Esiste il nucleare sicuro? Troppo facile rispondere: chiedete agli abitanti di Fukushima. Però, c’è un aspetto per il quale la lezione nipponica è determinante: ed è l’aspetto umano. Tecnici che non avvertono dei rischi segnalati per tempo, l’immensa difficolta di uno dei paesi più tecnologici al mondo di affrontare l’emergenza, omissioni e omertà ad altissimo livello, scientifico e aziendale. E allora, la risposta potrebbe suonare così: anche se esistesse il nucleare sicuro (e non esiste), è l’umanità che è troppo «insicura » per poterselo permettere. Ma sono tante le domande che i referendum del 12 e 13 giugno portano con sé, dall’acqua privata o pubblica al legittimo impedimento. E meritano risposte precise. Proviamo a vedere, al di là di stereotipi e posizioni preconcette.E così torniamo alla nostra prima domanda.
Esiste un nucleare sicuro? No, oggi sicuramente no. È di ieri la notizia che per la prima volta sono state rinvenute tracce di plutonio fuori dalla centrale di Fukushima. Probabilmente il territorio colpito non potrà essere abitato per almeno altri cinquant’anni. Si fa un gran parlare di centrali della quarta generazione, capaci di gestire la questione dello smaltimento delle scorie. Ma nel caso di un ritorno al nucleare quelle da costruire sarebbero impianti di terza generazione, ed è ovvio che l’onere dello smaltimento delle scorie si abbatterà sulla cittadinanza del territorio. Èbene sapere che il 20per cento dei reattori attualmente in funzione si trova in aree sismiche e che i danni per la popolazione derivanti da un incidente in una centrale nucleare si trascinano per generazioni: le mutazioni derivate dal disastro di Cernobyl, per esempio, si trasmettono geneticamente.
È vero che il nucleare permetterà ai cittadini di avere delle bollette più basse? No. Un impianto nucleare costa tra gli 8 e i 10 miliardi di euro, e ovviamente sono imponderabili i costi legati allo smantellamento e la messa in sicurezza delle scorie, senza parlare delle conseguenze di eventuali incidenti. A parte il fatto che secondo i dati del dipartimento per l’energia degli Stati Uniti il nucleare è già il più caro (11,15 cent/kwh cv contro i 9,61 dell’eolico e gli 8,03 del gas), il nucleare viene considerato spesso una fonte per generare energia elettrica a basso costo. In realtà per individuareunquadro completo dei costi è necessario allargare la visione all’intero ciclo di produzione. Ossia, va considerato anche il costo dello smantellamento di una centrale, la bonifica del territorio e lo stoccaggio delle scorie radioattive. Basti sapere che per costruire la centrale nucleare Usa di Maine Yankee negli anni ‘60 sono stati investiti 231 milioni di dollari correnti. Per smantellarla sono necessari 635 milioni di dollari. Infine, gli esperti mettono l’accento sul fatto che i costi legati al nucleare rimarrano stabili o addirittura aumenteranno (si pensi, per esempio, al fatto che per un paese come l’Italia, che non ne dispone per conto proprio, sarà necessario importare l’uranio: che finirà, prima o poi, proprio come il petrolio). Questo mentre il costo, con investimenti inizialmente sostenuti, per il sostentamento le energie alternative, a cominciare dal fotovoltaico, nel tempo è destinato a diminuire.
Senza il nucleare siamo«meno europei»? Beh, è unfatto che la Germania, governata dalla democristiana Angela Merkel, abbia appena deciso di abbandonare il nucleare, né è un caso se la Francia, che ospita attualmente 58 centrali nucleari attive, sia seriamente tentata di farne a meno: il 62% dei nostri vicini transalpini vuole che il paese ne esca progressivamente (in 25-30 anni), mentre il 15% vorrebbe un’uscita immediata.
Capitolo acqua. Quali sono i vantaggi per i cittadini se la gestione dei servizi idrici avrà una corsia preferenziale per i privati? Nessuno. A parte la questione morale generale, secondo cui l’acqua di per sé deve rimanere il bene pubblico per eccellenza ed esser sottratto a logiche di mercato, è comunque assai dubbio che un suo parziale passaggio ai privati possa comportare un risparmio per la collettività. Vediamo perché. Tra gli altri, il referendum propone l’abrogazione del decreto per la parte che dispone che la tariffa per il servizio idrico sia determinata tenendo conto dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito. Detto così pare arabo, ma la sostanza è che la normativa permette al gestore del servizio idrico di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito: ebbene, cominciamo col dire che non vi è nessun collegamento a logiche di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio stesso. Detto ancora più in chiaro, la bolletta includerà, oltre ai lavori ordinari, anche gli utili delle aziende. Ovviamente, tutto il costo della gestione del servizio, compresi gli investimenti, è scaricato in bolletta. Dopodiché, oggi come oggi l’acqua in Italia costa circa un euro ogni mille litri, accessibile alla quasi totalità della cittadinanza praticamente senza limiti. È vero che la rete idrica del Bel Paese perde circa 40 litri ogni cento (ogni giorno circa 104 litri per abitante, il 27% di quella prelevata), ma gran parte di ciò che si perde comunque rientra in falda, e dunque torna agli acquedotti. Certo, nel campo dell’agricoltura va perduto circa il 60%, ma è praticamente impossibile che un qualsivoglia privato possa o intenda affrontare una spesa per ristrutturare la rete idrica nazionale che secondo il Conviri (commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche), supera i 64 miliardi di euro nei prossimi trenta anni.
È vero che laddove è stata attivata la gestione privata si sono abbassate le tariffe? Ovvio che no. Anzi. Basta confrontare le tariffe della gestione privata con quelle pubbliche. Risultato? Nel primo caso sono aumentate del 12% rispetto alle previsioni, nel secondo il dato è rimasto quasi costante (solo l’1% in più). Per esempio, si segnalano significativi aumenti in bolletta in Calabria, ad Agrigento, a Latina, dove gli acquedotti sono passati ai privati. Le bollette di Milano e Roma, al contrario, nello stesso tempo sono rimaste quasi invariate.
Legittimo impedimento: è vero che esiste anche negli altri paesi europei? No. Esiste l’immunità parlamentare, per esempio in Germania, Belgio, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito. In Francia e in Spagna è limitata ai reati commessi nell’esercizio della funzione. In Portogallo l’immunità non vale nei casi di flagranza di reato. In Italia il legittimo impedimento permette al premier di non presentarsi ai processi perchè impegnato in attività di governo, preparatorie o consequenziali. La Consulta ha imposto modifiche di rilievo, conferendo il potere decisionale al giudice anziché al premier. Si vota per confermare la legge nella versione “riformulata” o cancellarla del tutto.
L’Unità 07.06.11