È la generazione «che quando prova a buttare il cuore oltre l’ostacolo, se lo vede rilanciare indietro» (Alessandro Rosina, professore di Demografia alla Cattolica di Milano, 42 anni). Quella che «non siamo inattivi, ma certo c’è una parte di rassegnazione, la soglia di resistenza è più bassa quando il reddito è finito» (Eleonora Voltolina, ideatrice del sito — che è anche un libro— repubblicadeglistagisti. it, 32 anni). Quella che «dovrebbe pagare la mia pensione, e invece fatica a trovare risorse per accedere alla casa, pianificare un figlio» (Chiara Saraceno, sociologa della famiglia, 70 anni). È il confronto, non i dati in sé, a togliere il fiato. Tre momenti nella storia del Paese: 1971, 1991, 2011. Una lunga corsa, dalla speranza a ridosso del boom fino all’arresto di fronte al baratro. Il quadro l’ha tratteggiato, ieri, il Sole-24 Ore. Stessi indicatori, anni diversi. E alcuni progressi incontestabili: il balzo in avanti nell’istruzione, dall’ 1%al 15%di lauree tra gli under 30. Che spiega, in parte, quel 71,6%di «inattività» (chi, pur senza lavoro, non lo sta cercando) tra gli under 25, rispetto al 58%del 1990. Non si va a caccia di un impiego perché si suda sui libri. Il problema è che l’investimento formativo non sempre paga, almeno sul medio termine. Nel 1991, nella fascia 25-34 anni, erano quasi 7 su 10 a portarsi a casa uno stipendio; oggi siamo scesi di 2,6 punti percentuali. E il 41,5%di under 35 vive con i genitori. Nel 1971, erano il 10%. Siamo, commenta Chiara Saraceno, «una società che si ripiega su se stessa» . Un Paese-gambero, che torna sui suoi passi e rischia l’implosione: economica, sociale. Dove i soldi non circolano, e i consumi ristagnano. «Quando sento una 35enne dire “non posso permettermi un figlio”, penso che è una deprivazione forte. In termini personali, ma anche sociali. Non è solo un problema demografico. Siamo diventati una società che si affida, su tutto, alla famiglia. Senza interrogarsi sulla tenuta del sistema. Al momento c’è una combinazione favorevole: i “figli”sono ancora abbastanza numerosi, i “vecchietti”hanno fatto in tempo a beneficiare del welfare, la pensione garantisce risorse per il consumo. Ma basta spostare lo sguardo più in là: meno pensioni, capacità di risparmio diminuita, meno ricchezze da investire. Terrà per 15 anni, poi…» . Già ora, «in ricerca e sviluppo (quindi nell’espansione dei settori più innovativi, dove il “nuovo”capitale umano può fare la differenza) investiamo il 50%in meno della media europea — commenta Rosina —. Conseguenza: meno opportunità per i giovani, meno crescita per il Paese» . Nel 2009, Rosina era in libreria con Non è un Paese per giovani (Marsilio); oggi, ci ritorna con Goodbye Malthus (Rubettino), sottotitolo: «dalla crescita della quantità alla qualità della crescita» . «In questo secolo vincerà chi investe sulla qualità della crescita, ma l’Italia fa fatica. Siamo di fronte a una generazione di “frustrati”: si riducono le opportunità, e ad afferrarle non è chi ha più talento ma chi ha una famiglia forte alle spalle» . Pronta a tappare i buchi di un welfare inesistente, «rispetto all’Europa spendiamo molto di più in pensioni, molto meno in disoccupazione e housing sociale» . Risultato, «la “sindrome da figliol prodigo”: il 40%di chi esce di casa perché ha trovato un lavoro, non ce la fa e torna dai genitori. Un esempio scoraggiante per tutta la rete sociale» . La crisi, ovvio, ha aggravato il tutto. «Ma sarà negli anni futuri che la pagheremo: meno tutele per i giovani (nati ereditando un debito pubblico che già anni fa ha sfondato il tetto del Pil), meno possibilità di carriera, meno sviluppo. Il periodo fertile delle nuove generazioni si è trasformato in stagnazione» . «Diciamo la verità: tutto, purtroppo, ruota intorno al denaro» , sintetizza Eleonora Voltolina. «Le retribuzioni sono basse e discontinue, i contratti troppo brevi, risparmiare è impossibile. Non è vero che siamo “inattivi”: in Italia ci sono 500mila stagisti e circa 200mila praticanti, che a livello statistico non si sa nemmeno dove piazzare… Se una volta uscivi da un percorso formativo e l’inesperienza non ti precludeva un’opportunità, oggi sembra si debba diventare fisici della Nasa prima di intravvedere un contratto» . «Il nostro è un sistema che incentiva i giovani ad essere più dipendenti che autonomi— chiude Rosina —. Le competenze non sono valorizzate, ma frustrate. E questo, oggi, compromette lo sviluppo futuro del Paese» .
Il Corriere della Sera 21.06.11