C’è un paradosso in un Paese con le piazze piene di giovani «indignados» e le urne un po’ più vuote. «È legato al fatto che questi giovani che chiedono più opportunità, più provvidenze sociali, più futuro rischiano di potenziare l’ondata della destra che ha nei suoi programmi esattamente l’opposto». La Spagna al voto, vista dallo storico Massimo Salvadori, professore emerito dell’Università di Torino, non è solo un Paese ma un sintomo: della necessità della sinistra di costruire una sua progettualità davvero alternativa.
Partiamo dagli indignados, che rifiutano etichette politiche e sono fortemente critici nei confronti della casta. Vanno letti come il segno di una crisi della sinistra spagnola o più in generale della politica?
«Possono essere letti come un sintomo della gravissima crisi economica che ha colpito la Spagna. E visto che al potere ci sono i socialisti, è inevitabile che il malcontento investa chi sta al governo e Zapatero in primo luogo. Ma c’è un elemento di paradossalità nel fatto che questa protesta rischia di favorire la destra, che progetta lo smantellamento del welfare. Siamo al gatto che si morde la coda. E una situazione classica che si è ripetuta in tanti Paesi». Quali?
«L’Italia, per esempio, dove strati popolari e operai si sono affidati a Berlusconi in un momento di difficoltà economica. Ma sono finiti dalla padella alla brace. In Spagna non è certo il partito popolare a poter dare una risposta a chi oggi protesta in piazza».
La piazza predica l’astensione e critica il bipartitismo, tanto il Psoe che i popolari. Ma è Zapatero ad essere in picchiata nei sondaggi. Che cosa paga? «Zapatero ha dato la sensazione di voler coprire l’entità della crisi in un primo momento e dopo di non essere in grado, per mancanza di risorse, di dare una risposta».
Dopo una prima fase di riformismo laico, pressoché a costo zero, il governo socialista ha frenato. È solo la crisi ad aver determinato l’impasse? «Zapatero ha già detto che non intende ricandidarsi nel 2012. Lo ha fatto perché avverte l’usura di una guida che non è riuscita del tutto a mantenere le promesse fatte. La sua è una dichiarazione, se non di fallimento, quanto meno di estrema difficoltà, che non giova al Psoe. Non c’è dubbio che la Spagna abbia subito una crisi gravissima, ma il governo spagnolo sul piano economico ha lasciato la briglia sciolta alla speculazione finanziaria, soprattutto nel settore edilizio che aveva un ruolo trainante. Non ha avuto una propria progettualità. I risultati sono stati estremamente negativi. La disoccupazione oggi è al 21% (al 45% quella giovanile, ndr): sono dati di un disastro sociale».
Errori di Zapatero o c’è una debolezza intrinseca della sinistra che non ha saputo trovare una mediazione tra valori sociali e mercato?
«Qui il discorso andrebbe proiettato su una scala più ampia della sola Spagna. Di fronte all’ondata neoliberista e al crescente potere delle oligarchie economiche e finanziarie che oggi hanno provocato la depressione economica, la sinistra europea non ha saputo trovare alternative. A partire da Blair, ha finito per cavalcare l’ideologia del libero mercato. Che però nascondeva il dato di fondo, e cioè che il mercato, controllato dalle oligarchie, è tutt’altro che libero. Ora si comincia a riflettere. Lo fa la socialdemocrazia tedesca che guarda più a sinistra. In una certa misura anche il partito laburista britannico e i socialisti francesi. È solo un inizio, ma ancora manca oggi una vera cultura dell’alternativa politica, sociale e soprattutto economica». Torniamo alla Spagna. Zapatero rischia di perdere con questo voto roccaforti storiche, come Barcellona e Siviglia. La sua uscita di scena potrebbe subire un’accelerazione? «Se la sconfitta sarà talmente profonda da screditare il governo è possibile che si aprano scenari imprevisti»
Non è già sufficientemente drammatico per il Psoe essere contestato in piazza da laureati che si rifiutano di «essere schiavi per 700 euro al mese»? La sinistra ha forse bisogno di più sinistra?
«Potrei dire di sì, ma senza illudersi che basti uno slogan. Quello che serve è un progetto alternativo».
L’Unità 23.05.11
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“Destra e sinistra pari sono, faranno i conti con noi”, di Francesca Paci
66,05% l’affluenza alle urne. E’ in crescita di quasi un punto rispetto alle amministrative del 2007. Il movimento giovanile contava su un’astensione massiccia per punire i partiti tradizionalisti. Molti “indigandos” hanno però votato lo stesso, specie a sinistra. Non ci sono maxischermi da cui seguire gli exit poll in Puerta del Sol. La batosta dei socialisti di Zapatero lascia gli «indignados» indifferenti quanto l’affermazione del Partido Popular. Alle 21,30 al centro della piazza gremita decine di persone alzano le braccia agitando le mani come si usa per approvare un’idea dell’assemblea. I risultati elettorali non c’entrano. Il Comitato Informazione annuncia il vincitore di questa domenica 22 maggio: il popolo spagnolo che ha fatto sentire la sua voce e continuerà. Evviva.
«Ho votato scheda bianca e me ne vanto, tra i due litiganti il terzo gode» commenta Eduardo Ramirez, insegnante, 38 anni, un palloncino in mano con la scritta «Somos l@s invisibles», siamo gli invisibili. Il 15 maggio sono usciti dall’ombra e oggi celebrano la sconfitta dei politici che seppure ancora in sella dovranno fare i conti con la sfida popolare al bipartitismo.
A onor di cronaca la web-tv autogestita Emitiendo 24 horas aggiorna i risultati dello spoglio. Nessuno però sembra particolarmente interessato alle percentuali di quelli che comunque governeranno. A differenza della Tahrir egiziana, la piazza madrilena non puntava alla caduta di un tiranno e non ha bisogno dell’urlo catartico della liberazione.
«Tutti si aspettano che succeda qualcosa e invece non succederà niente perché sapevamo di non poter cambiare il sistema in una settimana», osserva l’educatore per l’infanzia José Ramon. La notte dorme qui e il mattino corre a timbrare il cartellino: «Resterò finché deciderà l’assemblea, è un sacrificio ma ne vale la pena». L’amica e collega Michela divide con lui la tenda e la certezza d’aver segnato un punto, pazienza se per il momento se ne avvantaggeranno i conservatori: la rivoluzione procede con metodo.
«È una vittoria di Pirro per i popolari, hanno battuto i socialisti ma devono affrontare la piazza» osserva lo scrittore Lorenzo Silva che ambienta il suo nuovo romanzo La strategia dell’acqua (Guanda) nella Spagna contemporanea, tra cervelli in fuga dalla disoccupazione e sindaci beccati a nascondere centinaia di migliaia di euro nella spazzatura. Il finale della protesta è aperto, concede: «Certo non ci sono leader né obiettivi chiari, Puerta del Sol è energia pura un po’ come in Egitto». Ma finora tiene: «Temevo che la nostra gioventù fosse diventata apatica e invece ha sorpreso tutti. Oggi può esercitare una pressione e chissà, magari far ripensare la legge elettorale».
Gli «indignados» non hanno fretta. Le scatole in cui raccolgono i desideri dei cittadini sono colme ma per organizzarli in forma di proposta politica ci vorrà tempo. «Ho votato perché non sono qualunquista ma per un partito piccolo», spiega Sara, responsabile dell’orto biologico in cui sono stati piantati pomodori, lattuga e il cartello «Yes we camp». Il messaggio è chiaro: cresceremo. Chi pensava che il movimento M-15 svanisse così, schiacciato tra l’avanzata dei popolari e lo smacco dello stesso Zapatero che a suo tempo aveva fatto sognare la riscossa ai socialisti europei oscurati dal neoliberismo, deve ricredersi. La contrapposizione destra-sinistra è roba passata, almeno oggi in Puerta del Sol.
«Vogliamo un sistema proporzionale più rappresentativo», insiste il grafico Carlos Yanel. Gli «indignados» rivendicano partecipazione. Il diciottenne Ricardo ha disertato convinto il suo primo voto, l’impiegata Carmen si è tappata il naso mettendo la X sul partito socialista e il pensionato Juan Pablo ha fatto lo stesso con il Pp. Molti hanno optato per la scheda-protesta come il matematico trentanovenne José Riballa che, all’uscita dell’Instituto San Isidro, auspica una nuova stagione politica: «Ho scelto Isquierda Unida, ma l’importante è che la finta democrazia in cui viviamo sia stata smascherata. Spero che inizi un mutamento culturale tipo il ’68». Tra un anno tocca alle politiche, il tempo stringe.
«Siamo un cantiere aperto che per ora non chiude, decidiamo cosa fare giorno per giorno ed è assai più onesto delle promesse bugiarde del governo» taglia corto Raul, uno dei «portavoz». La piazza Tahrir di Barcellona ha fatto sapere che non smobiliterà fino al 15 giugno, da Saragoza Radio Acampada rilancia sine die.
Poi certo ci sono tutti gli altri. I soddisfatti dello status quo (pochi) e gli «indignandos» non accampati, la maggioranza silenziosa degli spagnoli che disprezza il malgoverno, lo stallo economico e l’arroganza della politica ma dubita dell’efficacia rivoluzionaria della repubblica indipendente di Puerta del Sol. Basta allontanarsi qualche metro dalla colorata tendopoli madrilena per ascoltare voci differenti, specie ora che la decisione «popolare» di restare qui fino a domenica prossima rischia di mettere a dura prova la compiacenza dei negozianti.
«Cosa possono ottenere di più? È ora di tornare a lavorare» lamenta don Pedro, titolare d’uno degli storici caffè della piazza. Secondo il presidente dell’associazione commercianti di Madrid Hilario Alfaro il giro d’affari è già calato del 40 per cento.
«Ci dispiace, serviva una scossa, in fondo protestiamo anche per loro» concede Angelica, avvocato, 25 anni, t-shirt con un punto di domanda sul petto. Lo dice anche Mafalda sul cartello affisso al banco della Commissione Legale dietro cui la ragazza raccoglie firme contro i politici inquisiti per corruzione: «Pare che se uno non s’impegni a cambiare il mondo, il mondo poi cambi lui». La «joventud sin futuro» ha messo mano al presente, domani si vedrà.
La Stampa 23.05.11