Il capo dello Stato ha espresso il suo parere, rispettando semplicemente il suo ruolo. Ai cronisti che gli chiedevano se pensasse di andare a votare per i referendum, Giorgio Napolitano ha risposto: «Io sono un elettore che fa sempre il suo dovere» . Ben diversi durante la giornata i toni usati da molti ministri del Pdl, che hanno invocato l’astensionismo o annunciato che diserteranno le urne. La prima voce è stata quella di Franco Frattini, capo della Farnesina: «Non andrò a votare perché questa tornata referendaria si è trasformata all’improvviso in un referendum pro o contro il governo e contro Berlusconi» . Subito dopo si sono aggiunte molte altre voci. Inteso bene: la linea del partito è chiara, libertà di coscienza degli elettori. E questo Ignazio La Russa, ministro della Difesa, lo vuole ripetere con grande chiarezza. Eppure anche lui, referendario convinto, non metterà le schede nelle urne il 12 e il 13 giugno prossimo. Dice: «Ci sto pensando, ma credo proprio che non andrò a votare. Perché questi referendum sono stati snaturati dal loro significato e sono diventati soltanto politici» . Anche Giorgia Meloni, giovane titolare del dicastero della Gioventù, domenica e lunedì prossimo diserterà le urne: «L’astensione è un diritto, esattamente come lo è il voto» , commenta trovandosi d’accordo con il suo collega a capo del ministero del Welfare. Maurizio Sacconi, tuttavia, non la mette sul piano prettamente politico. È più semplice: «Non andrò a votare perché è molto tempo che non voto nessun referendum» . E si scontra, ma lievemente, con il suo ex-viceministro, oggi titolare della Salute. È vago Ferruccio Fazio: «Mica lo so se riesco a votare, ho la residenza a Lampedusa» . E chissà se anche Stefania Prestigiacomo, ministro dell’Ambiente, ha mantenuto la sua residenza siciliana. Lei, tuttavia non ha alcun dubbio: a votare non ci andrà. Spiega: «Mi sono battuta per la libertà di voto, ma dobbiamo evitare la politicizzazione di sinistra, che sta pompando questo evento» . Anche l’ex ministro Claudio Scajola ha voluto dire la sua su questi referendum, invocando l’astensione: «Perché due di questi referendum sono sorpassati dalle modifiche di legge, dunque inutili, mentre quelli sull’acqua sono un’interpretazione sbagliata di un tema importante. Sono fuorvianti» .
Il Corriere della Sera 07.06.11
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“MEGLIO VOTARE FA BENE A TUTTI”, di GIAN ANTONIO STELLA
D ice il ministro della Salute Ferruccio Fazio che per lui votare ai referendum sarà «un bel problema» perché è residente a Pantelleria: «Spero di farcela, ma se non vado a votare non sarà per motivi ideologici» . I suoi colleghi Maurizio Sacconi, Altero Matteoli, Giorgia Meloni e Claudio Scajola spiegano invece che no, loro non ci andranno alle urne proprio per far fallire le consultazioni. Sulla stessa posizione sta Roberto Formigoni. Che a chi gli rinfacciava che «è grave che chi riveste un ruolo istituzionale dichiari di non voler partecipare a un istituto democratico che permette a tutti i cittadini di dire la propria» , ha ricordato piccatissimo che «ai sensi delle leggi vigenti non vi è alcun obbligo per i cittadini di andare a votare» . Compreso, ovvio, «il cittadino Formigoni» . Il quale, dieci anni fa, quando il governo di sinistra fece esattamente come stavolta quello di destra e cioè rifiutò di abbinare le elezioni e il referendum sulla devolution lombarda fortissimamente voluto dal governatore e dalla Lega per non favorire il superamento del quorum, era furente: «Un killeraggio» . In realtà, come ricordava un giorno Filippo Ceccarelli, «chi è senza astensionismo scagli la prima pietra» . Pier Ferdinando Casini, per dire, oggi si batte perché tutti vadano a votare ma sulla procreazione assistita era favorevole all’astensione pur avendo sostenuto nel 1997, quando l’invito ad «andare al mare» aveva mandato a monte, scusate il pasticcio, 7 quesiti, che «è sempre un giorno triste, quando le urne vengono disertate» . E Piero Fassino, che a quell’appuntamento del 2005 era impegnatissimo a superare il quorum sulla procreazione, aveva due anni prima spiegato, a proposito dell’estensione dell’articolo 18 alle piccole imprese: «La strategia passa attraverso la richiesta ai cittadini di non partecipare» . Perfino i radicali, che più coerentemente hanno sostenuto il valore democratico del voto referendario, hanno qualcosa da farsi perdonare. Fu Marco Pannella, infatti, a ventilare per primo l’ipotesi dell’astensione per far fallire lo scontro sulla scala mobile nel 1985. E da allora è sempre andata così. Da una parte quelli che vogliono vincere «pulito» con il quorum, dall’altra quelli che non vogliono rischiare di perdere e puntano a sommare il loro astensionismo a quello fisiologico. Indifferenti all’accusa, volta per volta ribaltata, di essere dei «furbetti» . Prima delle parole dette in questi giorni da Giorgio Napolitano, un altro presidente si era speso per la partecipazione. Carlo Azeglio Ciampi: «È ovvio che l’astensione è legittima, ma io ho votato per la prima volta a 26 anni, perché prima in Italia non era dato, e da allora l’ho sempre fatto perché considero il voto una conquista e un diritto da esercitare» . Ecco, per costruire una democrazia compiuta, quali che siano i referendum sul tavolo, i valori in gioco, gli schieramenti politici, si potrebbe partire da qui. Dalla necessità di salvaguardare uno strumento di partecipazione che, dopo 24 fallimenti consecutivi a partire dal 1995, non possiamo più permetterci di mandare a vuoto. Certi cattolici come Mario Segni, controcorrente rispetto alle stesse scelte della Chiesa, decisero ad esempio di andare a votare anche sulla fecondazione assistita. Votarono da cattolici, non da atei, laicisti, anti-clericali. Ma votarono. Convinti che, se avessero vinto nelle urne, sarebbe stata una vittoria più bella che non quella ottenuta col trucco.
Il Corriere della Sera 07.06.11