È illegittimo chiedere soldi alle famiglie per mandare avanti gli istituti scolastici. Lo afferma un recente documento pubblicato nel sito del ministero dell´Economia. A darne notizia è la Uil scuola attraverso il suo segretario generale, Massimo Di Menna, che cita il Massimario dei rilievi ispettivi della Ragioneria generale dello stato. Il documento elenca «i rilievi più significativi formulati dai servizi ispettivi di finanza pubblica nel corso dell´esercizio 2010»: un elenco delle irregolarità più ricorrenti commesse da dirigenti scolastici, segretari (ora direttori dei servizi amministrativi) e organi collegiali nella gestione delle risorse scolastiche.
La notizia non mancherà di avere strascichi polemici, specialmente dopo le ultime prese di posizione di tanti dirigenti scolastici che si sono rivolti alle famiglie per tirare avanti la carretta e sanare i bilanci in rosso. Ultimi in ordine di tempo i 376 presidi dell´Asal – l´Associazione delle scuole autonome del Lazio – che hanno inviato una lettera a migliaia di genitori, denunciando il «più imponente taglio nella scuola della storia italiana del dopoguerra». «Abbiamo sempre auspicato – continuano – che le scuole non chiedessero contributi alle famiglie per il loro funzionamento ordinario; ma una scuola pubblica di qualità ha bisogno di qualcosa di più della semplice sopravvivenza». Qualche giorno prima, gli studenti del liceo Modigliani di Giussano, in Brianza, hanno deciso di anticipare lo stipendio a dieci docenti precari senza paga da tre mesi, prelevando 10 mila euro dal fondo volontario delle famiglie. L´iniziativa era stata concordata col preside che non sapeva come pagare i malcapitati supplenti. E ad aprile la preside della elementare Roberto D´Azeglio di Torino ha deciso di rendere obbligatorio il contributo “volontario” di 50 euro ad alunno, perché con i 3.900 euro che restavano in cassa non poteva più «comprare neppure sapone e carta igienica».
In parecchi casi, la Ragioneria generale dello Stato ha rilevato «l´indebito accollo alle famiglie degli alunni di contributi dovuti in forma obbligatoria dagli istituti». Spesso, la natura “volontaria” dei contributi è esplicitata a priori dalle scuole. Ma certe volte la linea di demarcazione tra il contributo volontario e quello obbligatorio è sfumata. E le famiglie si sentono obbligate ugualmente a pagare. Per Adiconsum, gli stratagemmi adottati dalle scuole per indurre le famiglie al pagamento del contributo sono molti: «L´invio di bollettini anche ad alunni esonerati dal pagamento delle tasse scolastiche erariali; bollettini unici già compilati con cifre che comprendono sia le tasse dovute per legge sia i contributi scolastici che la legge prevede come volontari; informazioni ingannevoli sull´obbligatorietà dei contributi; diniego di iscrizione degli alunni le cui famiglie si rifiutano di pagare il contributo». Nell´ambito dell´autonomia scolastica, le scuole hanno la possibilità di richiedere alle famiglie il pagamento di un contributo per l´arricchimento dell´offerta formativa, ma «tali contributi – ribadisce l´associazione – sono da considerarsi sempre e comunque “erogazioni liberali” cioè volontari».
Secondo il Censis, sono 53 su 100 le scuole che si rivolgono ai genitori, per cifre variabili da 16 euro a 300 euro. Con questo gruzzolo comprano di tutto: dalla cancelleria ai detersivi. Ma secondo il ministero dell´Istruzione «le scuole non hanno ragioni e titolo per chiedere contributi alle famiglie se non liberalità finalizzate all´innovazione tecnologica, edilizia scolastica (di competenza degli Enti Locali), miglioramento dell´offerta formativa» perché «nel 2011 le risorse a loro disposizione sono state aumentate di 685 milioni di euro».
La Repubblica 02.06.11