Caro direttore, dalle pagine del Messaggero Lucetta Scaraffia mi pone domande su un problema specifico cui si fa cenno nel mio recente libro, quello cioè dei diritti e delle tutele delle migliaia di bambini e di adolescenti che vivono con coppie dello stesso sesso.
La questione viene poi accostata a quella delle coppie che si recano all`estero per avere un figlio attraverso tecnologie riproduttive, cosa consentita ovviamente solo ai benestanti. Cominciamo dunque da quest`ultimo aspetto. Lucetta Scaraffia ritiene che io ponga un problema di equità economica e di sperequazione da colmare.
Non si riduca il mio argomento a questo! Sono io che pongo, se mi è permesso, un tema di «slittamento etico».
Davanti a temi cruciali che riguardano la vita e la morte, la possibile manipolazione dell`uomo e l`universo della sua dignità e dei suoi diritti, l`assenza di adeguata normazione può portare per vie di fatto a una banalizzazione etica; qualcuno nel mondo offre una tecnica, comincia a comprarla chi può, e gli altri via via seguono.
E’ questa l`inevitabile dinamica di quello che è stato definito «human divide». Esiste infatti la tecnica ed esiste un mercato che la espande, e tecnica e mercato assieme muovono le frontiere delle percezioni morali in diverse e a volte opposte direzioni. Pensiamo ad esempio a quali effetti preventivi dell`aborto abbiano oggi le tecniche di ecografia; all`opposto pensiamo a quanto nuove tecnologie applicate alla fine della vita possano fare accettare che l`uomo venga colpito nella sua dignità e portato «dove non vuole andare», cosa sconosciuta ai tempi della morte domestica. Quelli che sto descrivendo sono fatti. Fatti che si aggiungono a una moltitudine di altri fatti, compresi il numero crescente di bambini allevati da coppie omosessuali, l’enorme aumento delle convivenze stabili, e così via. La politica non dovrebbe occuparsene? Tutto questo dovrebbe star fuori dal perimetro di ciò che chiamiamo bene comune? E se deve occuparsene non deve forse farlo, come bene ci ha ricordato sempre sul Messaggero Domenico Rosati, mediando fra principi e norme? Non è questo anzi il compito precipuo della politica, il senso stesso della sua autonomia e del suo limite? Sono certo che anche la mia interlocutrice potrà condividere una domanda:
se le norme coincidono con i principi, le persone in carne e ossa che fine faranno? Quello che ho scritto nel mio libro significa in sostanza questo: voglio una politica e un partito ospitali per credenti e non credenti; voglio una politica consapevole del suo limite e orgogliosa del suo ruolo; una politica che non si ubriachi di ideologia, non si erga a religione e che d`altra parte, non accetti di sopravvivere navigando senza bussola nell`indistinto e nel relativo.
Davanti ai, problemi nuovi che suggeriscono nuove frontiere etiche, non si governa né si fa politica senza avere una bussola sulla questione antropologica.
Intendo che il mio partito la trovi in un umanesimo forte e condiviso, consapevole che un uomo, non può essere separato dalla sua dignità e dalla sua libertà e che a sua volta egli non può separare la sua libertà dalla sua responsabilità.
Questo avverrà, nel mio partito, non già «tenendo conto» della sensibilità dei cattolici ma per opera, insieme, dei cattolici e dei laici. Per altro, chi ama leggere nella lunga storia italiana la peculiare impronta delle radici cristiane dovrebbe aver fiducia nel carattere forte di una visione umanistica che, da noi più che altrove, può accomunare credenti e non credenti, Il Partito democratico desidera dunque, per rendersi utile al bene comune del Paese, che la Chiesa italiana esprima il suo magistero nel pieno della discussione pubblica e che alla politica sia riconosciuto e richiesto un ruolo di mediazione.
Se sarà così, sono certo che su temi cruciali noi italiani sapremo dire e fare qualcosa di originale nel contesto europeo, fuori dall`alternativa fra fare argine a ciò che ci arriva dal mondo o semplicemente assorbirlo.
Ringrazio dunque Lucetta Scaraffia per questa occasione di discussione. In fondo, non chiedo altro che di poter finalmente discutere.
Il Messaggero 11.06.11