attualità, politica italiana

"La centralità del Quirinale", di Stefano Folli

La festa nazionale del 2 giugno ha suggellato le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità. E bisogna riconoscere che tutto si è svolto nel migliore dei modi. Vedere oltre quaranta capi di Stato e i rappresentanti di numerosi altri paesi riuniti a Roma, a far da corona al presidente della Repubblica in un giorno festoso e lieto, è corroborante.. Aiuta a superare le amarezze quotidiane. Lo stesso Napolitano deve averlo pensato, se ha sentito l’impulso di sottolineare “la realtà viva e dinamica dell’Italia”.
E’ legittimo ricavare alcune considerazioni dai momenti celebrativi che si sono susseguiti per circa due mesi e mezzo, dal 17 marzo a ieri, sotto la regìa del capo dello Stato. In primo luogo tutti hanno potuto costatare che l’unità nazionale rappresenta un bene apprezzato dagli italiani. Meno male che il ministro Maroni non ha mancato di essere al suo posto alla sfilata dei Fori Imperiali. Può essere il segno che la Lega ha capito di aver commesso un grave errore, nei mesi scorsi, volendosi distinguere in modo sprezzante e quasi derisorio dal sentimento di unità nazionale e di rispetto verso il processo risorgimentale che Giorgio Napolitano e prima di lui Carlo Azeglio Ciampi hanno saputo interpretare e alimentare con parole e gesti appropriati.

Quel tanto di separatismo umorale che i leghisti accreditavano (forse avvertendo che le leggi federaliste non erano in grado, da sole, di suscitare entusiasmi elettorali) non è servito a mascherare la battuta d’arresto del partito di Bossi nel Nord. Probabilmente l’ha addirittura accentuata. Oggi il Carroccio è davanti al classico bivio. Può tornare alle sue radice secessioniste, ritirandosi nei fondovalle alpini senza più prospettive di uscirne. Oppure può abbandonare del tutto i vezzi semi-separatisti e diventare, se ci riuscirà, quella forza davvero riformatrice e anti-statalista che in questi anni non ha saputo né voluto essere. In base alla scelta, gli equilibri politici del paese – e non solo il destino del governo – ne verranno condizionati.

In secondo luogo si conferma la centralità del Quirinale nell’attuale fase. Per meglio dire, si ribadisce che Giorgio Napolitano è il protagonista decisivo del dibattito pubblico. Un fattore chiave per capire i prossimi passaggi politici. Sappiamo che le amministrative hanno fotografato il declino di Berlusconi. E’ vero che non è a portata di mano un’alternativa al centrodestra (Pdl e Lega), ma è altrettanto vero che il premier e Umberto Bossi sono due alleati logorati dagli anni e dagli errori, incapaci di quel cambio di rotta che i loro sostenitori si ostinano a vedere possibile.

Un Quirinale che tiene in mano le redini della situazione è rassicurante, perché il rischio di un paese senza timone, oscillante fra stagnazione e colpi di testa, è piuttosto alto. Un 2 giugno nel segno dell’unità rappresenta un messaggio di coesione nel momento in cui l’intero sistema politico dovrebbe dar prova di responsabilità istituzionale (magari, perché no, dimostrandosi capace di riformare la legge elettorale).
Ma la centralità del Quirinale vale anche rispetto all’opposizione. Qui il richiamo a un centrosinistra in grado di elaborare un’autentica “cultura di governo” non può essere lasciato cadere. Tanto più che i risultati delle città sono, sì, molto brillanti, ma presentano anche parecchie incognite. A Napoli, ad esempio, città molto cara al presidente, De Magistris è un po’ un osservato speciale. Qualcuno ha scritto che sul golfo il riformismo della sinistra è morto. Toccherà al neo-sindaco dimostrare che non è vero, con quel tanto di realismo che è l’antidoto alla demagogia.

Il Sole 24 Ore 03.06.11

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“Il Cavaliere tra fischi e sbadigli poi la gaffe con il re Juan Carlos”, di Alessandra Longo

Il sole caldo, il cielo terso solcato dalle Frecce Tricolori, il Colosseo avvolto dalla bandiera, tutto il mondo a Roma, monarchi, capi di Stato e di governo, dal vice di Obama Joe Biden all´afgano Karzai, dall´israeliano Peres al palestinese Abu Mazen. Tutti qui per la festa della Repubblica e i 150 anni d´Italia. Eppure Silvio Berlusconi non sembra entusiasmarsi, se non a tratti, (quando sfilano, per esempio, le crocerossine), chiude gli occhi, a tratti si accascia sulla sedia, sbadiglia, mastica vistosamente caramelle. Per non infierire, un´agenzia di stampa definisce il suo stato di torpore e noia «uno stand by».
Si vede che il premier non sente sua la Festa, tanto più quest´anno, tanto più dopo le elezioni che lo hanno umiliato. Prima della sfilata, all´altare della Patria, si prende anche decine di fischi. Al contrario, Giorgio Napolitano viene accolto dagli italiani dietro le transenne con corale ovazione. Fiutato il clima, il capo del governo per la prima volta arriverà da piazza Venezia in macchina fin sotto il palco delle autorità. Significativo cambio di programma rispetto agli anni scorsi: Berlusconi aveva sempre cercato il cosiddetto bagno di folla dei fans ma questo 2 giugno non tira aria. E dunque: auto blindata, vetri scuri, ridotti al minimo i contatti con i comuni mortali.
Ecco il re di Spagna Juan Carlos, ospite di riguardo, a pochi passi dal presidente Napolitano, da Schifani e Fini. Troppo forte la tentazione di familiarizzare: Berlusconi si sporge dalla sedia, gli strizza un braccio, gli sussurra qualcosa, pare si informi del suo ginocchio. Lui, regalmente, si gira con sorriso di circostanza. E´ subito sfida tra gli esperti di etichetta reale. C´è chi registra «un piccolo strappo». I re non si toccano, semmai sono loro a decidere di toccare. Forse è questo che Napolitano tenta di spiegare al premier mimando il gesto proibito. Tant´è: il Cavaliere disarcionato a Milano ha ben altri pensieri. Deve tirare le fila di una maggioranza che si regge su Scilipoti, ha bisogno di tutti. Non è un caso che, per la prima volta, Roberto Maroni presenzi alla parata. Di solito la Lega mandava figure di terzo o quarto piano, sconosciuti dal cravattino verde. Invece il ministro dell´Interno ha risposto alla chiamata, chiacchiera rilassato con Gianni Letta e Mara Carfagna, vestita di blu, la più chic.
Mentre sfilano i reggimenti, garriscono le bandiere storiche e solcano il terreno 216 quadrupedi, il palco brulica di contatti e pour parler, da quelli che non fanno storia, per esempio tra Gasparri e Cicchitto, o tra la Meloni e Alfano, a quelli di respiro internazionale. Karzai, in mantello verde smeraldo, sussurra all´orecchio del vicepresidente Usa Biden, il quale, a sua volta, parla fitto con il segretario della Lega Araba Amr Moussa. Berlusconi, quando si riprende, impegna in lunghi conversari il presidente Schifani e il possibile neoministro della Giustizia Maurizio Lupi. Gianfranco Fini lo ignora, graziosamente ricambiato, mentre scambia continue cortesie con il capo dello Stato. Letta, indecifrabile come al solito, ride con Formigoni, arrivato da Milano, orfano della Moratti, di ottimo umore. Dovrebbe essere una gran Festa italiana ma è plastica la distanza di tutti con tutti, sia pur nascosta dal cerimoniale e mitigata dalla presenza degli ospiti stranieri.
Sullo stesso palco siedono il premier al tramonto e il leader del Pd, Pier Luigi Bersani (anche lui per la prima volta alla sfilata), che gli stringe la mano ma ne chiede le dimissioni. Serpeggia l´idea della fine vicina di un leader e dei suoi sacerdoti. Il clima della politica italiana è «acido», lamenta Schifani. In controtendenza, Ignazio La Russa, ministro della Difesa, sorride di nuovo a Gianfranco Fini che non disdegna. Lassù, lontano dalle prime file della nomenklatura, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, in fascia tricolore, circondato da D´Alema e Amato, preferisce stringersi ai suoi “parenti” amministrativi, Zingaretti e Polverini. Fa caldo (Mirko Tremaglia avrà un malore), camerieri portano vassoi d´argento con acqua e succhi di frutta.
Il cerimoniale fa strani, involontari scherzi. Nella stessa inquadratura la telecamera riprende Karzai, Bersani e l´ineffabile senatore Sergio De Gregorio, titolato al palco in quanto ex presidente di una Commissione Difesa. Rutelli può esibire grande familiarità con Biden. Gli mostra il cellulare con la prova fotografica che suo figlio Giorgio ha l´adesivo della campagna elettorale Obama-Biden del 2008. Biden chiama allora Giorgio per invitarlo a dare una mano alle prossime presidenziali. Berlusconi non vede i due, altrimenti sai che invidia.

La Repubblica 03.06.11