È arrivata la conferma che serve una svolta: la maggioranza non c´è più, debbono prenderne atto. Siamo il primo partito e abbiamo una proposta: in Parlamento parleremo con le forze politiche. Nel Pd prima un progetto, poi la persona. Una democrazia funziona in questo modo.
Segretario Bersani, dopo i successi delle amministrative e dei referendum lei chiede le dimissioni di Berlusconi. Sapendo bene che lui non le darà mai. Non avete un´altra strada da indicare per uscire da questa fase?
«Mi fanno una domanda e io rispondo. Chiedete le dimissioni del premier? Sì. Ma vorrei chiarire che non le chiediamo dopo il referendum e il voto nelle città. Il referendum e le amministrative sono successivi a una richiesta che facciamo da un anno e mezzo».
Il voto di ieri non cambia niente?
«Cambia moltissimo. C´erano un milione di ragioni per mandare a casa il governo prima del referendum. Il voto di ieri ha messo un ulteriore carico di 90 sulla loro crisi. E vedo che emerge una certa consapevolezza: nei commenti che vengono da alcuni leghisti, nei giudizi del Sir, l´agenzia della Cei. È arrivata con chiarezza la conferma che serve un altro passo, una svolta. Il centrodestra dovrebbe prendere atto di una vicenda che nasce come crisi politica di una maggioranza che non è più quella uscita dalle urne, si trasforma nella paralisi conclamata dell´azione di governo e, dopo i quesiti, dimostra il palese distacco tra opinione pubblica ed esecutivo. Hanno divorziato dai cittadini. Guardando i risultati stavolta non ho potuto fare a meno di ridere, per quanto ce l´abbia messa tutta».
Dopo le amministrative disse: o riforma elettorale per andare a votare in poche settimane o elezioni anticipate. C´è ancora spazio per la prima ipotesi?
«Aveva poche chance prima, ne ha poche adesso. Perché dall´altro lato non c´è ancora nessuno che abbia immaginato un percorso alternativo, che si sia posto l´esigenza di come uscire da questa crisi. Credo sia largamente più probabile un confronto elettorale anticipato. Ma dev´essere sempre certificata la disponibilità del Pd a considerare l´ipotesi di una riforma elettorale».
Il suo pessimismo significa che gli incontri con la Lega sono andati male?
«La nostra esigenza non è avere diplomazie di alcun genere. Il primo partito del Paese, e noi siamo il primo partito, se dice “questa legge non mi va” deve rispondere alla domanda “quale altra legge vorresti”. Questo fa il Pd. Abbiamo una proposta e non l´abbiamo incardinata in Parlamento per aprire un confronto con tutte le forze di opposizione».
È ancora valida la parola d´ordine “fuori Berlusconi dopo di che un´altra soluzione, anche dentro il Pdl, va bene”, rilanciata da D´Alema?
«Penso che un governo che metta mano alla legge elettorale con Berlusconi in maggioranza, cioè con il Pdl, sia praticamente impossibile. Il premier considera il Porcellum la legge migliore del mondo. Come può essere disponibile a modificarla?».
Sempre sicuro che per offrire un´alternativa agli elettori non sia utile indicare a breve il leader della coalizione?
«Nella direzione del Pd c´è stato un apprezzamento unanime per il percorso che ho disegnato. Dobbiamo inserire nella nostra proposta messaggi che rendano evidente come vogliamo superare Berlusconi: andare anche oltre l´ubriacatura e la malattia. In tutte le democrazie del mondo il processo segue queste tappe: progetto, unità di una coalizione e scelta della leadership. Pensare di premettere il nome di una persona alla chiarezza su progetto e persone che si impegnano intorno ad esso significa rimanere con un piede nell´idea berlusconiana. Che ha provocato molti guai».
Il voto di ieri dice qualcosa in più delle urne amministrative?
«In più c´è la forza della società civile, di un´opinione pubblica che si esprime su tre questioni specifiche. La prima responsabilità di chi ha dato una mano a questo straordinario movimento è tradurre in politiche positive l´esito del voto. Mettendo nero su bianco un piano energetico, avviando la discussione su una legge che governi il ciclo dell´acqua, insistendo sulle nostre proposte di miglioramento del sistema giustizia. L´onda si è rafforzata, è un altro segno di riscossa civica che va oltre il perimetro del centrosinistra. La metà dell´elettorato di centrodestra ha votato i quesiti. Uscire dalla palude è un´esigenza nostra ma anche degli elettori di Berlusconi».
Si aspetta sorprese da Pontida?
«Puoi stare con uno che vince anche se perdi tu. Puoi stare con uno che perde se vinci tu. Ma se lui perde e tu perdi va avviata una riflessione. A Pontida dovrebbero parlare di questo».
Lei chiede le dimissioni del governo, Di Pietro frena. Saprete gestire i successi?
«Capisco Di Pietro. Ripeto: le dimissioni le chiedevo un anno fa senza legare l´ora X né al referendum né alle amministrative. Può starci la paura di nuove divisioni a sinistra visti precedenti. Ma non è questo il caso: abbiamo gestito gli ultimi voti con grande sintonia».
Lei si sente un po´ Papa straniero perché è un politico atipico. Vuol dire che un altro leader non avrebbe messo la faccia su un quorum tanto rischioso?
«Anche».
Ma la sua scuola è antica.
«Mi sento atipico nel senso che credo molto poco negli aspetti politicisti. Mi fido di quello che succede nel profondo del Paese, non mi appassiono alle cose di breve periodo. La politica per me si gioca sulla tenuta, non è solo comunicazione. Deve partire dalle ragioni più sentite dai cittadini che sono intelligenti e sanno quando è il momento di cambiare. I vezzi della politica nel piccolo cabotaggio mi impressionano poco».
La Repubblica 14.06.11
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Bersani: il governo si deve dimettere Ma Di Pietro lo frena
Vincere e spaccarsi. Succede alle opposizioni subito dopo i brindisi e gli «evvai!» , succede che Bersani chieda a Berlusconi di salire al Quirinale per rassegnare le dimissioni e che Di Pietro lo accusi di «strumentalizzare» il referendum. Ma l’Idv è isolata, perché Vendola (come Casini) si schiera con il Pd e chiede al governo di «liberare il campo» . Bersani in sala stampa non sta nella pelle: «Stavolta non riesco a non ridere…» . Si siede, si toglie la giacca, sfoggia una cravatta rosso fuoco e si rimbocca le maniche della camicia: «È stato un referendum sul divorzio tra il governo e il Paese» . Il segretario del Pd invita l’intero centrodestra a un’assunzione di responsabilità, dice che il governo non ha più la maggioranza elettorale e la sua «crisi conclamata» ha preso la forma di un «distacco profondo» dall’opinione pubblica: «Sarebbe da irresponsabili non riflettere su questo punto» . Conclusioni che il segretario designato del Pdl, il Guardasigilli Angelino Alfano, respinge con garbata forza: «La percentuale raggiunta dai quesiti è andata molto al di là della forza elettorale del centrosinistra, per cui non si possono trarre le conseguenze del tutto improprie di cui parla l’onorevole Bersani» . Gli esperti di tattiche parlamentari stanno valutando l’idea di una mozione di sfiducia. Ma per il senatore Nicola Latorre simili strumenti sono «esercizi ginnici» e anche Bersani spera che la decisione di staccare la spina la prenda la Lega: «Vedremo a Pontida cosa diranno. Ma tempo fa dissi che si può anche stare con uno che perde se tu vinci o con uno che vince se tu perdi, ma se entrambi perdono ci vuole una riflessione» . E la manovra economica? Niente da fare, i democratici non ci stanno. La road map di Bersani porta alle urne anticipate: «Crisi, Quirinale, verifica rapida sulla possibilità di riformare la legge elettorale» . E se la Lega non cede nemmeno sul cambiare assieme il porcellum, si va a votare. Ma Di Pietro è su un’altra lunghezza d’onda, vuole essere coerente con l’impegno a non politicizzare il referendum e marca la distanza da Bersani. Parla di «vittoria dei cittadini» e chiede ai partiti di «non metterci il cappello sopra» . E guai, intima l’ex magistrato agli alleati, ad «approfittarsi» del risultato invece di lavorare per costruire l’alternativa. E un concetto simile esprime a Corriere Tv il leader dei Verdi Angelo Bonelli, altro vincitore della consultazione. Bersani, però, insiste. Per il leader del Pd l’ «eccezionale fenomeno di partecipazione» impone la presa d’atto che «il governo è su una strada diversa da quella su cui viaggia il Paese» . Alla presentazione del libro di Walter Veltroni, commenta i risultati con Casini e i due si trovano d’accordo sulle prossime mosse. «Bisogna andare al voto— sprona il leader centrista, nient’affatto intenzionato a unirsi a una “maggioranza barcollante”—. Per un governo tecnico mancano ormai le condizioni» . I voti del terzo polo sono stati «determinanti» e Casini, Fini e Rutelli lo dicono in una nota congiunta: «Il sì ai referendum è un no grande come una casa a questo governo» . Vendola parla di «maggioranza malconcia, prigioniera di una conflittualità continua» . Il leader di Sel concorda sul fatto che il Paese «non ne può più» e ha mandato al governo «un messaggio chiaro» . E anche Veltroni ammette che la «clamorosa sconfitta di Berlusconi» è una «grande vittoria del Pd» .
Il Corriere della Sera 14.06.11