Cosa ci toccherà di sentire ancora, prima di venerdì? Fra le ultime affannose e sconclusionate mosse che un centrodestra sempre più allo sbando sta tentando per rimettere in sesto una campagna elettorale fin dall´inizio disastrosa, questa dello spostamento di qualche ministero da Roma a Milano è qualcosa di peggio di una gaffe pasticciata e maldestra. È il segno di un logoramento di rapporti tra alleati, anche dentro lo stesso Pdl.
È il segno di una totale assenza di senso dello Stato e di responsabilità di governo, di una mancanza di idee e di una disperazione politica su cui gli elettori milanesi (e napoletani) farebbero bene a riflettere, in questi ultimi giorni – quanto meno per rafforzarsi nell´opinione che hanno già espresso.
Emergono innanzitutto la difficoltà grave, e insieme il cinismo di Bossi, motore dell´annuncio. Egli sa benissimo come l´operazione abbia, dal punto di vista del voto, un valore assai modesto. Ma ha perduto voti, molti. E deve fare i conti con una base stanca di Berlusconi, e preoccupata di finire con lui nell´abisso. Sa che la battaglia di Milano è compromessa. Ha perciò un bisogno immediato di esibire un qualche risultato, di poter agitare uno straccio – qualunque esso sia – e di farlo passare per una bandiera al vento, in modo da poter dimostrare che egli ha ormai in mano il Premier, e che continuare a seguirlo significa lucrare vantaggi significativi, e soprattutto acquisire una posizione di forza e di comando quale mai era stata da lui avuta in passato. L´annuncio dei ministeri a Milano diventa così il segno di un dominio ottenuto.
E Berlusconi? La sua deriva estremista è ormai sempre più evidente: le sue ultime dichiarazioni milanesi – del tutto irresponsabili per un Presidente del Consiglio – non aggiungono nulla di nuovo. C´è dentro, certo, un vecchio calcolo – la mobilitazione anticomunista. Ma c´è anche la sua incapacità ormai irrimediabile di parlare qualsiasi altro linguaggio che non sia quello di una livido appello alla paura e al rancore. Non può più negare a Bossi nulla, nemmeno se rischia – come in questo caso – di spaccare il suo stesso partito, che, in mancanza di una guida politica (da quando Berlusconi non parla di politica?), si sta sempre più territorializzando e infeudando, in una lotta confusa, senza esclusione di colpi, in cui ciascuno persegue un suo proprio disegno (in queste ultime ore: Formigoni, i due Capigruppo Cicchitto e Gasparri, gli ex An con Polverini e Alemanno). Nel tentativo – inutile – di rimediare in qualche modo a una situazione uscita fuori controllo, il Premier ha aggiunto confusione a confusione, parlando – se si capisce bene – di “Dipartimenti”, invece che di Ministeri. E´ difficile immaginare questo cosa voglia dire, dal punto di vista dell´effettività istituzionale. Ma che importa a Berlusconi? Ogni cosa va bene, se basta a evitare la rissa, almeno per il momento.
Non si può tacere infine che il degrado nella cultura di governo e nel senso dello Stato dimostrati dalla maggioranza (se dobbiamo ancora usare questa parola) ha toccato in queste ore una nuova soglia. Pezzi di Stato – anzi, in qualche modo, la forma stessa dello Stato, perché il decentramento del Governo tocca la forma stessa dello Stato – barattati precipitosamente, senza pudore, senza vergogna, senza cultura, senza storia, senza diritto, come se si trattasse di merci in cambio di alleanze e di consensi, come se fossero non dico nella disponibilità politica, ma nella proprietà personale del Presidente del Consiglio. E´ poco dire che non si era mai visto. A questo, siamo: e quanto ancora durerà?
La Repubblica 23.05.11