cultura

"La cultura non è petrolio", di Francesco Bonami

Se vogliamo parlare di cultura eliminiamo prima di tutto una snervante affermazione: «I beni culturali sono il nostro petrolio». Il petrolio è una materia che la gente si trova per destino sotto i piedi. Avere il petrolio non è un merito ma un caso. Avere il petrolio è spesso una buona scusa per nascondere imbarbarimento, inciviltà e dittature. La cultura quindi non è petrolio. La cultura è qualcosa che non si trova ma si costruisce. Caso mai il nostro problema, il degrado della nostra società, è dovuto proprio al fatto che diamo per scontati i nostri beni culturali. Ci comportiamo come se li avessimo trovati facendo un buco per terra. L’arte e la cultura non li sputa fuori la terra ma sono il risultato del lavoro e della conoscenza di uomini e donne che alla ricchezza del territorio hanno voluto unire la ricchezza delle proprie idee e del proprio spirito. La cultura è il contrario del petrolio perché si deve fabbricare, non si può solo consumare. La cultura ci rende ricchi solo se siamo disposti ad essere tutti un po’ più poveri da un punto di vista materialistico. Se abbiamo solo 10 euro dove li spendiamo in un biglietto per un museo o in un paio di birre? Compriamo un libro o una T-shirt? La cultura non è destino è libera, liberissima, scelta. Possiamo scegliere di crescere in un Paese ignorante o di contribuire alla costruzione di un Paese culturalmente forte, dinamico, affascinate. E’ una nostra autonoma decisione. Nessuno ci obbliga ad essere colti, ad essere spiritualmente benestanti. La cultura dipende da noi non dalla geologia.

La cultura dipende dalla nostra crescita civile ed interiore non dal nostro reddito. Noi italiani siamo stati i primi ad inventare il cittadino responsabile fra il Trecento e il Cinquecento con l’Umanesimo e il Rinascimento. Perché l’Italia ritorni ad essere culturalmente una super potenza dobbiamo prima domandarci come è successo che a centocinquanta anni di splendore sia seguita la nostra lunga servitù civile e morale con il suo bagaglio di sudditanza, di menzogne, di opportunismo e di cinismo. Dobbiamo quindi ritrovare la responsabilità culturale e la sana dimensione di un egoismo civile che ci porti a considerare ogni angolo del nostro Paese e della nostra cultura un angolo di cui siamo legittimi proprietari. Un angolo che dobbiamo e vogliamo curare. Un angolo del quale siamo responsabili. Curare nel senso di prendersi cura. Curare nel senso di guarire i malanni che hanno reso la cultura ed i suoi beni un malato, se non terminale, un malato grave. Essendo un curatore di professione, nel bene e nel male, è chiaro che sia convinto che l’Italia abbia necessità di una società e di una classe politica che si prendano la responsabilità di assumere il ruolo di curatori della propria cultura. Curare significa creare un’armonia, una funzionalità, un’efficacia e un dialogo fra parti diverse. Curare significa costruire un sistema funzionante, fruibile e leggibile di tante realtà autonome ma complementari fra di loro. Curare la cultura del proprio Paese vuol dire sentire il dovere e la necessità di rendere percorribile una rete che unisca l’espressività geografica ed artistica del nostro territorio, fatto di così tante e differenti parti, collegando il patrimonio artistico con la contemporaneità. Una contemporaneità che non è fatta solo di musei e di mostre ma è costituita da tanti soggetti e contesti vivi e vivaci; musicali, teatrali, cinematografici, architettonici, artistici. La cultura ha bisogno di moltissimi interventi e di molti meno eventi.

Interventi che devono e non possono venire solo dalla parte politica ma devono principalmente arrivare dalle realtà private. Realtà si badi bene che vanno dall’imprenditoria, grande, media o piccola che sia, al comune cittadino, quindi a noi. La politica è responsabile di creare gli strumenti giuridici, fiscali, amministrativi affinché il privato possa usufruire, partecipare, contribuire al sano funzionamento del sistema culturale del Paese ma non può sostituire il dovere civile di ognuno di noi di farsi curatori del bene culturale che ci circonda e ci arricchisce. Per fare questo è necessario un cambiamento radicale di mentalità, a livello governativo ma assolutamente, e più che altro, a livello personale. Nessuno è escluso da questa trasformazione. Per cambiare una mentalità non esiste la bacchetta magica. Una mentalità civile si costruisce partendo dall’educazione. E’ necessario allora che il bene culturale sia trasmesso e collegato con il sistema dell’istruzione. Essendo noi una superpotenza artistica è fondamentale che la Storia dell’Arte diventi lo strumento obbligatorio con il quale costruiremo nuove generazioni di cittadini capaci di capire e quindi di curare un patrimonio che ci appartiene sia a livello collettivo che a livello individuale. La Storia dell’Arte, come un tempo fu la Religione, dovrebbe essere considerata materia obbligatoria nelle scuole di qualsiasi tipo e indirizzo.[…]

Quando sento definire da parte di autorevoli analisti politici il ministero dei Beni Culturali «Un ministero minore», mi viene la pelle d’oca. La concezione collettiva della cultura in Italia è imbarazzante. Persino i Paesi che si sono ritrovati sotto i piedi il petrolio hanno capito che la loro ricchezza materiale ha i piedi di argilla se non sarà sostenuta da una ricchezza culturale forte e rispettabile. Non a caso un centro economico come Hong Kong ha capito che la propria vitalità futura non potrà basarsi esclusivamente sugli scambi commerciali ma dovrà anche avere una fortissima vitalità culturale. Per questo l’amministrazione di questa metropoli asiatica ha intrapreso aggressivamente una trasformazione della città che vedrà nei prossimi anni la nascita di un epicentro culturale. Un progetto affidato ai più importanti studi di architettura e operatori culturali del mondo. Insomma è sempre più chiaro che il nostro futuro è legato a quello che avevano già capito cinquecento anni fa i nostri antichi parenti e che oggi capiscono tutte le società emergenti del nostro pianeta.

La Stampa 22.06.11

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