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"Lavoro: la nostra quota di trasformazione del mondo", di Pier Luigi Bersani

“Si sta muovendo un enorme energia che non chiede miracoli ma un altro stile, un altro modo, un altro civismo e moralità”. Bersani chiude la Conferenza Nazionale per il Lavoro. Abbiamo fatto un altro passo importante. Poco a poco stiamo facendo un partito che si confronta con la modernità e che tuttavia vuole essere un partito. Il piano di lavoro che oggi presentiamo è stato elaborato da esperti tra i 30 e 40 anni con l’aiuto della saggezza ed esperienza di Emilio Gabbaglio.

Sapevamo che fare un lavoro del genere in questo periodo poteva significare andare controcorrente ed essere fuori dai riflettori dei media. Ciononostante, vogliamo ribadire che per noi il lavoro è al primo posto. E lo dico anche con un sapore polemico perché c’è una distanza stellare tra quanto stiamo discutendo noi in questi giorni e quanto fa sta facendo la maggioranza e il governo.

Siamo in una fase di cambiamento. Dopo il referendum e le elezioni amministrative è andata molto di moda la parola “inaspettato”. Ma mi domando, inaspettato da chi? Oggi mi voglio togliere un sassolino dalla scarpa perché la memoria e ben corta. Ci siamo dimenticati le battaglie operaie, quelle degli studenti e insegnanti durante l’autunno? Le trasmissioni come quelle di Fazio e Saviano? La piazza di San Giovanni a Roma mai vista così piena? Le giornate delle donne? Le celebrazioni per i 150 anni d’Unità? Poi sono arrivate le amministrative la cui vittoria ha fatto anche da traino nell’esito dei referendum.

Il movimento che è partito sta incominciando a raccogliere i suoi frutti. Dicevo che si poteva vincere perché mi accorgevo che le piazze erano piene di donne. E quando questo accade, si vince! Quindi per noi il cambiamento non è stato inaspettato. Si abbia maggiore rispetto e attenzione per il solo partito nazionale del Paese che è radicato in ogni luogo, presente tra tutte le generazioni, che sta nelle piazze e nella Rete. Siamo solo noi. Nessuno sulla Rete e nelle piazze è più di noi. E non è solo questione di organizzazione. Si smetta di guardare il Pd dal buco della serratura. Non siamo il partito della retroscena, noi siamo il partito della prima fila della scena!

Il vento del cambiamento viene dall’incrocio tra questione democratica e sociale. Una questione che sta innanzi tutto nella testa dei cittadini: il modo di governare della destra che fa ribrezzo e il tema sociale diventano sempre più importanti. Lo abbiamo detto e lo rivendichiamo da tempo: la svolta non sarà solo l’oltrepassare di un governo, ma uscire dal berlusconismo e dalla malattia che entrata in vena in questi lunghi anni. C’è una maturazione e una consapevolezza sempre più forte dell’impotenza davanti a i problemi del Paese da parte del populismo che ci ha governato. Il ghe pensi mi vive sul breve, non sa scegliere, non dichiara i problemi e li nasconde. Il ghe pensi mi funziona solo per quelli a cui va bene comunque. Ma questi sono sempre di meno e ora comincia un altro film.

Non sarà con aggiustamenti all’interno del Pdl, con nuove fiducie parlamentari o con nuovi progetti che non saranno mai realizzati che il governo risponderà alle responsabilità del suo fallimento. E la Lega e i suoi grandi obiettivi dove sono finiti? Le loro ricette dove sono finite? Il federalismo come panacea fiscale e la chiusura delle frontiere per la sicurezza, dove sono finiti? Faranno nuovi ultimatum anche se hanno governato 8 anni su 10?

Chi dice che allunghiamo la mano alla Lega allora davvero non capisce! Noi siamo alternativi alla Lega e siamo noi che lanciamo la sfida alla Lega. Noi li abbiamo affrontati guardandoli negli occhi, parlando con la voce popolare. Non è stato di sicuro Sel a mettere i manifesti contro la Lega.

Nella crisi e nell’incertezza il Paese ha continuato ad andare avanti con il pilota automatico mentre le cricche continuavano ad arricchirsi. Il prestigio internazionale è crollato e la nostra voce in Europa è diventata sempre più debole nonostante fossero le forze conservatrici a governarla. L’Euorpa che vogliamo non è quella ma quella che sa governare e dare equilibrio alle politiche economiche.

Servono riforme che rimettano in moto il Paese. Dopo i moniti che arrivano sul declassamento da parte di Moody’s, Tremonti non si metta la medaglietta. Si sentono cose davvero curiose. Anche un bambino può chiederti che se sei il più indebitato e cresci di meno non potrai ad uscire dalla crisi se non ti muovi.

Saremo posti davanti all’alternativa del diavolo o a bere una ricetta recessiva. Loro lasceranno l’Italia con il cappio al collo. E adesso finalmente lo vengono a dire: non vogliono lasciare il Paese con i conti a posto. Allora dite dove ci avete portato! Vengano in Parlamento e dicano cosa intendono fare per il Paese e riceveranno la nostra proposta alternativa.

Davanti al mondo del lavoro basta con il dire balle. Lavoro è la nostra quota di trasformazione del mondo.

Il ceto medio diventa sempre più debole e chiede protezione. Il lavoro dipendente e professionale deve fare i conti con la crisi che è doppia rispetto agli altri Paesi europei. Come faranno a dire che stiamo meglio degli altri come qualche tempo fa?

Ma le cose stanno cambiando. Si sta muovendo un enorme energia che non chiede miracoli ma un altro stile, un altro modo, un altro civismo e moralità. La moralità non può solo essere appaltata alla giustizia. Ricordiamo Berlinguer, senza una riscossa civica e morale non si va da nessuna parte. Non c’è nessuna scorciatoia da seguire. Senza la buona politica, le istituzioni e il civismo, il Paese non esce dai guai. Noi all’anti-politica abbiamo pagato un prezzo troppo alto. Ora basta.

La ricostruzione democratica, un pacchetto di riforme e un nuovo patto sociale, sono queste le nostre ricette per l’Italia. Ci chiedono dove è il progetto? Stiamo lavorando e come si dice a Genova non stiamo asciugando gli scogli! Chi vuole alludere alla mancanza di proposta non ha mai voluto rispondere questa domanda: chi aveva ragione quando a inizio di legislatura pensava che non ci fosse la crisi, poi che fosse una cosa passeggera tanto da svendere l’Alitalia, da abolire l’Ici ai più ricchi e non dare respiro alla ripresa dei consumi…insomma chi aveva ragione? Rispondano a questa domanda!

Noi stiamo facendo un percorso e, con la prossima direzione, vedremo di capire a che punto siamo arrivati. Discuteremo delle cose da fare sapendo che al primo posto della nostra proposta c’è e rimane il lavoro. Tutto dovrà ruotare attorno al tema del lavoro. Il lavoro non è tutto? Andatelo a chiedere a chi il lavoro non ce l’ha!

Se non vuoi fare tagli lineari devi metterti al lavorare almeno un anno prima di procedere. È perché non hanno lavorato in questi anni la ragione per cui non sanno fare tagli intelligenti. Nessun investimento sulle tecnologie, sull’efficienza energetica e sulle fonti rinnovabili. Ora c’è la necessità di una nuova politica industriale e fiscale che alleggerisca l’impresa e il lavoro. Attuare un piano di riforme con in testa le liberalizzazioni e non prendere più in giro il Paese.

La produttività non è solo il sudore del lavoratore ma un sistema che mette insieme il lavoratore con le strategie di investimento sulla produttività. Serve un modello che eviti l’atomizzazione e dumping del sistema. La competitività non può significare disgregazione. Partecipazione ed esigibilità devono camminare di pari passo. Vanno trovate nuove forme di rappresentanza per garantire la partecipazione.

Lavoriamo sui sistemi delle regole (ad esempio la sicurezza sul lavoro, lotta contro caporalato, e l’abolizione delle dimissioni in bianco) con battaglie parlamentari. Affrontiamo il precariato con riforme che lo rendano meno vantaggioso per il datore di lavoro. Serve una concertazione meno paludale e formale ma più legata ad obiettivi ben definiti. Insomma servono politiche economiche concrete che testimonino efficacia.

Dobbiamo essere orgogliosi per quello che si fa e umili davanti ai tanti problemi e le difficoltà che si vivono nel Paese. Ci proponiamo di essere il partito del lavoro, della costituzione e delle autonomie. Potremo esserlo se sapremo farlo tutti assieme.

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Bindi: Si tiene tutto se abbiamo a cuore il bene del Paese

“È la fine di un ciclo e l’inizio di un altro. Lo inizieremo noi sui valori intorno a cui vogliamo costruire la nostra convivenza. Essere poveri quando si lavora significa che qualcosa non torna” – Intervento alla Conferenza Nazionale per il Lavoro

Vorrei innanzi tutto ringraziare tutti che hanno reso possibile questa Conferenza per il Lavoro. Questa data è importante per dire che il PD ha capito i risultati del referendum: il Paese ci ha detto di puntare all’essenziale.

Quando segnavo il mio Sì sul quesito per l’acqua pensavo che quel sì significava salute e lavoro. Quando mettevo il mio Sì sul Legittimo impedimento pensavo alla Costituzione italiana dal primo all’ultimo articolo nei valori della legalità e dell’uguaglianza. L’Italia ha scelto la qualità dello sviluppo e anche il PD ha scelto di puntare all’essenziale: ambiente, crescita e diritti

Ci siamo ritrovati intorno al lavoro e questo non significa fare un passo indietro, un rifugiarsi nel passato. Non è così. Il centrodestra nel lavoro ha espresso tutta la sua sostanza: non affrontato le sfide del moderno ma considerato il lavoro come luogo di conflitti, alimentando le diversità, creando isolamento dei lavoratori. Soli verso il collega, verso il territorio, verso l’immigrato. La maggioranza ha superato il concetto fondamentale della concertazione che ci evitò la bancarotta nei primi anni 90 e ha mortificato l’unità sindacale e del lavoro.

Mi domando ma un partito come il nostro, difronte a questa cultura che ha prodotto solo danni, dove il 30% dei giovani e il 60% delle donne sono fuori dal lavoro, dove 4 milioni di lavoratori sono precari, abbiamo un altro spazio non affrontare il tema del lavoro con proposta alternativa per il Paese? In Europa ci sono modelli funzionanti. Ad esempio in Danimarca. Ma noi siamo italiani e dobbiamo adottare un tema con un modello italiano.

Il dibattito che emerge oggi non significa divisione ma solo ricchezza. Alla fine il messaggio dovrà essere profondamente unitario. Dovremo fare un sforzo culturale perché il lavoro non è solo fonte di reddito ma come dice la Costituzione uno strumento per la libertà e la dignità. Gli articoli e i principi della nostra Costituzione non sono affatto superati e continuano a ispirare noi come partito riformatore.

Che paese abbiamo costruito se il 30% dei giovani e il 60% delle donne nono sono messi in grado di dare il loro primo contributo alla crescita del Paese? Essere poveri quando si lavora significa che qualcosa non torna e a noi è toccato di vivere proprio in questa fase.

È la fine di un ciclo e l’inizio di un altro. Lo inizieremo noi sui valori che gli elettori ci hanno detto di costruire la nostra convivenza. Dallo Statuto dei Lavoratori conosciamo i principi che hanno ispirato le grandi riforme. Tali principi ispireranno anche le nostre proposte.

Facciamo qualcosa in particolare per le donne: sento che il governo vuole portare a 65 anni le pensioni per le lavoratrici non dipendenti e ci dicono che è solo un adeguamento alla normativa europea. Questa non è una risposta per il welfare italiano. La risposta giusta è la lotta contro il precariato che colpisce 4 milioni di lavoratori; sono le politiche per le donne come avvengono in Germania (congedo parentale) o in Francia (assegni familiari): norme di uguaglianza e di sostegno.

Rinunciate al licenziamento in bianco. Se il Paese vuole crescere deve crescere anche dal punto di vista demografico.

Non si può fare a meno del contributo del 60% delle donne per lo sviluppo del Paese. Si tiene tutto se abbiamo a cuore il bene del Paese. Avremo il consenso e la forza di fare scelte difficili sapendo che gli italiani ci capiranno e ci seguiranno se diciamo dove vogliamo andare per il bene del Paese.

Andrea Draghetti

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