In Italia un’aggressione motivata da questioni razziali o religiose è punita, come in tutti i Paesi occidentali, con un’aggravante specifica. Ma un’aggressione motivata da odio contro un diverso orientamento sessuale no. Aggravanti per questo tipo di violenza esistono in Germania, Francia, Spagna, Inghilterra o Svezia, ma non da noi. La legge che verrà discussa domani in Parlamento vorrebbe allineare l’Italia a questi Paesi, aggiungendo alle possibili cause di aggravante non solo l’orientamento sessuale ma anche l’età. Cosa significa? Non significa, come alcuni credono, che qualsiasi aggressione a gay sarà soggetta a una pena più grave, ma solo quelle motivate dall’odio verso il loro essere gay in quanto tali.
Né significa che non si potranno esprimere idee contrarie all’omosessualità, perché il testo non istituisce il reato di incitamento all’odio omofobico (così come esiste per chi incita all’odio razziale o all’antisemitismo). Si tratta quindi di una legge più «blanda» rispetto, per esempio, a quella tedesca, che prevede anche il reato di incitamento all’omofobia. Ciò nonostante è un provvedimento oggetto di grande discussione e di un iter molto tormentato.
La prima versione fu presentata nel 2008 dalla deputata Pd Paola Concia, che da allora ha continuato a lavorarci, aprendo un dialogo continuo con la ministra delle Pari opportunità Mara Carfagna e modificando più di una volta il testo originario per approdare a una versione che potesse ottenere l’appoggio della maggioranza. Un appoggio che invece non ha avuto in commissione Giustizia mercoledì scorso, scatenando le ire non solo dell’on. Concia (che si è dimessa da relatrice) ma della stessa Carfagna. Il testo approda ugualmente alla Camera, ma con una bocciatura alle spalle.
Ma perché tanta avversione verso questo provvedimento? C’è chi dà la colpa alle elezioni imminenti e al timore di perdere il voto dei moderati e dei cattolici. Ma forse il nodo è più profondo, dopo tutto se ne parla da anni e per di più questa legge non ha niente che vedere con i Dico o i matrimoni. Può darsi che molti non ne colgano la necessità o il motivo.
Il motivo è lo stesso che ha spinto tutti i Paesi democratici a introdurre aggravanti per le violenze legate all’antisemitismo o al razzismo: perché aggredire una persona non per qualcosa che può aver fatto ma per ciò che è e per la diversità che rappresenta (razziale, religiosa, sessuale…) alimenta fenomeni di discriminazione e di odio molto pericolosi per le società libere e democratiche, così come la storia purtroppo ci ha insegnato. Aggredire un ebreo in quanto ebreo o un omosessuale in quanto omosessuale non è solo una violenza che si fa all’individuo, ma un colpo inferto alla convivenza civile, alla libertà e alla democrazia di un Paese, così come ha ricordato martedì scorso il presidente Napolitano, che nel corso della sua vita è stato testimone diretto delle aberrazioni scatenate da certi odi discriminatori.
Il fatto che certe degenerazioni siano lontane nel tempo non deve far abbassare la guardia.
Negli Stati Uniti dal 2000 a oggi i cosiddetti «hate groups», gruppi animati da odi razziali, antisemiti o anti-gay, sono aumentati del 50%. In Italia stessa negli ultimi anni abbiamo visto un’impennata di denunce di aggressioni e discriminazioni a danno di gay e lesbiche. Ciò, è ovvio, non significa necessariamente che siano aumentati i casi effettivi, può darsi che sia aumentata solo la propensione a denunciare, tuttavia questo non rende il fenomeno meno preoccupante e urgente. E per chi pensasse che la violenza omofoba non sia da considerarsi alla stregua di quella razzista o antisemita, basterebbe ricordare che tra il 1933 e il 1945 in Germania furono arrestati 100 mila omosessuali, metà dei quali condannati al carcere o internati nei campi di concentramento, dove venivano marchiati con un triangolo rosa e soggetti a speciali crudeltà.
Ancora oggi in molti Paesi gli omosessuali vengono perseguiti, incarcerati, torturati o uccisi. In Iran, Arabia Saudita, Sudan, Yemen è prevista la pena di morte, attuata spesso tramite pubblica impiccagione o lapidazione. La violenza omofoba ha causato migliaia di vittime e continua a creare disagi e difficoltà anche nelle nostre società. Moltissimi ragazzi nelle nostre scuole soffrono le irrisioni e le angherie dei propri compagni semplicemente perché gay. Possiamo chiudere gli occhi col rischio che tali intolleranze prendano derive ancora più violente e discriminatorie?
Le società democratiche si reggono sulle regole di convivenza civile che sono in grado di darsi e di far rispettare. Tali regole non sono immutabili ma sono legate ai bisogni e ai problemi che le società incontrano man mano che si evolvono e ai quali sono chiamate a dare delle risposte. Risposte che avranno effetti sulla società di domani, che indicheranno una strada, lanciando messaggi e creando incentivi o deterrenti verso certi tipi di comportamenti. Leggi che puntano ad arginare certe discriminazioni e le violenze che ne possono scaturire non bastano certo a eliminare odi e «fobie», che vanno combattuti a livello sociale e culturale, ma servono comunque a dare una direzione e degli strumenti per combatterne le degenerazioni peggiori. Servono a dire agli altri, a noi stessi e ai nostri figli che tipo di società vogliamo costruire per il futuro.
E su questo punto più che conflitti ideologici tra destra e sinistra sembrano emergere scontri tra diverse concezioni della società e della politica, quasi generazionali. Tant’è vero che, così come negli anni passati il Pd ha dovuto fare i conti con alcune sue anime conservatrici scettiche verso certi provvedimenti, così oggi il centrodestra solitamente intransigente su questi temi deve invece fare i conti con molte voci discordanti che aprono all’idea di una società più inclusiva, soprattutto tra le donne e tra le sue «giovani leve» più promettenti.
Non solo Mara Carfagna, ma anche Nunzia De Girolamo, Angelino Alfano, Gianfranco Miccichè, assieme ad Alessandra Mussolini e Margherita Boniver. Donne e uomini che forse hanno capito che cavalcare la politica dell’odio può servire a raccogliere un po’ di consenso nel breve termine, ma saperla combattere con serietà aiuta a costruire una società e un futuro migliori.
La Stampa 22.05.11