla doppia constatazione che l’Italia è l’unico grande Paese europeo senza una imposta sui patrimoni e che “se il convento è povero, i frati sono ricchi”, avendo l’Italia il terzo debito pubblico del mondo, 1800 miliardi, 120% del Pil, ma anche una delle più grandi ricchezze private delle famiglie, (immobiliare e finanziaria), stimata da Banca d’Italia in 8.600 miliardi, sei volte il Pil. Anche se questa ricchezza è fortemente concentrata, essendo quasi la metà posseduta dal 10% delle famiglie.
Oltre alla esigenza inderogabile di una Riforma fiscale per allentare il peso delle tasse e rilanciare la crescita, c’è l’esigenza altrettanto inderogabile di una manovra finanziaria per rispondere alla richiesta della Ue di rientro del debito il più velocemente possibile (10 o 20 anni?), dall’attuale 120% al 60% del Pil, che implicherebbe una cura da cavallo di 900 miliardi, pari, nella migliore delle ipotesi (20 anni per il rientro) a 45 miliardi l’anno. È partendo da questi dati e da una pressione fiscale eccessiva ed anticrescita, che nascono queste proposte. Da dove altro si possono ricavare le risorse se non chiedendo un piccolo contributo ai più ricchi?
A sinistra solo la Cgil ha avanzato la proposta di una patrimoniale per i super-ricchi «aliquota dell’1% su ricchezze nette superiori a 800mila euro frutterebbe 15 miliardi». Secondo me anche di più, ma non è questo il punto. Si tratterebbe di una imposta di 5000-10.000 euro a famiglia che non impoverirebbe nessuna delle due milioni di famiglie super ricche. La proposta di Abete è diversa, “più di destra”, rivolta a tutti i cittadini, con una aliquota dell’1 per mille che, applicata ad una ricchezza totale di 8.600 miliardi, darebbe quasi 9 miliardi. Di ipotesi se ne possono fare molte ma non è questo il punto. Si può parlare di questi temi anche a sinistra? O come altrimenti pensa la sinistra di evitare a figli e nipoti, gravati da un debito spaventoso, la condanna di sicuro declino?
L’Unità 24.06.11