«Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati, rischieremmo un sommovimento sociale». Così qualche mese fa dichiarava, a margine di un convegno, Antonio Mastrapasqua, presidente dell´Inps. E dunque, per evitare il deprecato sommovimento sociale, in alto è stato deciso che i precari non potranno, come gli altri lavoratori, avere accesso dal sito dell´Inps ai dati che simulano le loro future prestazioni pensionistiche. Meglio non sapere… O, per essere più precisi, meglio non far sapere alle centinaia di migliaia di precari che, quando andranno in pensione riceveranno 100, 200, o, nel migliore dei casi, 300 euro al mese.
Insomma i pensionati di oggi, la metà dei quali riceve 500 euro mensili, come risulta dall´ultimo rapporto Inps, appariranno, ai precari che domani andranno in pensione addirittura dei privilegiati.
Martin Amis, lo scrittore inglese autore di successi come “Cane giallo” e “Il treno della notte” ha immaginato e descritto recentemente lo spettacolo mostruoso che potrebbe sconvolgere in un futuro non molto lontano la nostra società, affollata da vecchi poveri e malati privi di pensioni decenti e decenti mezzi di sussistenza ai quali verrebbe proposto, come unica soluzione possibile, un tranquillo suicidio: «Ad ogni angolo di strada dovrebbe esserci una cabina dove, se hai l´età giusta, puoi prendere un Martini o la pastiglia della buona morte…».
La questione precarietà, mi ricorda Marianna Madia, la deputata del Pd che da tempo si occupa del problema, è ormai centrale nella crisi italiana. Si tratta di centinaia di migliaia di ragazze e di ragazzi (delle volte nemmeno più veramente “ragazzi”) generalmente dotati di buoni titoli di studio e di grande volontà di fare, assunti e licenziati nelle aziende private come nella scuola, nelle Università, persino negli istituti di ricerca, con stipendi miserabili, destinati a pensioni da fame.
Per questo, tutto sommato, forse fa bene l´Inps a negare loro l´accesso ai dati che simulano le future pensioni. Ed è, diciamo la verità, da irresponsabili dichiarare, come ha fatto ieri il presidente Antonio Mastrapasqua che «i conti sono a posto e i giovani avranno la loro giusta pensione». A meno che il presidente Mastrapasqua non consideri «giusta» una pensione di otto euro al giorno…
Il problema non è nuovo.
Forse qualcuno ricorda una parola d´ordine: «Meno ai padri e più ai figli» che ebbe qualche fortuna una ventina d´anni fa. Una parola d´ordine che, per trasformarsi in realtà, avrebbe avuto bisogno di una profonda riforma del nostro welfare e di una riorganizzazione del mercato del lavoro.
Niente di tutto questo è avvenuto, non solo per la sordità dei governi di destra che si sono succeduti nel Paese, ma anche per i ritardi e le incertezze della opposizione, incapace di avanzare proposte condivise e su queste di organizzare le necessarie battaglie.
Molte piazze d´Europa, in queste settimane, hanno visto manifestazioni e occupazioni di coloro che si autodefiniscono “indignati”. Sono prevalentemente giovani che si vedono sbarrata la strada del lavoro e dell´affermazione personale. In Spagna, in Inghilterra, in Grecia i giovani “indignati” occupano la piazza e protestano. Ma chi li ascolta?
Chi riuscirà a trasformare la loro indignazione in protesta, proposta e battaglia politica?
Se non ci sarà questa capacità, anche il movimento degli “indignati” rischia di rifluire, e centinaia di migliaia di giovani (anche nel nostro Paese) dovranno rassegnarsi a un destino di lavoratori precari e, più tardi, in pensionati da 100, 200, 300 euro al mese.
La Repubblica 29.05.11