A parole, almeno sui principi generali, sono tutti d’accordo. E cioè trovare una soluzione sulla validità erga omnes dei contratti, per ridurre la conflittualità nelle fabbriche. Ma è su come arrivare all’obiettivo che le strade divergono, con un diverso atteggiamento tra Cisl e Uil da una parte e Cgil dall’altra nel rapporto tra iscritti e non iscritti, verifica di mandato e uso del referendum.
L’argomento rappresentanza e rappresentatività è emerso in questi ultimi anni a fasi alterne. Solo che stavolta è più dirompente che in passato. A metterlo sotto i riflettori è la vicenda Fiat, con gli accordi di Mirafiori e Pomigliano: le intese prevedono, oltre flessibilità innovative, il passaggio dalle Rsu, rappresentanze sindacali unitarie elette dai lavoratori (solo con un terzo riservato ai firmatari dei contratti) alle Rsa, le rappresentanze sindacali aziendali, previste dallo Statuto dei lavoratori, dove è presente solo chi ha firmato l’accordo, quindi Fim, Uilm e Fismic, senza la Fiom. Sono state approvate dal referendum tra i lavoratori. Ma nemmeno questi passaggi sono stati sufficienti per evitare i ricorsi giudiziari della Fiom e dare la garanzia all’azienda, come chiede l’ad Sergio Marchionne, di avere la certezza degli investimenti, condizione necessaria per investire.
La Fiat oggi. Ma in futuro, in una situazione di crescente bisogno di competitività delle imprese, di scarsa crescita del Paese, di perdurante divisione sindacale, la conflittualità può diventare un rischio più diffuso. Uno scenario diverso rispetto al passato: «Per 60 anni in Italia le relazioni sindacali sono andate avanti senza regole e senza che se ne sentisse un bisogno urgente. Una situazione anomala rispetto agli altri Paesi: persino la liberista Inghilterra le ha. Ma c’era un sindacato unitario, l’Italia cresceva», spiega Tiziano Treu, senatore Pd, giuslavorista ed ex ministro del Lavoro. Realtà diversa rispetto a quella di oggi, con l’Italia post-crisi che arranca, le aziende alle prese con i mercati globali, le vecchie ideologie che pesano e che, con un Governo in carica di centro-destra, condizionano la Cgil. C’era Treu al Governo quando, nel 1998, Cgil, Cisl e Uil si misero d’accordo sulle regole nel Pubblico impiego, poi recepite per legge. «Era un clima diverso: c’era maggiore coesione sociale e il problema reale, che vedeva Cgil, Cisl e Uil in sintonia, di ridurre le 50 sigle sindacali presente nel Pubblico impiego», racconta Treu, ricordando che la trattativa durò solo qualche mese (si veda l’articolo in pagina).
Una rapidità impensabile oggi, con i sindacati che da mesi riaffermano l’esigenza del problema ma non trovano l’accordo. Premessa necessaria, secondo la Confindustria, per poter avviare un confronto con i rappresentanti delle imprese. Un accordo, in verità, era stato trovato, nel 2008. Conteneva sia la riforma della contrattazione che le regole su democrazia e rappresentanza. Solo che sui contratti alla fine si è arrivati, a gennaio 2009, alla firma separata, senza la Cgil. E su democrazia e rappresentanza non si è andati avanti. Anzi. La Cgil, prima di Guglielmo Epifani, e poi di Susanna Camusso, nell’ultima proposta prevede che in caso di dissenso occorra un voto di mandato con una quota superiore rispetto alla maggioranza semplice e per l’approvazione dell’accordo erga omnes è richiesto un voto certificato o il referendum (stavolta con la maggioranza semplice). Ipotesi non condivise da Cisl e Uil, che contestano il voto di mandato e soprattutto una maggioranza che vada oltre il 50% più un voto. L’accordo del 2008, affermano, è ancora valido. Ma intanto la Uil di Luigi Angeletti ha annunciato la disdetta dell’accordo del ’93 e ritiene che sia sufficiente le certificazione degli iscritti, applicando l’articolo 39 della Costituzione, a garantire l’erga omnes.
Anche la Cisl di Raffaele Bonanni sottolinea l’importanza della certificazione, come premessa essenziale per stabilire chi ha la maggioranza degli iscritti, in base al criterio del 50% più uno. Ma ritiene opportuno un avviso comune tra le parti e se necessario non contrasterebbe un recepimento per legge.
L’intesa non è facile. «Ma non si può più andare avanti senza regole», è il parere di Treu. Che comunque ritiene non opportuna un’intesa separata sulle regole. «Il recepimento per legge la renderebbe valida per tutti. Ma aumenterebbe il clima di scontro. Si arriverebbe a una situazione di guerriglia nelle relazioni sindacali, a svantaggio della competitività», continua l’ex ministro.
Proprio per questo i disegni di legge che ci sono in Parlamento alla fine non sono andati avanti: «Ne ho firmato uno anch’io. Ma stiamo aspettando che le parti trovino una linea comune. Certo – aggiunge – se continuerà così, alla fine qualcosa dovremo fare comunque».
Il Sole 24 Ore 09.06.11