Mese: Maggio 2011

"L'altrove della Lega", di Gad Lerner

La notizia, a Milano, è che la Lega non sta facendo la campagna elettorale per il ballottaggio. Deve essere altrove, ma dove? I big si danno appuntamento nel fortino di via Bellerio, raggiungibile da Varese e Bergamo con la tangenziale nord, senza metter piede nella metropoli contesa dove nessuno di loro peraltro ha casa. Zero comparsate televisive. Zero comizi programmati. Solo cinque giorni dopo la breccia di Pisapia, il Carroccio fa atto di presenza appiccicando in giro dei manifesti-spauracchio su un´inverosimile Zingaropoli. Già gli appuntamenti centrali del 29 aprile e del 13 maggio scorsi, con un Bossi in tono minore e una Moratti in camicetta verde seta, avevano richiamato un pubblico inequivocabilmente scarso; confermando l´impressione che la reconquista di Palazzo Marino non fosse in cima alle aspirazioni del capo leghista. Come spiegare altrimenti la testa di lista rinunciataria affidata a un giovane come Matteo Salvini, certo popolare fra gli ascoltatori di “Radio Padania” per le sue sparate contro i rom “peggio dei topi”, ma ben lontano da un profilo amministrativo, di governo? Vero è che …

"Fermate il televoto", di Roberto Zaccaria

Si annuncia una nuova e ancora più spaventosa occupazione dell’informazione da parte di Berlusconi: abbiamo avuto ieri un primo assaggio, con le interviste confezionate a suo uso e consumo da alcuni Tg amici. Del resto, i dati sulla presenza tv di Berlusconi raccolti nell’ultima settimana prima del voto amministrativo offrivano di per sè un panorama raccapricciante. Berlusconi da solo aveva letteralmente invaso i telegiornali. Due ore e venti di tempo antenna, contro solo 44 minuti di Bersani, con tutti gli altri lontanissimi. Uno squilibrio impressionante nell’utilizzo del mezzo più incisivo in campagna elettorale che gli interventi dell’Agcom non hanno saputo contrastare. Eppure abbiamo una legge sulla par condicio che impone rigorosamente le pari opportunità. Abbiamo perfino una tiepida legge sul conflitto di interessi che, comunque, vieta il “sostegno privilegiato” da parte delle televisioni controllate. Tg5 e Studio Aperto hanno avuto solo richiami per il palese squilibrio, il Tg4, che offre a Berlusconi un traino imbarazzante, ha avuto un cartellino giallo, accolto con irrisione. Poi le elezioni sono andate come sono andate. Ma la sovraesposizione del …

"Un abuso da fermare", di Giuseppe D'Avanzo

Un altro limite è stato superato, forse irrimediabilmente. Un prepotente, abusando in modo autoritario del suo potere e del conflitto d´interessi che lo protegge, ha rovesciato il tavolo. Si è assiso dinanzi alle telecamere di tutti i notiziari e, infischiandosene di ogni regola, si è lanciato in messaggi promozionali per i candidati della destra. Che cosa resta più del corretto gioco elettorale dopo questo oltraggio? Ci sono da qualche parte nelle istituzioni le energie e la volontà per mettere fine a questa oscenità per la democrazia? In tutte le battaglie che ha combattuto – politiche, economiche, finanziarie, fino ai conflitti matrimoniali – Berlusconi ha truccato le carte, ingannato gli antagonisti, corrotto gli arbitri, violato le regole del gioco. Tecnicamente, è un imbroglione perché «ricorre al raggiro in modo abituale». Lo fa anche ora. Ha gli arnesi mediatici a sua disposizione. Li adopera come meglio crede rifiutando ogni autocontrollo, non riconoscendo alcun limite e norma. Dopo giorni di silenzio assordante, il premier s´impadronisce degli schermi televisivi in un illegittimo, abusivo appello alla Nazione frammentato nelle interviste …

"La strada obbligata dell’Italia: ricominciare dal lavoro", di Stefano Fassina

Il fallimento del neoliberismo dimostra come non ci possa essere crescita senza una adeguata cultura del lavoro. Due borse di studio del Pd nel nome di Massimo D’Antona ed Ezio Tarantelli. Irisultati del primo turno delle elezioni amministrative assegnano al Pd le maggiori responsabilità nella ricostruzione di una «Repubblica democratica fondata sul lavoro». Il Pd, con tutti i suoi limiti, è l’unico grande partito nazionale. Per essere all’altezza della sfida, il Pd deve irrobustirsi, innanzitutto in termini di cultura politica. I partiti fondatori dell’Italia repubblicana erano soggetti culturali forti, prima che organizzazione, macchina elettorale e sistema di potere. Esprimevano una visione autonoma delle cose, una cultura politica diffusa e radicata, condivisa dalla sua classe dirigente, dai suoi iscritti e, almeno in larga misura, dai suoi elettori. Erano intellettuali collettivi e strumento di formazione e di selezione di classi dirigenti adeguate. Erano,come le grandi organizzazioni sindacali, i principali vettori di mobilità sociale in Italia. Il rapporto tra partito ed intellettuali era un rapporto sistematico e proficuo. I partiti avevano al proprio interno le migliori forze intellettuali …

"Troppo sorpresi dalle sorprese", di Guelfo Fiore

Sorpresa Milano. Sorpresa Lega. Sorpresa grillini. Sorpresa De Magistris. E poi: sorpresa Cagliari, sorpresa Gallarate, sorpresa Trieste. Sorpresa (questa un pò meno) Terzo polo. Sorpresa Nord. Giornali e speciali radio/tv del day after elettorale sono uno sterminato elenco di sorprese. Resoconti di sorprese. Commenti e opinioni sulle sorprese. Approfondimenti sulle sorprese. E interviste, naturalmente, sulle sorprese. Non uno che abbia scritto, o detto: si è verificato quanto avevamo descritto. Viva la sincerità, almeno. Uno si immagina redazioni e fior di uffici affollati da studiosi, analisti, esperti e quant’altro con le bocche aperte. Sorpresi. Prendendo a prestito Crozza/Bersani verrebbe da saltar su: “oh, ragassi, siete stati a mettere la brillantina sui peli del petto?” In effetti tanta sorpresa dovrebbe sorprendere. Ma come, raccontate tutti i giorni per tutto il giorno quel che accade e non avevate avuto un sospetto, un dubbio, un indizio? Studiate da mattina a sera, pubblicate fior di saggi, esponete dotte relazioni e nemmeno una congettura, una supposizione? A domande simili, in genere, segue la risposta: ma nemmeno i partiti avevano capito niente. …

“Palla avvelenata”, di Oreste Pivetta

S’erano giurati che avrebbero cambiato strada, ma poi nella confusione ricascano nel solito vizio: l’insulto. La Lega in prima fila nella critica: dai medi dirigenti alla Salvini, ai medio grandi alla Castelli in bretelle (così era apparso in conferenza stampa subito dopo il voto, in compagnia di Calderoli, in spezzato verde secco), al sommo Bossi, che aveva deciso per tutti: «Campagna elettorale sbagliata». Alla prima prova, però, proprio Bossi non resiste alla tentazione e si lascia andare al solito sfogo, alle panzane insensate, agli insulti, ripercorrendo il percorso di sempre. «I milanesi – dice convinto dopo l’incontro con Berlusconi – non daranno la città in mano agli estremisti di sinistra. La Lega si impegnerà. Non la lasciamo in mano ad un matto, Pisapia, che vuole riempirla di clandestini, di chiese… per musulmani, di moschee e vuole trasformarla in una zingaropoli. Non abbandoniamo Milano nelle mani di questa gente». Concludendo: «Vinceremo. Milano rinascerà ». Quindi, per rassicurare Berlusconi, minaccioso: «La base leghista sta dove sto io». Infine, cauto: «La Lega è un partito abbastanza unito. C’è …

"La solitudine di un liberista", di Roberto Perotti

Sono tempi duri per i liberisti. Niente illustra meglio il loro dilemma di ciò che sta avvenendo a Milano, dove sono costretti a scegliere fra uno schieramento storicamente agli antipodi della cultura liberista e un altro che occasionalmente vi si richiama ma nei fatti dimostra di esservi ugualmente estraneo. Per un liberista è impensabile negare a qualcuno il diritto di praticare la propria religione in modo dignitoso; come tutti, un liberista ha a cuore l’ordine pubblico, ma non lo userebbe mai come scusa per sopprimere le legittime manifestazioni della libertà individuale. Un liberista crede nella concorrenza, anche delle idee e delle culture; per questo non potrebbe mai allearsi con chi quotidianamente insulta e minaccia stranieri e diversi. Un liberista crede nella libertà di scelta delle famiglie, ma non ha bisogno di denigrare indiscriminatamente la scuola pubblica. Piuttosto, cerca di correggerne le tante storture con misure credibili e attuabili, invece di lanciarsi ogni due anni in improbabili riforme epocali, spesso ispirate da zeloti ideologizzati che pretendono d’insegnare due lingue a bambini di undici anni, mentre la …