Gli elettori hanno messo in discussione l’idea di una politica come bricolage, ossequiosa del primato degli accordi fra stati maggiori.
E, dal punto di vista della vita del Pd, quella della strutturazione correntizia. Le due cose si possono vedere insieme: si integrano a perfezione. Nicola Zingaretti, uno degli homines novi del Pd, infatti le connette, tanto che correttamente il titolo della sua seria intervista al Corriere della Sera è “Basta con capicorrente e schemini sulle alleanze”. L’impressione insomma è che la società si sia incaricata di riformare ciò che il Pd, da sé, non riusciva a fare.
Il voto di domenica e lunedì ha, per molti versi inaspettatamente, rimesso in pista il centrosinistra e il suo maggior partito, dati l’uno e l’altro per moribondi. Ancora si cerca una spiegazione compiuta che tenga insieme le ragioni della vittoria di personalità così diverse come Zedda e Fassino, Pisapia e de Magistris, Cosolino e Bosone, Merola e Pettinari: generazioni diverse, formazioni culturali diverse, appartenenze politiche diverse. Hanno vinto tutti.
Perché l’elettorato di centrosinistra o più in generale antigovernativo non è stato lì a guardare se l’alleanza formatasi nella sua città avesse il baricentro a sinistra o pencolasse verso il centro. Ha votato, a un’unica, grande condizione: che il candidato sindaco o presidente di provincia fosse davvero in grado di simboleggiare – qui ci vuole – una “vocazione maggioritaria” al di là dei partiti. I tanti Pisapia che hanno vinto le amministrative in giro per l’Italia hanno saputo porsi al centro fra la società e il ruolo politico-propagandistico dei partiti.
L’hanno saputo fare più agevolmente uomini della società civile.
E non solo loro. Anche gli esponenti di partito che hanno saputo porsi al servizio di una domanda e di una pratica politica nuova hanno prevalso: non a caso, prima avevano vinto le primarie, cioè avevano sentito cosa chiedevano le persone. È dunque giusto dire che il Pd dovrà sempre più e sempre meglio sintonizzarsi sulle domande, le ansie e le risorse che la società civile esprime, ascoltando e addirittura “devolvendo” scelte e finanche indirizzi politici. Se tutto questo è vero, pensare di imboccare la scorciatoia tattica dell’accordo fra i partiti come se questa fosse l’alfa e l’omega della politica è un’illusione. Non è “nuovismo”: ma senza la spinta dal basso non si vince. Il riformismo non vince. Senza i comitati che autonomamente sono sorti e hanno operato a Milano, probabilmente Pisapia non ce l’avrebbe fatta. Per questo le urne hanno, se non cancellato, almeno notevolmente ridotto la portata del dilemma “alleanza con la sinistra o con il Terzo polo?”.
Il secondo elemento che Zingaretti mette in luce nell’intervista a Maria Teresa Meli riguarda la vita interna del Pd. Il voto di domenica segna uno spartiacque anche da questo punto di vista, non solo perché questo partito, anche psicologicamente, vive una fase diversa, non più segnata dallo “sconfittismo”, con un leader che nessuno mette in discussione, con una serie di gruppi dirigenti locali, spesso giovani, che si sono formati nel vivo di un’aspra battaglia per di più vincente.
Ma anche e soprattutto per il fatto che la rigida strutturazione correntizia che ha contrassegnato i primi tre anni e mezzo del nuovo partito è destinata a scongelarsi (qualche segno già c’era), in vista di un rimescolamento e di una dinamica più articolata e libera. Il che, detto così, è positivo.
In questo senso, l’idea di un segretario eletto alle primarie senza liste a sostegno rinvia a un assoluto primato dei partecipanti alle primarie: è uno spunto che non andrà lasciato cadere.
La domanda, semmai, riguarda il rischio di un azzeramento della dialettica interna, di una corsa ad un Grande Centro acritico e potenzialmente a posizioni di potere, con la terribile conseguenza di un rinsecchimento della discussione. Sarebbe un esito paradossale, tanto più di fronte a un fermento sociale tornato a sprigionarsi, davanti a giovani che chiedono politica, a tante persone che hanno ripreso la parola. Trovare un equilibrio nuovo nel modo di essere potrebbe essere per il Nazareno uno dei banchi di prova della stagione che si apre, quella di un nuovo Pd che recupera il rapporto con la società riconnettendosi per questa via alla sua ispirazione originaria.
da Europa Quotidiano 03.06.11