Il mondo festeggia l´Italia. La straordinaria quantità, e la qualità, delle presenze dei leader di tutto il mondo in occasione della festa della Repubblica, nel 150° anniversario dell´Unità d´Italia, è un omaggio, un riconoscimento, che solleva la nostra considerazione di noi stessi. Ci ricorda (mettendoci a contatto con il peso che la comunità internazionale ci conferisce) i nostri doveri verso noi stessi.
E ci ricorda anche i nostri doveri verso le altre nazioni. Il dovere di essere all´altezza di ciò che possiamo essere, di ciò che l´Italia significa nel mondo. Dell´idea dell´Italia.
Esiste infatti – ovviamente – l´Italia reale, governata ora da questo ora da quello, con i suoi interessi nazionali più o meno confliggenti e più o meno armonizzabili con quelli altrui; l´Italia della contingenza, anche della fatica e delle delusioni, che viene pesata senza sconti sulle bilance internazionali dell´efficienza, della potenza, e della credibilità. Ed esiste anche l´idea dell´Italia: nulla di metafisico, s´intende, e neppure di insopportabilmente retorico. È il disegno, la fisionomia del nostro Paese, quale esce dal lato positivo della nostra storia, cioè dai nostri successi (che ci sono stati), e soprattutto da quel grande atto riparatorio dei nostri errori, da quel progetto avanzato di Paese civile e democratico, progredito e solidale, che è la Costituzione della Repubblica. Sta lì l´idea dell´Italia: in una Costituzione che non a caso oltre che di un insieme di norme che prevedono diritti, doveri, istituzioni, si dota anche di un simbolo, il Capo dello Stato, che esprime l´unità della nazione, e che al tempo stesso è la suprema istituzione di garanzia dell´ordinamento costituzionale.
Insomma, la rappresentanza politica del popolo sta nel parlamento; la forza direttiva della politica sta nel governo; ma la presidenza della Repubblica è la suprema magistratura che racchiude in sé il significato simbolico del Paese, e che lo esprime non nella discendenza dinastica del presidente – che in questo caso sarebbe un re – ma nella sua qualità di custode e garante di quell´idea di Italia che è disegnata nella Costituzione. Un simbolo, insomma, non è un´astrazione: anzi, rinvia con un segno – in questo caso, con una persona fisica – a una realtà ideale, ricca di storia e di promesse.
Il presidente Napolitano è questo simbolo, per motivi di ufficio. Ma lo è anche per prestigio e autorità personale: e autorità non significa “potere”, ma “far crescere”, alimentare – in questo caso, naturalmente, ciò che è accresciuto è quel complesso di valori che definiamo l´idea dell´Italia. Napolitano è riconosciuto a livello nazionale come figura di riferimento nei tempi travagliati che attraversiamo, negli scossoni e nelle lesioni e la democrazia costituzionale patisce. Ed è un riconoscimento bipartisan, al quale ben pochi si sottraggono, per una politica di patriottismo costituzionale che, in linea del resto con quella di Ciampi, non è solo celebrativa ma, pur attentissima a non entrare direttamente nell´arena partitica, ha autentico valore politico proprio per la capacità, che Napolitano ha, di dare credibile spessore alle idealità della democrazia repubblicana, di richiamare la politica quotidiana all´esigenza di essere all´altezza della Costituzione.
Ed è riconosciuto a livello internazionale: solo per restare alla cronaca degli ultimi giorni, il rispetto con cui lo ha accolto e salutato Obama a Varsavia testimonia della considerazione e del prestigio di cui il nostro presidente gode. Di cui, naturalmente, è controprova il grandissimo successo di questo 2 giugno, di questa festa della Repubblica che, anche attraverso Napolitano, è diventata festa dell´Italia. L´omaggio delle nazioni al simbolo della nostra nazione è stato forse più convinto e sincero, meno cerimoniale e protocollare, grazie alla credibilità del Capo dello Stato.
Esiste un livello in cui la politica non può non avere un´espressione personale: anche la più laica e moderna delle democrazie esige di rappresentare se stessa e i propri valori in un simbolo, ed è ottima cosa, una felice circostanza, che questo sia credibile e autorevole. Che sia in grado, cioè, di essere non tanto lo specchio di ciò che il Paese è – per questo c´è il Parlamento – quanto di ricordare attivamente l´idea di ciò che l´Italia deve essere, e che si merita di essere. Una grande democrazia che tutti possano, senza vergogna e senza dolore, chiamare Patria.
La Repubblica 03.06.11