Proprio alla fine Silvio Berlusconi si concede l’unico sbuffo retorico del discorso più controllato della sua vita: «Mi auguro per l’Italia un futuro di prosperità. Lo dobbiamo ai nostri figli e a questa nostra Italia che noi tutti amiamo. Viva l’Italia!». Il discorso del premier è finito e nell’aula del Senato è giunto il momento dell’applauso gratificante per il Capo. Ma i senatori del Pdl e della Lega, più che battere le mani, se le sfiorano. Ne esce fuori un applauso affettuoso ma senza fragore. Il ministro Roberto Calderoli smette di applaudire dopo soltanto quindici secondi, poi riprende blandamente. Dunque, un Berlusconi e una maggioranza senza pathos, ma la vera sorpresa è un’altra: le opposizioni hanno rinunciato a presentare documenti sui quali misurarsi. Tanto è vero che tre ore più tardi, alla fine del dibattito sulla verifica parlamentare, i senatori usciranno dall’aula senza sottoporsi al rito del voto.
L’opposizione – si fa sapere – non ha voluto «regalare» un ulteriore voto di fiducia al governo, ma l’esito del dibattito è comunque paradossale, anche perché è la conseguenza di quanto accaduto alla Camera qualche ora prima: chiesta la fiducia sul Ddl Sviluppo, il governo ha incassato 317 sì, 293 no. Un margine largo, di 24 voti, superiore alle attese. Di più: si tratta della vetta più alta in termini di voti a favore mai raggiunta dal governo, a partire dal 14 dicembre 2010. Quel giorno Berlusconi per la prima volta dovette fare i conti con la cospicua secessione dei seguaci di Fini (35 deputati) e nonostante ciò ottenne una sia pur risicata fiducia dalla Camera: 314 sì e 311 no.
Curioso contrappasso, quel margine così largo: proprio mentre nel Paese la maggioranza è in crisi di consensi, sia alle amministrative che ai referendum, in Parlamento il governo non solo tiene – e questo sarebbe fisiologico – ma addirittura si rafforza, diventa sempre più solido. Scherza il senatore ex An Domenico Gramazio: «Berlusconi? E’ come il caffè Lavazza: più lo butti giù, più si tira su!». Scherzosamente lo si potrebbe pure chiamare «effetto Lavazza», ma quella escalation è davvero originale. Come si spiega? «Si spiega con la fifa e la fifa compatta!», dice sorridendo Massimo Garavaglia, uno di quei parlamentari leghisti che non usano mai accenti propagandistici. Sostiene Garavaglia: «Ma bisogna anche aggiungere Pontida. Quest’anno c’era tanta gente, molta più del previsto, soltanto nel 1994 e nel 1996 ce n’era altrettanta. E dunque si è capito che noi le nostre richieste vanno prese sul serio».
Certo, la Lega dice di far sul serio e se le sue richieste saranno disattese, la legislatura potrebbe chiudersi prima del tempo e questo fa paura a tanti parlamentari. Ma nel passato la paura non ha mai fatto lievitare artificialmente le maggioranze. Cosa c’è di diverso in questa stagione rispetto alla Prima Repubblica? «La diversità sta in questo – spiega Paolo Giaretta, già sindaco democristiano di Padova e oggi senatore del Pd – che prima i parlamentari dovevano dar conto ai propri elettori e dunque, anche davanti a uno scioglimento anticipato delle Camere, se erano radicati sapevano di poter tornare in Parlamento grazie al consenso popolare, con le preferenze o nei collegi. Oggi torni in Parlamento soltanto se vuole il leader e dunque ecco spiegato il trasformismo: se cambio casacca, posso sperare che il Capo mi premierà. Conclusione: se la maggioranza è più debole nel Paese, il rischio di elezioni aumenta e in Parlamento la maggioranza si rafforza!». Eccolo spiegato l’effetto fifa. Ma il presidente dei senatori Pdl Maurizio Gasparri aggiunge una chiosa interessante: «A me pare che da parte della sinistra non ci sia tutta questa voglia di spallata, sanno che se vincessero adesso, dovrebbero gestire una stagione di crisi economica e di tagli». Un effetto fifa anche a sinistra? Sorride un politico di lungo corso come l’ex ministro socialista Rino Formica: «Il Pd cercherà di tener su Berlusconi, aspettando che fra un anno o due la pera caschi matura. E’ il riflesso di un vecchio parassitismo comunista, ma chissà se la scommessa è giusta…».
La Stampa 22.06.11