La vittoria di Pisapia e De Magistris sono state presentate come il successo della sinistra radicale Nulla di più falso: il sindaco di Milano è mediatore e garantista, quello di Napoli un estremista di centro. Il voto di Milano e di Napoli, e non solo (Cagliari, Trieste, Novara…), ha rappresentato il più bruciante “falò delle vanità” politiche e giornalistiche: il più fiammeggiante rogo dei luoghi comuni e degli stereotipi. Poteva essere un’ottima occasione per emendare il linguaggio pubblico, liberarlo da ragnatele polverose e da fallimentari schemi di lettura. Così non è stato. Peggio: il risultato del voto sembra alimentare una paccottiglia tardo ideologica e sotto culturale che, semplicemente, impedisce di capire. Per dirne una, l’elezione di Giuliano Pisapia e di Luigi De Magistris è stata interpretata da quasi tutti gli analisti come il prevalere delle “ali estreme” nella coalizione di centrosinistra.
Nulla di più falso. Intanto perché tra i due non c’è alcuna, ma proprio alcuna, affinità culturale e politica. Con Pisapia, alla fine degli anni ’80, demmo vita a una micro associazione, autoironicamente denominata “Battaglie perse” (c’era anche Gustavo Zagrebelsky), impegnata nella denuncia delle violazioni dei diritti civili e delle libertà politiche. Ma se dovessi indicare il tratto principale della personalità di Pisapia parlerei della sua infaticabile volontà di negoziazione.
Il neo-sindaco ha una vocazione tanto appassionata quanto tenace alla mediazione saggia delle contraddizioni e dei conflitti. Ovvero, a partire dalle proprie convinzioni, la volontà di cercare sempre l’incontro e il punto di composizione tra opzioni diverse e fin opposte, al fine di raggiungere il “male minore”: il bene possibile, cioè, nelle condizioni date e negli attuali rapporti di forza. Una capacità di negoziazione ininterrotta, che pure non rinuncia ai propri principi fondamentali. D’altra parte, il suo garantismo non si esprime esclusivamente nella scrupolosa tutela delle garanzie nel processo penale. Esso rimanda all’idea che si possa sempre rintracciare e valorizzare un frammento ancorché minimo di verità nell’interlocutore, anche quando avversario politico.
L’esatto opposto, cioè, della caricatura della “sinistra radicale” per come viene abitualmente disegnata. Qui di radicale c’è quel marxiano andare alla radice delle cose e un metodo che, per alcuni versi, evoca effettivamente quello del Partito radicale.
Totalmente diversa è la cultura di De Magistris. Lo definirei un “estremista di centro”, che porta alle ultime (estreme) conseguenze alcuni valori che appartengono tradizionalmente al repertorio della destra, ma che nel nostro disgraziato paese finiscono col dislocarsi nel campo opposto. Si pensi al richiamo costante a “legge e ordine”, all’enfa-
si su un’etica che tende a ridursi a moralismo, all’idea centralista e organicista del sistema delle istituzioni, che connotano il discorso pubblico dell’ex magistrato. E tuttavia, prima del ballottaggio ho scritto che, fossi stato cittadino napoletano, avrei corso a perdifiato per votare De Magistris. E proprio perché penso, come detto appena sopra, che la politica sia prima di tutto la ricerca del male minore, ovvero del bene possibile. Ho concordato, pertanto, con Marco Pannella quando ha scritto che “De Magistris è una formidabile, popolare possibilità di rottura della maledetta nostra storia napoletana”. Può bastare questo per scegliere l’ex magistrato? A voglia, almeno per chi non ha una concezione metafisica e palingenetica della politica.
Ciò consente di riprendere il tema – cos’è oggi una politica di sinistra accennato nella rubrica del 27 maggio su queste colonne. Partiamo da un dialogo rivelatore, trasmesso da Exit (La7) qualche settimana fa. Nuova Politica: “siamo blogger venuti qua per mettere D’Alema di fronte alla verità nuda e cruda”; Vecchia Politica: “io ho fatto le primarie e la città è andata a votare. Te lo dice una persona che è del Pd che ha fatto la campagna elettorale per quelli di Sinistra e Libertà, Fassino le ha vinte e tu da cittadino hai il dovere di rispettare il fatto che sessantamila torinesi sono andati a votare alle primarie. Non è così che si fa. Venite nel partito, rimboccatevi le maniche e prendete posto. Tu in questo momento stai facendo politica come me. Io non prendo neanche un centesimo dalla politica, oggi ho fatto 400Km per lavoro, ho un contratto da metalmeccanico, mi sono laureata, son semplicemente più grande di te”; Nuova Politica: “ma io non sono dirigente di partito”. Nel filmato – una vera e propria rappresentazione di teatro civile vengono ritratte icasticamente due figure: la cosiddetta Nuova Politica, impersonata da un blogger e quella Vecchia, interpretata da una giovane “rinnovatrice”, che paradossalmente si trova a illustrare la bontà delle tradizionali virtù dell’agire pubblico. So di esagerare e di operare una indecorosa forzatura, ma – devo dire – il voto delle amministrative sembra dare ragione alla Vecchia Politica.
L’Unità 03.06.11
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