Una scintilla di Sole. Si preparano ad accenderla i 500 scienziati da 34 paesi che in Provenza hanno appena iniziato a lavorare all’International thermonuclear experimental reactor, o Iter: un reattore che sfrutterà la fusione nucleare.
«È l’energia delle stelle» spiega il direttore, il giapponese Osamu Motojima. «Quando ho iniziato a occuparmene, 35 anni fa, aveva il fascino dell’impossibile. Oggi siamo partiti con il cantiere. Mio figlio, che ha 30 anni e fa il mio stesso mestiere, vedrà i frutti di questo lavoro».
Come avvenne per il fuoco, anche la fusione nucleare – la reazione che permette alle stelle di risplendere per miliardi di anni – una volta domata promette all’umanità un salto epocale, con energia illimitata, non inquinante e priva della pericolosa tendenza a sfuggire di mano della fissione. «Un incidente come Cernobyl o Fukushima è inconcepibile qui. La nostra reazione è difficile da innescare e mantenere, non da contenere» spiega Motojima.
Il problema di Iter è che nessuno ha trovato l’equivalente del bastone cavo di Prometeo per riprodurre sulla Terra un processo che ha bisogno di 150 milioni di gradi. E gli scienziati che in Provenza, a Cadarache, costruiscono Iter – 23mila tonnellate (tre torri Eiffel), un milione di componenti da assemblare con la precisione di un orologiaio – sembrerebbero dei pazzi cui non basta nemmeno la Luna ma vogliono il Sole se non si appoggiassero a un progetto da 15 miliardi di euro, ipotizzato nel 1985 da Gorbaciov in un vertice per il disgelo a Ginevra con Reagan, oggi coinvolge 34 governi (più della metà della popolazione mondiale) e non è spaventato dal sapere che la prima energia verrà prodotta nel 2027. Ma solo se non ci saranno intoppi.
“Mettere il Sole in bottiglia. È una grande idea. Il problema è come fare la bottiglia”. Così sintetizzò Sébastien Balibar dell’Accademia delle Scienze francese. A temperature stellari, qualunque contenitore fonderebbe. L’unica “frusta” in grado di domare il materiale incandescente è un campo magnetico di 13 tesla (260mila volte quello terrestre), che fatica ancora a soffocarne i ruggiti. All’interno di Iter potrà accadere che lingue di materiale incandescente allo stato di plasma lambiscano le pareti del reattore, danneggiandole. «Il plasma è uno dei fenomeni della natura più imprevedibili. Per controllarlo servono campi magnetici intensi e molto accurati» spiega Motojima.
Per quanto ai limiti della ragionevolezza, alla scommessa di mettere il Sole in bottiglia è difficile resistere. «Il combustibile della fusione viene da acqua e rocce» spiega Mario Merola, responsabile della divisione “componenti interni”. «Il litio della batteria di un portatile e il deuterio contenuto nell’acqua di mezza vasca da bagno fornirebbero energia a un uomo per trent’anni. Non so se io vedrò questa realtà, ma è un regalo che farei volentieri ai miei figli». Nel Sole la reazione avviene fra nuclei di idrogeno a 15 milioni di gradi. Sfrutta la forza di gravità che la massa della stella esercita premendo sulla sua parte centrale. In Iter alla mancanza della pressione bisogna ovviare aumentando la temperatura e scegliendo due diversi isotopi dell’idrogeno: deuterio e trizio. A 150 milioni di gradi i nuclei di questi elementi si fondono formando elio, gas inerte e pulito, emettendo neutroni e liberando quantità enormi di energia. Se dentro al reattore – progettato per raggiungere 500 MW contro i 50 consumati per riscaldare il plasma – sarà immesso un grammo di combustibile, se ne ricaverà l’energia equivalente di 10mila litri di petrolio.Considerato il deuterio dell’acqua di mare una fonte pressoché inesauribile, il limite della fusione sta nel trizio, che si formerebbe all’interno del reattore stesso a partire dal litio. Questo elemento è disponibile sulla Terra in quantità simili al piombo. «Per mantenere i livelli attuali di consumo – scrive in Sustainable Energy David MacKay dell’università di Cambridge – ne servirebbero 100 milioni di chili l’anno. Le scorte di litio possono bastare per più di un milione di anni». E la radioattività? «All’esterno del reattore – spiega Joelle Elbez Uzan che a Cadarache si occupa di radiosicurezza – ci saranno 3 microsievert all’anno, quando per la fissione è imposto un limite di 12». La missione di compiere quello che forse è il più grande sbalzo di calore dell’universo è affidata a Luigi Serio, responsabile della criogenia. «Le pareti del reattore sono raffreddate prima da acqua, poi da uno schermo metallico rivestito di argento e infine da un’intercapedine con il vuoto assoluto, dove non c’è conduzione di calore». Tra il 2012 e il 2017, 200 convogli eccezionali trasporteranno le 23mila tonnellate di materiali lungo strade allargate e ponti rinforzati. «Contiamo di produrre elettricità – spiega Motojima – a un prezzo doppio dell’attuale. Ma sappiamo che il petrolio è in diminuzione, la popolazione in aumento e il costo dell’elettricità è destinato ad aumentare». Secondo Aldo Pizzuto, responsabile delle tecnologie per la fusione all’Enea, «il problema di Iter è che non se ne sente l’urgenza, con le lobby che puntano sui combustibili fossili. Ma quando le fonti non rinnovabili cominceranno a scarseggiare, anche i finanziamenti si sbloccheranno».
La Repubblica 03.06.11