La mossa del ministro dell’Economia dopo l’annuncio di Moody’s. Fiducia nell’asse con Bossi: “Vedrete, verrà rinsaldato”. Stasera vertice delicatissimo. “Anticipare la manovra”. Se mai ci fosse stato ancora un dubbio, sospeso tra i pronunciamenti demagogici del Grande Imbonitore di Arcore e i riposizionamenti strategici del Gran Cerimoniere di Pontida, la sortita di Moody’s l’ha spazzato via in un colpo. Giulio Tremonti, adesso, si sente più forte. E ha un’arma in più per difendersi dall’accerchiamento di Berlusconi e Bossi: rilanciare sulla linea del rigore. E varare subito, prima dell’estate, la maxi-manovra da 40 miliardi, che dovrà portare l’Italia al pareggio di bilancio entro il 2014. È l’unica risposta possibile, da offrire all’Europa e ai mercati, per tenere il Paese al riparo dalla “sindrome greca”.
Chiuso in casa a Pavia, il ministro del Tesoro si prepara a una domenica di passione. Questa mattina, sul pratone di Pontida, c’è il raduno della Lega, che dovrà decidere le sorti del governo. Maroni e Calderoli alzano i toni, e coprono le pretese di Cisl e Uil, palesemente velleitarie perché colpevolmente tardive. Dopo aver ingoiato senza fiatare ogni tipo di rospo, in tre anni in cui i salari reali del privato sono crollati e gli stipendi del pubblico impiego sono stati congelati, Bonanni e Angeletti si ricordano che famiglie e lavoratori, precari e disoccupati, meritano adesso una “ricompensa” fiscale. Minacciano addirittura uno sciopero, dopo aver boicottato ogni genere di protesta organizzata dalla Cgil. I due ministri leghisti si accodano. Bossi tace. Parlerà solo lui, oggi, al popolo padano. E tutti aspettano di
capire se romperà con Berlusconi (evitando di seguirlo nella deriva sfascista) o se romperà con Tremonti (smettendo di seguirlo sulla linea rigorista). Il ministro è tranquillo: il suo “asse” con il Senatur oggi “verrà anzi rinsaldato”. Perché un conto è dire “serve la riforma fiscale subito” (come gridano Maroni e Calderoli), un altro conto è dire “serve una riforma fiscale, ma non ci sono i soldi per farla” (come dirà Bossi).
Questa sera, in Lussemburgo, c’è poi il vertice europeo che dovrà decidere le sorti di Atene. Nuovi aiuti, ristrutturazione del debito, né gli uni né l’altra. Tremonti non fa previsioni: “Tutto è possibile, nulla è scontato”. La preoccupazione è altissima. L’effetto domino è dietro l’angolo. Per questo la riunione di stasera è fondamentale, in vista della riapertura dei mercati di domani, e più ancora del Consiglio Europeo di giovedì prossimo, quando la questione greca sarà all’ordine del giorno del vertice dei capi di Stato e di governo, e si tratterà di stringere ancora di più i cordoni della borsa, con buona pace del Cavaliere che si era illuso di convincere Sarkozy a chiedere un allentamento dei vincoli delle leggi di stabilità dei paesi membri nei prossimi due anni. Scorciatoie che solo la disperazione irresponsabile di Berlusconi può considerare ancora possibili, in un’Eurozona tormentata dal dissesto dei debiti sovrani e perciò tornata al centro degli attacchi della speculazione internazionale.
Come uscire da questa congiuntura, che somma in un’algebra impossibile l’urgenza di un forte stimolo interno con la cogenza di un fortissimo vincolo esterno? Tremonti non ha dubbi. E tanto a Pontida, quanto a Lussemburgo, offre la stessa risposta, che rimanda alla Legge di Stabilità e al Piano Nazionale di Riforma: “La politica di rigore fiscale non è un’opzione, non è temporanea, non è conseguenza imposta da una congiuntura economica negativa, ma è invece “la” politica necessaria e senza alternative per gli anni a venire”. La linea del governo non può cambiare: non c’è spazio per una riforma fiscale generale, né tanto meno per un calo immediato delle aliquote Irpef. L’Italia deve garantire in tutti i modi “il rispetto dei vincoli sull’indebitamento netto e sul rapporto debito/Pil”. Dunque, ancora una volta, Tremonti non si sposta dalla sua linea del Piave: né manovre in deficit, né misure che ci allontanano dal pareggio di bilancio.
L’altolà di Moody’s aiuta la resistenza del ministro dell’Economia. Tremonti si aspettava una mossa del genere. La considera “un riflesso generalizzato della crisi greca, più che una critica specifica alla tenuta dei conti italiani”. E dunque “investe allo stesso modo tutti i paesi dell’Eurozona”, sia pure con un’intensità diversa. “E’ una fase critica e delicatissima per tutti”. Ma non c’è dubbio che per Paesi come la Spagna e l’Italia (dopo la diffusione della crisi tra Irlanda, Grecia e Portogallo) lo sia ancora di più. L’avvertimento dell’agenzia di rating, secondo la lettura che se ne da a Via XX Settembre, nasce da qui. “La tensione sugli spread di questi giorni riguarda tutta la struttura dei titoli di Eurolandia, non certo solo quelli italiani”.
L’Italia, da questo momento, torna ad essere un sorvegliato speciale. Ed è per questo che Tremonti, adesso, è più che mai irremovibile sulla disciplina di bilancio. E punta a lanciare un segnale ancora più netto di rigore. Il segnale è appunto “l’anticipo della manovra da 40 miliardi”. Un altro schiaffo alla strategia berlusconiana, che voleva una “scossa” espansiva subito, fatta di sgravi fiscali massicci, e la “stangata” rinviata (semmai) all’autunno. Il ministro inverte l’ordine: prima dell’estate “l’impianto dell’intera manovra che dovrà portarci al pareggio di bilancio nel 2014 dovrà avere una struttura di legge”. Dunque entro luglio conosceremo i contenuti della legge delega sulla riforma fiscale e i sacrifici necessari qui ed ora, e poi nell’arco dei prossimi due anni. Questione di giorni. Passata la verifica (sempre ammesso che passi) dalla settimana prossima Tremonti conta di portare i primi provvedimenti in Consiglio dei ministri, per arrivare alla discussione e al via libera del Parlamento prima della pausa di agosto.
Il solco è già tracciato, secondo il ministro dell’Economia. “E’ il Piano Nazionale per la Riforma. Quello è il nostro “palinsesto”. Nelle prime cinque pagine c’è scritto cosa dobbiamo fare per arrivare al pareggio di bilancio. E a pagina 6 c’è scritto cosa dobbiamo fare per portare a regime una seria riforma fiscale e assistenziale, basata sulla progressività, sulla solidarietà, sulla semplicità. Tarata sulla riduzione del numero sterminato di regimi fiscali di favore, almeno 400, e sul modello tedesco, che non è quello dello Stato costruttivista, che predetermina a tavolino le detrazioni e le deduzioni. Questo è il documento che abbiamo firmato in Europa. Questo è il patto che dobbiamo onorare. Non ci sono alternative”. Il messaggio al Cavaliere, ancora una volta, è più chiaro che mai. Resta un’ultima questione, che tuttavia è cruciale sul piano del giudizio politico. Se adesso anche l’Italia rischia la tragedia greca, come dimostra l’allarme di Moody’s, allora è un’intera politica economica che in questi tre anni è clamorosamente fallita. E di questo tutti, nello sgangherato “dream team” berlusconiano, portano allo stesso modo la loro quota di responsabilità. Questo governo ha tamponato il deficit, ma ha fatto riesplodere il debito, e ha dilapidato il tesoretto dell’avanzo primario. Il Paese non ha conosciuto vero né rigore contabile, né meno che mai vera crescita economica. Accorgersene, oggi, è una colpa etica imperdonabile. E rimediare, ormai, è una scommessa politica non più credibile.
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