attualità, politica italiana

"La politica dei respingimenti", di Adriano Prosperi

Ci sono tanti luoghi ai quali l´osservatore delle cose italiane dovrebbe guardare in questi giorni: Milano e Napoli, per esempio, ma anche le piazze finanziarie e le capitali europee dove si affrontano i problemi del debito italiano e si dettano le regole che dovranno governare la nostra economia. Ma il luogo sul quale oggi si concentra l´attenzione dell´informazione politica è un piccolo comune in provincia di Bergamo con un nome che risvegliava un tempo solo gli echi scolastici di una brutta poesia di Guglielmo Berchet: Pontida.È dal raduno annuale della Lega, con elmi e spadoni di un Medioevo di carta, che si attende una risposta importante. Intanto i gruppi dirigenti dei partiti, ben lungi dal seguire il saggio consiglio del Presidente Napolitano di cercare di «ritrovarsi uniti su grandi obiettivi comuni», sembrano uniti solo nello star fermi – uno spasmodico “surplace” in attesa che sia l´altro a fare la prima mossa. Così si è creata una speciale atmosfera di attesa della parola del Bossi: già, perché a parlare sarà solo lui. Alla sua parola il compito di ricreare quell´unione mistica tra il capo e un popolo che – a detta dei dirigenti della Lega – ha pur dato di recente ai suoi capi una sberla clamorosa. Dal verbo di Pontida è dunque lecito attendersi un segnale di svolta. Intanto qualcosa di nuovo c´è pur stato: di nuovo, anzi d´antico. Parliamo delle misure recenti prese a caldo dal ministro Maroni, l´uomo forte della Lega, il vero candidato a gestire un possibile governo di fine legislatura col benestare dell´azzoppato Berlusconi. Recano il suo sigillo personale. Un decreto fulminato a tambur battente ha triplicato d´un sol colpo, da sei mesi a diciotto, il periodo di detenzione dei clandestini nei Cie e ha introdotto una durissima procedura per i “respingimenti”.
Torneremo su questa parola. Ma intanto segnaliamo anche la proposta del ministro per la politica internazionale: in una intervista del 17 giugno Maroni ha chiesto che la Nato schieri le sue navi davanti alle coste libiche per impedire la partenza di profughi. Non sembra molto realistico agitare lo spettro dell´invasione di masse libiche in un paese dove alla data del 17 maggio scorso secondo l´alto commissario Onu per i rifugiati erano arrivate dalla Libia circa 14.000 persone in tutto. Quanto al decreto contro gli immigrati, si tratta di una misura di una durezza terrificante ma del tutto irrealistica. Intanto è basata su premesse false. Non è vero, come ha dichiarato il ministro dell´Interno, che il decreto è «coerente con le norme dell´Unione europea»: la direttiva europea sui rimpatri chiedeva gradualità nel percorso di rimpatrio dell´immigrato irregolare. Invece il decreto impone una espulsione immediata e colpisce chi non ottempera al primo ordine di espulsione con la galera da uno a quattro anni (da uno a cinque per i recidivi). Senza contare le sanzioni in danaro: l´immigrato irregolare dovrebbe pagare da tremila a diciottomila euro.
Pura irrealtà per l´economia degli immigrati: ma anche per il ministro. Lo dimostra il fatto che tutta la procedura dovrebbe passare attraverso il giudice di pace. Secondo l´avvocato Livio Cancelliere dell´Asgi (associazione studi giuridici sulle immigrazioni) nessun giudice di pace applicherà mai queste sanzioni. Dunque, si tratta solo di propaganda pre-Pontida.
Ma proviamo a leggere queste norme con lo sguardo dei disperati: quella parola “respingimento” è una bestemmia, come hanno ben compreso per primi molti commentatori del mondo cattolico, concordi nel condannarlo senza esitazione. È la cancellazione brutale di una tradizione antichissima ancora viva nelle nostre culture, quella che vedeva nell´esule, nel supplice una figura sacra agli dèi. Oggi “respingimento” significa essere ributtati nell´inferno senza che nessuno ti chieda se sei un perseguitato politico o religioso o se lo diventerai una volta respinto. Intanto, gli “irregolari” chiusi nei Cie penseranno a quel che li aspetta là dove saranno rimandati. Conosciamo i loro pensieri: saranno come quelli di Nabruka Mimuni, l´immigrata quarantenne da trent´anni in Italia (ma non italiana per la legge) che circa due anni fa si uccise impiccandosi nel Cie di Ponte Galeria a Roma.
Dunque, niente di più vecchio di queste novità: è ancora l´antica politica della paura. Colpire l´immigrazione, trattare il clandestino come un delinquente, vuol dire riproporre al Paese la ricetta usata finora per farne salire la febbre xenofoba. Per un po´ questa ricetta ha funzionato. Ma la massa di cittadini che ha riempito le piazze e si è messa ordinatamente in fila davanti ai seggi del referendum ha mandato un segno molto chiaro: le cose sono cambiate, il Paese sta guarendo. Ci vogliono paraocchi speciali per non vederlo. Le risposte plebiscitarie alle quattro domande hanno inviato ai governanti una richiesta di diritti e di solidarietà, contro l´appropriazione privatistica dei beni comuni, contro l´impunità per i potenti, contro scelte che mettono a rischio l´ambiente e il futuro delle giovani generazioni. E anche questo è stato, a suo modo, un “respingimento”.

La Repubblica 19.06.11

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CLANDESTINI: LE OPPOSTE PROPAGANDE SU UN DECRETO
di MICHELE AINIS

Un decreto fantasma naviga nei mari italiani. Giovedì scorso il Consiglio dei ministri lo ha approvato «salvo intese» : significa che non c’è ancora un testo da sottoporre alla firma di Napolitano. Ma un testo circola comunque, circola un comunicato ufficiale del governo, e di conseguenza s’infiamma la polemica tra maggioranza e opposizione. Perché la materia è fin troppo rovente: le politiche verso gli immigrati. E perché oggi cade il raduno di Pontida, dove c’è bisogno d’uno scalpo da esibire per trofeo.Da qui le parole trionfanti di Maroni: abbiamo ripristinato le espulsioni. Da qui le contumelie dei suoi avversari in Parlamento: vergogna, tenete la gente in galera per 18 mesi senza uno straccio di processo. Ma hanno torto, gli uni e gli altri. E allora, per riconciliare i fatti e le parole, proviamo a fare un po’ di storia. Ne verrà fuori l’immagine di un Paese che fa un passo avanti e l’altro indietro, però ci siamo abituati. La legge Turco-Napolitano del 1998 — pur inasprendo i controlli contro l’immigrazione clandestina — garantiva agli stranieri «i diritti fondamentali della persona umana» . Nel 2002 la legge Bossi-Fini opera un giro di vite, specie in tema d’ingresso, di soggiorno, di lavoro. Nel 2004 la Consulta ne demolisce le norme più liberticide. Nel 2008 il governo Berlusconi vara il primo pacchetto sicurezza, che introduce l’aggravante della clandestinità, castigando con una pena accresciuta fino a un terzo i reati commessi dagli immigrati irregolari. Nel 2009 il secondo pacchetto sicurezza aggiunge il reato di clandestinità. Nel 2010 la Consulta fa saltare l’aggravante, perché trasformava i reati dei clandestini in altrettanti delitti d’autore, puniti per la personalità del reo, non per la gravità del fatto. Infine nell’aprile 2011 una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea boccia anche il reato, o meglio boccia la pena detentiva (da 6 mesi a 4 anni) che vi s’accompagnava. Per forza: se il reato serve a rendere effettivo l’allontanamento degli immigrati irregolari, è dura riuscirci tenendoli in prigione. Da qui quest’ultimo decreto. Che tuttavia non è affatto un esercizio muscolare, un emblema del cattivismo di governo, come lo raccontano le opposte propagande. In primo luogo perché è un atto dovuto: serve a rispettare due direttive europee, scongiurando una procedura d’infrazione. In secondo luogo perché non incrudelisce affatto la disciplina preesistente: semmai la mitiga, la attenua. Anche verso i cittadini comunitari, sopprimendo l’obbligo del visto d’ingresso per i soggiorni fino a 3 mesi; semplificando i ricongiungimenti familiari; proibendo verifiche sistematiche (anziché caso per caso) dei loro precedenti penali; ancorando a condizioni tassative l’allontanamento dal territorio dello Stato. E gli extracomunitari? In alcuni passaggi questo decreto s’arma di compassione (chi l’avrebbe detto?), come quando promette modalità speciali per l’espulsione dei disabili, degli anziani, dei minori. Poi, certo, mantiene in vita il reato di clandestinità, che d’altronde l’anno scorso era uscito indenne dalla mannaia della Consulta; ma sostituendo alla galera una pena pecuniaria, e non è un dettaglio irrilevante. Rimane il punto critico dei centri di identificazione ed espulsione: prima i clandestini potevano esservi reclusi per 6 mesi al massimo, adesso per 18 mesi. Però, attenzione: anche questo limite è ammesso dall’Europa. Inoltre il loro uso viene consentito in casi eccezionali (altrimenti basterà sequestrare il passaporto); per periodi di 60 giorni, sia pure prorogabili; e sempre con la convalida del giudice di pace. Si poteva fare meglio, ma in passato abbiamo fatto peggio. C’è allora una lezione che ci impartisce quest’ultima vicenda. La politica dei fatti ormai abita in Europa; sicché ai politici italiani non resta che una ghirlanda di parole. Ma sono parole menzognere, una truffa delle etichette, per così dire: ci vendono una bottiglia d’acqua minerale, dopo averci incollato sopra l’etichetta del Barolo. Pazienza, vorrà dire che con questi politici non corriamo il rischio d’ubriacarci.

Il Corriere della Sera 19.06.11

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