Segretario Bersani, cosa rappresenta per lei questo voto?
«Il segno di una riscossa civica, nel quadro di un problema sociale che si è fatto acuto e ha via via reso vulnerabili anche i ceti che finora si erano ritenuti al riparo dalle incertezze. È la prova che nell’incrocio tra questione democratica e questione sociale c’è l’evoluzione della crisi del Paese. Il rito personalistico e populistico si è mostrato inconcludente e menzognero di fronte ai problemi che prometteva di risolvere. Lo si vede più nettamente al Nord; cioè nel luogo più dinamico» . Bersani, è sicuro che il Pd abbia vinto? Pisapia e de Magistris non erano i vostri candidati. «In questo tam tam c’è la velina del terzismo: un colpo al cerchio e uno alla botte, se Atene piange Sparta non ride. Siamo l’unica democrazia al mondo in cui si ragiona così. In realtà, se uno perde ci dev’essere qualcuno che vince. I dati sono chiarissimi: su 29 vittorie, il Pd aveva 24 candidati; a Milano, su 28 consiglieri del centrosinistra il Pd ne ha 24. Non solo il nostro partito non ha pagato una presunta opzione radicale, ma elettoralmente ha spesso compensato i problemi degli alleati. Oggi siamo la forza centrale nella costruzione di un’alternativa. E cresciamo mettendoci al servizio di un centrosinistra che si apre a tutte quelle forze e a quelle opinioni che pensano di andare oltre Berlusconi su un terreno saldamente costituzionale. Gli elettorati di sinistra e centristi si sono già ampiamente mescolati nei ballottaggi» . Questo significa che continuate a cercare l’accordo con il terzo polo? Oppure la sinistra può fare da sé? «La barca della politica deve avere più pescaggio. Magari viaggerebbe più lenta; ma è bene avere più pescaggio. C’è un’esigenza di ricostruzione. Il Paese ha davanti problemi seri; è tempo di affrontarli. Una democrazia che assuma un carattere costituzionale, una politica economica che prenda atto della realtà, la necessità di uscire dalla malattia del berlusconismo, sono obiettivi che ormai accomunano gli strati di opinione che si definiscono di centrosinistra con altri di centro o anche di centrodestra non berlusconiano» . Quindi avanti verso un’intesa più ampia possibile? «Vedremo se la congiunzione avverrà tra elettori, o tra forze politiche. Il Pd intende ribadire questa prospettiva: un centrosinistra che non rifaccia l’Unione ma si vincoli a riforme visibili ed esigibili, proposte a tutte le forze politiche, cittadine, sociali che vogliono guardare oltre Berlusconi. Non esiste la possibilità di alzare steccati verso chi ha mostrato di voler discutere con noi. In nome di un’esigenza costituente, il centrosinistra non metta barriere e si rivolga in modo ampio. Tocca alle forze politiche prendersi responsabilità» . Ma alle Amministrative accordi con il terzo polo ne avete fatti pochini. «Dove non sono venuti i partiti, sono venuti gli elettori. Dove l’accordo si è fatto, come a Macerata, nessuno ha pagato alcun prezzo» . L’allarme sociale è così grave secondo lei? «Vedo che nel centrodestra si chiacchiera molto: Alfano, primarie. Non trovi mai una discussione che parta dai problemi. Eppure, dopo il referendum avremo di fronte scelte micidiali. Nelle carte che Tremonti ha già scritto, anche se forse Berlusconi forse non le ha lette, c’è scritto che dobbiamo arrivare al 2014 con una base di spesa pubblica di 40 miliardi in meno, forse anche 50. Io dico: è irrealistico. Non lo possiamo fare, se no andiamo in recessione sparati. Non si è voluto andare in Europa e dire: noi facciamo un pacchetto di riforme strutturali— fisco, lavoro, liberalizzazioni, pubblica amministrazione —, e impostiamo tagli più graduali» . Ma voi sosterreste un governo di fine legislatura, con un premier diverso da Berlusconi, che impostasse queste riforme? «Il governo non è operativo da mesi e mesi. La coalizione che vinse il premio di maggioranza non esiste più. Il voto ha dimostrato che Berlusconi non ha più neppure la maggioranza nel Paese. Dovrebbe presentarsi dimissionario alla verifica che giustamente gli chiede il capo dello Stato, e rimettersi a lui. La nostra opinione è che a quel punto la strada maestra sarebbe il voto. Siamo pronti però a discutere un rapido passaggio che consentisse di andare a votare con una diversa legge elettorale, perché questa deforma l’assetto democratico. Purtroppo Berlusconi sembra insistere nella sua tecnica di sopravvivenza estenuata. E il distacco non solo tra governo e Paese ma anche tra istituzioni e Paese si accentua. Mi chiedo come la Lega possa accettarlo » . Lei ha lanciato segnali alla Lega, con formule tipo «partito di popolo a partito di popolo» . Dove vuole arrivare? Potrete mai fare un pezzo di strada insieme? «Noi siamo alternativi alla Lega. Ma le diciamo: il federalismo non finisce se finisce Berlusconi. A noi interessa, naturalmente dal punto di vista di un partito saldamente nazionale, come ci interessano temi che una volta Bossi indicava e ora sono finiti nel bosco: la sburocratizzazione, la trasparenza, la pulizia. Noi su questi temi ci siamo. Con un punto di vista diverso dal loro, ma ci siamo. Io ad esempio non ho mai detto che la Lega è razzista. Ho detto che, a forza di ripetere “ognuno a casa propria”, si finisce per assecondare pulsioni razziste. Ormai il calo del Pdl non porta buono alla Lega. La somma non è zero. Perdono tutt’e due. Se poi la Lega pensa di uscirne chiedendo più ministeri, diremo al Nord che ha legato il Carroccio dove voleva l’imperatore» . L’accordo con il terzo polo significa rinunciare alle primarie. È così? «Non è questo il punto. Io ho chiara la sequenza, che esporrò nella direzione Pd di lunedì (domani; ndr): prima i problemi, e le riforme; il Pd presenta un progetto per l’Italia e ne discute con chi ci sta. A cominciare naturalmente dal centrosinistra; poi si decide il passo successivo. Le primarie le abbiamo inventate noi e restano sempre la strada preferita; ora vedo che ne parla anche il Pdl; ma primarie e Berlusconi sono un ossimoro. Non mettiamo però le primarie in testa. In testa mettiamo una decine di riforme da fare: democratiche e sociali. Se negli Anni ’ 90 avevamo l’euro, oggi il grande obiettivo devono essere le nuove generazioni. Organizziamo ogni cosa intorno a questo, disturbandoci, pagando qualche il prezzo. Chi ha di più, dia di più» . Lei sa bene che l’Irpef non fotografa la ricchezza degli italiani ma dei lavoratori dipendenti. Finireste per colpire il ceto medio. «Non è così. Noi vogliamo un’operazione seria, solida, in nome dei giovani. Alleggeriamo le imposte sul lavoro e sull’impresa che dà lavoro. Colpiamo l’evasione e le rendite immobiliari e finanziarie. Aggrediamo la precarietà: un’ora di lavoro stabile deve costare un po’ meno, un’ora di lavoro precario un po’ di più» . Casini invita a votare due no al referendum. Voi siete per il sì. Come la mettiamo? «Intanto è importante l’impegno affinché si vada a votare. Il quorum andrebbe calcolato in proporzione ai votanti delle ultime Politiche. Raggiungere il 50%non è facile, ma possiamo farcela. Senza politicizzare il referendum, che sarebbe un errore» . La destra la accusa di aver cambiato idea sulla privatizzazione dell’acqua. «Il referendum semplifica tutto: sì o no. Noi siamo contro l’obbligo di privatizzare la gestione dell’acqua. Per quanto riguarda la questione della governance e degli investimenti, in Parlamento c’è una nostra proposta di legge. Se vince il sì, ripartiamo da quel testo» . Vendola nel ’ 98 votò per la caduta di Prodi. Oggi le pare un alleato affidabile? Anche sull’Afghanistan? «Lo verifichiamo, prima del voto. Ci presenteremo agli italiani senza ambiguità. Quando dico che non vogliamo rifare l’Unione, intendo che dobbiamo costruire un profilo di governo, anche sulla politica estera. Non do nulla per scontato. Mi auguro che ognuno si prenda le sue responsabilità» . Prodi è salito con lei sul palco della vittoria, e già si parla del Quirinale… «Mi ha fatto un grande piacere averlo al mio fianco. Vedo in lui il padre nobile della grande operazione che stiamo portando avanti. Prodi ha già
un ruolo internazionale. È un uomo che ha una visione strategica, e abbiamo bisogno anche di quella. Più grande sarà la sua disponibilità, più grande sarà la mia disponibilità a impiegarlo in battaglia» .
Il Corriere della Sera 05.06.11