«Tempo di demolire, tempo di costruire; tempo di lutto, tempo di baldoria» , dice l’Ecclesiaste. È giusto festeggiare il risultato di queste elezioni amministrative, che fa intravvedere la possibilità di voltar pagina, una pagina politica italiana finora improntata a una crescente indecenza. Sarebbe tuttavia irresponsabile prolungare l’euforia oltre la sera di festa, perché per i vincitori di queste elezioni non comincia una marcia trionfale assicurata bensì una dura e incerta prosa di lavoro quotidiano. Forse sperabilmente è iniziato un nuovo corso del Paese, ma non c’è alcun futuro felice garantito.
Queste elezioni il centrosinistra le ha vinte certo pure per la qualità, l’equilibrio e la civiltà che hanno contrassegnato la sua campagna elettorale e lo stile dei suoi candidati vincenti. Ma le ha vinte anche per gli errori degli avversari e soprattutto del presidente del Consiglio, che trasformando queste elezioni amministrative in un referendum politico su se stesso ha accresciuto l’importanza della propria sconfitta, divenendo, con molti atteggiamenti oltre ogni misura e inaccettabili per molti elettori di centrodestra, una caricatura perfino di se stesso. Ma anche le numerose sconfitte subite in passato dal centrosinistra sono state causate in buona parte da errori del centrosinistra stesso; errori che, se giulivamente ripetuti, potrebbero provocare nuove sconfitte. La gioia di questo momento non può far dimenticare come tutto sia instabile e incerto. Nulla sarebbe più dannoso e sciocco di una sciamannata euforia, della convinzione di aver già vinto una battaglia che è ancora agli inizi e aperta. Si può e si deve provare una grande soddisfazione per questo giro di boa; sarà necessaria una fermezza anche dura— ma sempre da signori— dinanzi a eventuali probabili assalti a colpi bassi; si può e si deve avere una pacata, salda fede nei propri valori. Ma senza alcuna euforia facilona che a sua volta degenera facilmente in supponenza fastidiosa per tutti, o in entusiasmo magari generoso ma improvvido e ingenuo e dunque, alla fine, autolesivo. Lo stile dei candidati vittoriosi e delle forze politiche che li hanno sostenuti è una garanzia di serietà, di equilibrio, di concretezza; di buona prova quotidiana scevra di poetizzante ebbrezza. Ma non bisogna dimenticare che i risultati elettorali sono sempre rovesciabili, come è accaduto grazie a Dio questa volta, e come era sciaguratamente ma non sorprendentemente accaduto fra il tardo autunno del ’ 93 e il marzo ’ 94, quando la vittoria del centrosinistra in molti importanti comuni italiani aveva creato un’esaltata sicumera, la sbandierata «gioiosa macchina da guerra» di Occhetto, sbaragliata tre mesi dopo alle elezioni politiche del ’ 94, cosa che alcuni di noi avevano amaramente e pubblicamente previsto e temuto. Le odierne elezioni le ha perse non tanto il centrodestra— una parte del quale, con lo scossone dato da Fli e le scelte dell’Udc, ha avuto un ruolo nel loro esito — quanto quella sua degenerazione nota con il nome insolente di berlusconismo, divenuto via via sempre più degradante. Ma sarebbe stolto e pericoloso considerare il presidente del Consiglio politicamente già finito, sottovalutando le sue capacità di lotta indubbiamente assai notevoli ancorché spesso squalificanti e la sua tenuta. Molte cose lasciano sperare che il centrosinistra abbia imparato la lezione e sia in grado di valutare questa sua provvidenziale vittoria con tranquilla sicurezza di sé, aliena da pathos gridato, e con la consapevolezza che la partita è appena iniziata anche se per fortuna è iniziata bene.
Il Corriere della Sera 01.06.11